2019-07-18
Perché Salvini tiene in piedi il governo
«Se l'Eni avesse ricevuto una fornitura di 3 milioni di tonnellate di kerosene o gasolio, nel palazzo di vetro in cui all'Eur ha sede il quartier generale del gruppo l'avrebbero saputo anche gli uscieri». Ride di gusto il mio interlocutore, un manager che di affari internazionali ne ha conclusi a dozzine. In base alla sua esperienza, quella messa in scena nella hall del Metropol di Mosca non era una trattativa per vendere petrolio e finanziare la Lega, ma solo un trappolone per allocchi. Così, mentre sghignazza, mi spiega: «Ma le pare che 12 milioni di barili arrivino senza che se ne sappia nulla? Primo: l'Eni non importa prodotti raffinati, ma greggio, e se avesse sottoscritto un contratto come quello, avrebbe dovuto giustificare un cambio di rotta nelle strategie aziendali, comunicandolo all'intero (...)(...) stato maggiore e anche alla truppa. Almeno un migliaio di persone dunque sarebbero al corrente della cosa. Secondo: a leggere la trascrizione della registrazione si capisce che siamo di fronte a un manipolo di ingenui o di truffatori che non sanno di che cosa parlano». Avendo alle spalle un'attività pluridecennale, l'uomo che ho davanti mostra di non avere dubbi sulla beffa organizzata al Metropol: «Nelle frasi captate si parla di Rosnef, ovvero del gigante petrolifero russo. Bene: Rosnef vuol dire Vladimir Putin. Le pare che se il capo del Cremlino avesse deciso di dare 65 milioni di dollari alla Lega organizzerebbe un incontro nella hall di un albergo? Ma se volesse ricoprire d'oro Salvini gli farebbe arrivare una valigia colma di denaro tramite l'ambasciata oppure gli farebbe accreditare la somma su qualche conto all'estero. Certo non si inventerebbe una transazione così maldestra». Il mio interlocutore mi congeda con una frase: «Mi dia retta: quelli erano solo dilettanti allo sbaraglio».In effetti, a leggere le storie dei protagonisti in azione sul palcoscenico del Metropol, non si ha la sensazione di trovarsi di fronte a faccendieri capaci di solcare con disinvoltura l'oceano degli affari loschi, ma piuttosto a signori che navigano in brutte acque, con diversi problemi economici e un disperato bisogno di trovare in fretta un modo di risolverli. Se le cose stanno così, come racconta chi si intende di petrolio e di affari, Matteo Salvini fa bene a respingere le richieste di un confronto parlamentare sul caso. La passerella a Montecitorio o Palazzo Madama si trasformerebbe solo in una inutile gazzarra delle opposizioni che, non avendo altro modo per farsi notare, strumentalizzerebbero il caso, nella speranza di conquistare un titolo in prima pagina. Un po' come hanno fatto quando alcuni onorevoli del Pd e della sinistra sono saliti a bordo della nave pirata Sea Watch. Stando così i fatti, il ministro dell'Interno può quindi dormire tra due guanciali in attesa che si plachi la bufera dei fondi russi? No, se fossi nei suoi panni, pur giudicando ridicola la questione, non lo farei e il motivo è molto semplice: nessuno crede a questa storia di rubli e kerosene, ma in molti fanno finta di crederci, convinti che più durerà il polverone e più sarà possibile assestare al leader padano una botta in grado di stordirlo e fargli perdere la trebisonda.Ormai è chiaro, tutti sono terrorizzati dall'avanzata della Lega. Non solo Salvini è passato dal 4 al 17 per cento in quattro anni, ma da quando è al governo ha raddoppiato i voti, mangiandosi sia i 5 stelle che Forza Italia. Di questo passo, in capo a pochi mesi potrebbe raggiungere l'autosufficienza, ovvero essere in grado di fare un governo da solo, senza la zavorra dei grillini o il peso di Forza Italia. Di Maio e compagni scrutano con paura i sondaggi, perché i bollettini annunciano una disfatta su ogni fronte e se il Capitano leghista decidesse di staccare la spina al governo per correre alle urne, molti pentastellati dovrebbero cercarsi un lavoro.Per evitare di sparire, gli onorevoli a 5 stelle sarebbero pronti, come tutti, a qualsiasi cosa, anche a baciare il rospo, che per loro è il partito di Berlusconi. Che una parte grillina sia disposta ad abbracciare il Pd non è una novità, anche perché, in caso di elezioni, nel Partito democratico sono in tanti a temere una fine simile a quella dei seguaci di Di Maio. Ieri Augusto Minzolini, un collega che può vantare anni passati a svelare i segreti del Parlamento (alcuni dei quali trascorsi da onorevole), raccontava la confidenza di Federico Fornaro, un deputato di Liberi e uguali, ossia la sinistra della sinistra: «Salvini è convinto che se c'è la crisi, non ci sono le urne, ma un governo Draghi con dentro Pd, noi, grillini e un pezzo di Forza Italia». Pier Luigi Bersani è stato ancora più esplicito del compagno: «Se Salvini avesse aperto la crisi sull'onda della vicenda russa, magari si metteva in piedi un governo per la salvaguardia delle alleanze, sotto l'ombrello della Nato». Insomma, contro il Capitano leghista e il suo strapotere, ma soprattutto contro le elezioni, è già pronta l'ammucchiata, destra e sinistra unite nella lotta pur di evitare le urne.Sarà per questo che, mentre i suoi colonnelli lo spingono a mandare al diavolo Conte e i grillini, Salvini finora ha tenuto duro? Qualcuno sostiene che non abbia aperto la crisi per mancanza di coraggio. No, non ha fatto cadere l'esecutivo perché ricorda la lezione di Bossi. Quando, nel 1994, il Senatur decise di mandare a casa Berlusconi, il Cavaliere era sulla cresta dell'onda, avendo sconfitto «la gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto, ma dieci mesi dopo, quando la Lega gli fece mancare l'appoggio in Parlamento, non era più niente. Prima il boccino era nelle sue mani poi, perduto quello e con esso il potere, fu costretto a digerire il governo tecnico di Lamberto Dini, rassegnandosi a quasi sette anni di opposizione. Ecco, più che temere l'oro di Mosca, il capitano leghista deve badare all'ora del Quirinale, ossia a quell'orologio che scandisce l'inizio e la fine delle legislature, a prescindere da quello che desiderano gli italiani. Insomma, il petrolio serve a intorbidire le acque. E a bruciare Salvini.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)