2021-06-17
Saman è stata tradita da sua madre. Un sms l’ha consegnata agli aguzzini
«Ti prego torna, faremo come vuoi tu», scrisse Nazia Shaheen alla figlia per convincerla a rientrare. Ma era una trappola per punire la giovane che aveva rifiutato le nozze combinate. Del corpo ancora nessuna traccia.Sembrava uno straziante appello, invece era l'agguato. Una madre fondamentalista tenta di redimere la figlia sovversiva, che non osserva il Ramadan e non vuole sposare un cugino in Pakistan. «Ti prego fatti sentire, torna a casa. Stiamo morendo. Torna, faremo come ci dirai tu», scrive in un sms Nazia Shaheen alla primogenita Saman: 18 anni, sangue del suo sangue, uccisa e sepolta tra le serre di cocomeri secondo i magistrati. Un messaggio infingardo, rivela la Gazzetta di Reggio. Viene inviato lo scorso dicembre. La ragazza è in una comunità protetta, dopo aver denunciato i genitori che vogliono obbligarla al matrimonio combinato. Allora Nazia tenta il raggiro: ci resta poco da vivere, giura. Ma sia lei che il marito, Shabbar Abbas, stanno benissimo. La loro malattia è solo quella figlia ingrata, che ascolta Sfera Ebbasta e snobba il Corano. La trappola funziona. Passano quattro mesi. Assistenti sociali e carabinieri tentano di dissuaderla. Le spiegano che è meglio stare alla larga dalla cascina di Novellara dove vive la sua famiglia, accanto all'azienda agricola che dà lavoro al padre. Saman fa di testa sua, come sempre. Ritorna a casa. E adesso la cercano negli sterminati campi tra Guastalla e il Po. Continuano a sondare il terreno con profondi carotaggi. I campi però si estendono a perdita d'occhio. E le immagini delle telecamere di sorveglianza, recuperate dai carabinieri, sono troppo vaghe. Il giorno prima della scomparsa si vedono tre uomini. Le pale che hanno in mano sarebbero servite a scavare la fossa in cui gettare il corpo. Uno è lo zio Danish, ora sparito: la belva che, assicura il fratello di Saman, avrebbe ucciso la sorella, forse strangolandola. Gli altri sono i due cugini. Uno è Nomanulhaq Nomanulhaq, anche lui ricercato in Europa. L'altro invece si chiama Ikram Ijaz: estradato in Italia, s'è avvalso della facoltà di non rispondere. Zio esecutore, cugini complici, genitori mandanti. Omicidio premeditato: per la procura di Reggio Emilia, il clan Abbas è responsabile della morte di Saman. Il padre e la madre, latitanti, sono in Pakistan. Le telecamere hanno ripreso pure loro. La notte dello scorso 30 aprile escono di casa. Si incamminano verso un sentiero. Dieci minuti dopo, tornano indietro. Ma Saman è sparita. Voleva scappare da quel tribale matrimonio tra famigli. C'era persino la data: il 22 dicembre 2021. Mancava solo il consenso della sposa. Un testimone ha raccontato la disperazione dei genitori. «Fa tutto il contrario di quel che le diciamo e non sappiamo più cosa fare con lei» si lamentava Shabbar lo scorso ottobre. Mentre Nazia, accanto a lui, scoppiava in lacrime: «E ora? Come faremo a spiegarlo in Pakistan? Questo è un disonore per tutti noi». Un'onta che sarebbe stata lavata con il sangue. Tra fughe e denunce, qualche mese dopo, il dispiacere diventa intollerabile. Il giorno della scomparsa, la diciottenne invia un messaggio vocale al fidanzato. Gli riferisce di aver origliato una conversazione tra i suoi: «Ho sentito dire: “Uccidiamola"». Aveva capito, Saman. E sembra quasi rassegnata: «Vedremo quello che è scritto nel destino», dice al compagno. «Vedremo se sono solo parole, ma possono arrivare a farlo. Lasciamo fare al destino».La sorte a cui sarebbe andata incontro viene adesso descritta nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata dal gip di Reggio Emilia, Luca Ramponi. Solo che, a parte il silente cugino, i presunti assassini restano latitanti. Shabbar e Nazia fuggono in Pakistan il primo maggio scorso, qualche ora dopo la sparizione della figlia. Le telecamere di Malpensa li filmano in aeroporto, pronti a imbarcarsi. I biglietti erano stati comprati il 26 aprile 2021. Sarebbe un'altra prova dell'omicidio premeditato. Lo zio Danish, invece, rimane qualche giorno a Novellara assieme al nipote, diventato ora suo accusatore. E il 5 maggio, quando i carabinieri si spingono fino a quelle lande desolate per una notifica, il ragazzino assicura: «Qui non c'è più nessuno». L'avevano istruito bene, del resto. Proprio il giorno della partenza dei genitori, riceve un messaggio vocale da un numero straniero. È una donna. «Come stai?», gli chiede. Poi, prevedendo visite e domande inopportune, aggiunge: «Mamma stava male e il papà l'ha portata in Pakistan. Devi dire questa cosa, ok? Non devi dire nient'altro. Qualsiasi persona ti chieda qualcosa, figlio mio, non devi dire niente. Anche nella tua testa dev'essere così: che è andata via com'era andata via prima».Quella voce, per gli investigatori, potrebbe essere di Nazia. La stessa madre menzognera che implorava Saman di accorrere al suo capezzale.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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