2021-02-17
Salvini si smarca dai provocatori per dare le carte nel governo Draghi
Matteo Salvini (C.Minelli/Getty Images)
Il leghista vede Nicola Zingaretti e compatisce Roberto Speranza. Oggi in Senato insisterà su Domenico Arcuri, sbarchi e riaperture, ma all'insegna della prudenza. Per poi alzare il tiro sull'Ue e pesare il più possibile sulle scelte dell'esecutivo.Finalmente oggi Mario Draghi parlerà. E tutti potranno valutare se l'ex governatore Bce sceglierà la strada della chiarezza, con obiettivi nitidi e tempificati, o se invece, un po' come la Sibilla Cumana, preferirà la via di responsi vaghi, di indicazioni sufficientemente vaghe e generali da consentire ai partiti interpretazioni differenziate, variamente adattabili alle esigenze di ciascuno. Le ultime voci parlano di un discorso sintetico, centrato su temi concreti.Anche la Lega attende di capire il tenore del discorso programmatico del neopremier. In primo luogo, sperando che non ci siano altri bocconi amari da ingoiare. Dopo la prima doccia fredda della conferma di nove ministri uscenti, dopo la falsa partenza dello sci, sarebbe davvero una brutta sorpresa se - sui temi europei o su altra materia sensibile - il premier decidesse di forzare ancora, di cucinare pietanze indigeste. Nel caso lo facesse, sarà esaminato tutto il menu che lo chef porterà in tavola: se cioè ci sarà almeno un boccone amaro per tutti, anche per il Pd e i grillini, o se invece, com'è accaduto negli ultimi giorni, sarà richiesto solo al centrodestra, in modo asimmetrico e unilaterale, di sopportare ancora. Matteo Salvini è letteralmente entrato in modalità zen: quanto più l'ex fronte giallorosso lo provoca, tanto più il segretario leghista evita di cadere nel rischio di falli di reazione. Il suo comportamento è stato notevole, da questo punto di vista: non si è fatto impressionare dall'uso dell'europeismo come corpo contundente (ieri perfino una sua frase ovvia, e cioè il fatto che «solo la morte» è «irreversibile», è stata usata da alcuni come l'innesco di una contesa sulle sorti dell'euro); mordendosi la lingua, ha addirittura mostrato comprensione umana verso Roberto Speranza («Non lo invidio», dopo «un anno sotto pressione»); ha dato a tutti segni di disponibilità al dialogo («Bisogna deporre l'ascia di guerra»). Di più: ha incontrato Nicola Zingaretti, cercando un sentiero che possa essere percorso insieme (i due hanno discusso di lavoro e blocco dei licenziamenti, non di quota 100, da quanto ci risulta). Gli anglosassoni direbbero «we agree to disagree»: Salvini sta cioè tentando di capire quali possano essere i temi di scontato dissenso tra la Lega e gli altri, ragionando pure su un modo per gestire i dossier più divisivi. Il leader della Lega intende agire a tutto campo: «Sto incontrando e sentendo al telefono i responsabili di tutti i partiti, da Forza Italia a Matteo Renzi», ha detto ancora. Ieri era in agenda un incontro con Mariastella Gelmini, mentre nei prossimi giorni sono previsti colloqui con Luigi Di Maio e Enrico Giovannini.Ciononostante, il leader leghista resta pur sempre bersaglio di una campagna mediatica abbastanza surreale: ieri Repubblica, tornando a toni di anni fa, ha sparato in prima pagina il titolo «La Lega è già un problema», come se fosse stato Salvini, e non la tripletta Cts-Ricciardi-Speranza, a creare il caos dello sci. La Verità è in grado di anticipare diverse cose sul discorso di Salvini. Intanto, circostanza per lui inconsueta, il leader leghista potrebbe non parlare del tutto a braccio, ma ha preparato con cura diverse parti scritte del suo intervento. Per il resto, Salvini non defletterà dalla linea che si è autoimposto. Certo, lascerà a verbale in ogni occasione utile (probabilmente anche in Aula) che non apprezza il metodo e i risultati discutibilissimi della gestione di Domenico Arcuri, né farà sconti sul rischio di nuove ondate di sbarchi tra primavera ed estate. Tuttavia, adotterà toni che i suoi definiscono «da buon padre di famiglia: severo ma carico di senso di responsabilità». Né il leader leghista ha previsto attacchi frontali a Speranza. Rimarcherà, come ha fatto già a più riprese dopo le consultazioni con Draghi, l'esigenza di «tornare a vivere»: una prudente e responsabile riapertura del Paese, che vada di pari passo con un'operazione di sblocco di cantieri e opere pubbliche. Salvini aveva molto apprezzato il fatto che Draghi avesse evocato, davanti alla delegazione leghista, il «modello Genova». In sostanza, sia rispetto alle grandi opere, sia rispetto alla realtà delle piccole imprese, l'obiettivo di Salvini è quello di sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda del mondo produttivo, non solo del Nord ma di tutta Italia. Quell'enorme rete di imprese, come i sondaggi testimoniano, sta facendo una notevole apertura di credito al governo: e la Lega, che è la forza più sviluppista, vuole essere lo snodo principale di questo dialogo tra mondo produttivo ed esecutivo Draghi. Ci sono infine due temi che non troveranno posto nel dibattito d'Aula. Uno più di cucina politica: la nomina dei sottosegretari dovrebbe compiersi entro fine settimana. L'altro è ancora più importante, anzi comprensibilmente la Lega lo vive come decisivo: evitare che ci siano boicottaggi rispetto ai ministeri assegnati ai ministri leghisti. Se la stessa istituzione di un dicastero per la Disabilità è di per sé un successo per Salvini, che lo aveva sollecitato, sono le altre due caselle a destare apprensione. Il ministero del Turismo è assolutamente strategico: ma come sarà disegnato, e con quali deleghe? E ancora: si concilierà con una ragionevole e graduale riapertura delPaese oppure no? Sta lì la differenza tra un ministero-trampolino e un ministero-trappola. Analoga preoccupazione riguarda il Mise, in assoluto uno dei quattro-cinque dicasteri più importanti. Ma un conto è gestire lo Sviluppo in un clima di riapertura, altro conto - missione ben più difficile e delicata per Giancarlo Giorgetti - sarebbe farlo nel mezzo di un lockdown strisciante: diverrebbe, a quel punto, quasi solo lo scomodissimo ministero dei tavoli di crisi.
Charlie Kirk (Getty Images)
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