2019-03-09
Salvini si prende il weekend libero. Ma Di Maio sulla Tav agita la crisi
Il leghista: «Se ne riparla lunedì, l'opera non si ferma». Il grillino convoca la stampa: «Interdetti, noi questo fine settimana lavoreremo». La rottura, a parole, è vicinissima. La soluzione però sta in come si scriveranno i bandi.Spunta il report di Ponti a favore. E la Svizzera prova a tagliarci fuori. La società dell'autore dello studio per il governo, che boccia l'opera, la giudicò positiva per l'Ue: «Però non c'erano i costi». Da Zurigo 10 miliardi per un tracciato alternativo.Lo speciale comprende due articoli.A prima vista, Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono davvero a pochi centimetri dal «vaffa». Già l'altra sera non se l'erano mandate a dire: Salvini da Paolo Del Debbio su Rete 4 («Vedremo chi la testa più dura»), e a stretto giro di posta la replica di Di Maio, con quella parolina («irresponsabili») che ha fatto inviperire i leghisti. E ieri - sempre a prima vista - non è andata meglio. Di buon mattino, il ministro dell'Interno è andato a Rtl, e non ha concesso granché: «Si possono tagliare spese, strutture, è giusto chiedere più contributi all'Ue e alla Francia. Ma non si può fermare l'opera». Per chi non avesse ancora capito, Salvini è stato anche più tagliente da Myrta Merlino su La7: «Nessun vertice di governo, vado a Milano, ne parliamo lunedì. Io sono per fare non per disfare. Passerò il compleanno (ndr, oggi Salvini compie 46 anni) con i miei due figli». Battuta urticante anche sull'accusa di irresponsabilità: «Di Maio è un uomo, oggi parlo di donne. Io irresponsabile? No, sono coerente e poi Luigi parlava ai suoi. Comunque non mi scandalizzo, ho sempre lavorato per riavvicinare le posizioni, devono partire i bandi per la Tav».Nel primo pomeriggio, è arrivata la rispostaccia di Di Maio, che si è detto «interdetto» per l'atteggiamento del collega. Tre battute pesanti. La prima: «Non è questione di testa dura, non siamo bambini». La seconda: «Non mi si può dire: “Ci rivediamo lunedì"». E la terza, quasi una provocazione: «Mi rivolgo agli elettori della Lega. Se io avessi messo in discussione la legittima difesa, voi vi sareste arrabbiati». E poi - sul versante opposto a quello leghista - una posizione altrettanto netta sui bandi: «Se c'è un'opera su cui ci si dice che sono più i costi che i benefici, allora prima ridiscuti l'opera e poi vincoli i soldi». Come si vede (lo ripetiamo per la terza volta: a prima vista), posizioni lontanissime e toni reciprocamente sgradevoli. Ma fermo restando che, sul piano dell'immagine, nessuno può dare l'idea del cedimento, ci sono almeno tre ragioni per cui Di Maio non può permettersi la caduta del governo. In primo luogo, perché (a meno di un accordo ultrade mocristiano per rompere ma contemporaneamente convertire il decretone alla Camera) in caso di crisi salterebbe il reddito di cittadinanza. In secondo luogo, perché, nello stato di salute precario in cui si trovano i 5 stelle, alle politiche rischierebbero di arrivare terzi. E infine (in assenza di modifiche statutarie) perché Di Maio non avrebbe un terzo mandato a cui appellarsi, e gli rimarrebbe solo il ruolo di guida politica del Movimento senza la ricandidatura. Non a caso, se si esaminano tra le righe le dichiarazioni del vicepremier grillino, danno più la sensazione del wrestling (urla e minacce, ma poche botte) che non di un sanguinoso incontro di pugilato. A più riprese, ieri Di Maio ha messo al sicuro il governo: «Siamo qui per parlare di un tema che mi ha lasciato piuttosto interdetto: il fatto che non noi, ma la Lega ieri abbia messo in discussione il governo legandolo al Tav». Come dire: io non ci penso a innescare una crisi. E ancora: «Se c'è un accordo nel governo, una strada tecnica c'è sempre». E lo conferma anche la cautela con cui Di Maio ha frenato, interpellato sulla possibilità di una conta in Consiglio dei ministri: «È una questione di accordo, non di prove di forza. In alcuni consessi il M5s potrebbe tentare la prova di forza, ma non parliamo di questo». Insomma, quel che conta è non trasmettere l'idea di essersi piegato a Salvini un'altra volta. Salvini che in serata ha detto «nessuna crisi», al contrario del sottosegretario Stefano Buffagni che ha gettato benzina sul fuoco: «La crisi c'è già». Salvo ritrattare: «C'è il week end di mezzo». E allora vale la pena ragionare sulla ricerca delle vie d'uscita dal vicolo cieco. Su questo, proprio Di Maio e un esponente leghista hanno detto cose sovrapponibili, compatibili con la posizione francese. Armando Siri, sottosegretario del Carroccio ai Trasporti, ha suggerito: «I bandi Telt per la Tav si possono pubblicare con la clausola della dissolvenza prevista dal diritto francese: con quella clausola, nonostante la pubblicazione, possono essere revocati in qualsiasi momento». E lo stesso Di Maio ha notato: «Telt è una società di diritto francese. Tutto quello che si fa, si fa sotto il diritto francese».Si tratta di ipotesi assolutamente compatibili con quanto proposto da Louis Besson, presidente della Commissione intergovernativa italo-francese: «I bandi sono appelli che poi vengono chiusi 15-18 mesi dopo. Quindi c'è tutto il tempo per degli scambi che si volessero approfondire tra Francia, Italia e Ue». Insomma, con un minimo di lavoro diplomatico e giuridico con Parigi (e con Bruxelles sulle quote di finanziamento dell'opera), una soluzione neanche troppo rabberciata è a portata di mano: diluire nel tempo e rendere meno perentoria la sequenza dei bandi. Così la Lega potrà dire: siamo partiti. E i grillini: siamo in grado di revocarli, nessuno ci strangola. È evidente che non è il massimo ma tant'è. E resta sullo sfondo la carta definitiva, che sarebbe resa giocabile dal tempo guadagnato con le vie legali: lasciare la parola ai cittadini in un referendum consultivo. Da abbinare a europee e regionali piemontesi, il 26 maggio. Infine una nota a margine, ma non troppo. Lo spread, preso a indicatore di crisi imminenti a ogni fiammata, ieri ha toccato uno dei livelli più bassi delle ultime settimane a 242. Vorrà dire qualcosa? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-si-prende-il-weekend-libero-ma-di-maio-sulla-tav-agita-la-crisi-2631064294.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="spunta-il-report-di-ponti-a-favore-e-la-svizzera-prova-a-tagliarci-fuori" data-post-id="2631064294" data-published-at="1757774231" data-use-pagination="False"> Spunta il report di Ponti a favore. E la Svizzera prova a tagliarci fuori L'analisi costi benefici, quella che boccia la Tav e che per il M5s è un totem, è stata redatta da una commissione nominata dal ministero dei Trasporti e presieduta dal professor Marco Ponti. Bene: ieri il tg di La7 ha rivelato che esiste uno studio, commissionato dalla Commissione europea , secondo il quale invece la Tav va realizzata. La circostanza singolare è che a questo studio, che promuove la Tav, ha partecipato anche la società Trt trasporti e territorio, presieduta dal professor Marco Ponti. Nessuna omonimia: trattasi dello stesso Ponti, che dunque, carta canta, quando valuta la Torino-Lione per conto dell'Europa dà parere favorevole, quando lo fa per conto del governo italiano invece dà parere contrario. Secondo il dossier commissionato dall'Europa, con il corridoio Mediterraneo, che va da Gibilterra a Budapest, nel 2030 si potrà ottenere un risparmio di tempo del 30% per i passeggeri e del 44% per le merci. Inoltre, nei prossimi dieci anni, per ogni miliardo investito nel cantiere verrebbero creati 15.000 posti di lavoro. La notizia ha scatenato una bufera, come era prevedibile, e così il ministero dei Trasporti, guidato da Danilo Toninelli, è stato costretto a diffondere una precisazione. «Lo studio riservato sul corridoio Mediterraneo», hanno fatto sapere fonti del ministero, «commissionato dalla Ue e rivelato da La7, ha visto una partecipazione solo marginale della società Trt trasporti e territorio, presieduta dal professor Marco Ponti, il quale non solo non ha firmato la ricerca, ma non ne conosce in alcun modo i contenuti». Inoltre, aggiungono le stesse fonti, «va precisato che si tratta di una analisi riconducibile a quelle di valore aggiunto, fondata sul moltiplicatore keynesiano, metodo che non ha nulla a che fare con la analisi costi-benefici effettuata sulla tratta Torino-Lione». «Quella», ha detto lo stesso Ponti a Mattino 5, «non è una analisi-costi benefici, ma sull'impatto, che si basa su analisi di valore aggiunto. Non misura i costi, ma il traffico, l'occupazione e l'impatto sulle imprese». Intanto, la Svizzera si sta preparando a godere dei benefici di un'eventuale rinuncia dell'Italia alla realizzazione della Tav. Lo rivela l'Adnkronos: il governo elvetico è pronto a investire oltre 10 miliardi di euro per rafforzare e velocizzare la linea traffico merci da Est a Ovest, cioè da Ginevra fino a Winterthur, e ha predisposto un piano per creare una rete completamente sotterranea e automatizzata, sempre per il trasporto delle merci. In pratica, la Svizzera punta a realizzare una linea parallela al tracciato della Tav Torino-Lione, in grado di raccogliere il traffico delle merci tra i Paesi dell'Est europeo e la Francia, tagliando completamente fuori l'Italia. Non solo: il progetto elvetico comprende anche la costruzione di una fitta rete logistica, con base a Olten, che sarà in grado di incrociare i traffici del corridoio europeo Nord-Aud con quello Est-Ovest. L'ufficio federale dei Trasporti svizzero conferma all'Adnkronos che per la prossima fase di ampliamento dell'infrastruttura fino al 2035 il governo propone circa 200 interventi per un totale di 11,9 miliardi di franchi svizzeri. «L'obiettivo di questi interventi», sottolinea l'ufficio federale dei Trasporti, «è potenziare le capacità dell'infrastruttura esistente. Verrà ampliata la rete per il traffico merci rapido nazionale, in particolare sull'asse Est-Ovest. Parallelamente, verranno ampliati gli impianti per il traffico merci». Del resto, le infrastrutture significano sviluppo e soldi. Il progetto della Svizzera, per esempio, sarebbe un colpo gravissimo per l'interporto di Verona, che perderebbe il passaggio di 25.000 treni aggiuntivi. «Non sorprende che la Svizzera», commenta l'ex commissario del governo per la Tav, Paolo Foietta, «punti forte sul trasporto ferroviario velocizzando il trasporto merci sull'asse Est-Ovest e si prepari ad accogliere i flussi rifiutati dall'Italia. È un Paese che crede nelle infrastrutture e che sa che queste portano ricchezza».
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)