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2019-08-07
Il piano di Salvini per tagliare le tasse
Ansa
Operazione politica ed economica a tutto campo, quella messa in campo ieri da Matteo Salvini, prima incontrando le parti sociali al Viminale, e poi tenendo una conferenza stampa particolarmente affilata. Sintetizzando: un piano economico ambiziosissimo, alla Trump (meno tasse, più investimenti); la minaccia di elezioni anche a brevissima scadenza, se ci fossero ostacoli a realizzarlo; e un fuoco di fila di attacchi rispetto alle bandiere grilline, a partire dal salario minimo.
Cominciamo dall'osservazione a più forte intensità politica: «Noi non siamo incollati alle poltrone, se non riusciamo a fare le cose bene non ci costringe il buon Dio. Questo» ha scandito Salvini «lo vediamo da qui a breve, anche prima di settembre». E ancora, tanto per puntualizzare di chi saranno le responsabilità di un'eventuale frenata: «Anche oggi le parti sociali ci hanno chiesto di fare bene e fare in fretta su infrastrutture, crescita e tasse, dove purtroppo la competenza non è mia». E così, nelle loro diverse posizioni, Danilo Toninelli (al quale verremo più avanti) e Giovanni Tria sono stati avvisati.
Per tutta la giornata (sia in conferenza sia nel lungo incontro con il mondo produttivo) il leader leghista ha insistito sulla necessaria robustezza della manovra d'autunno: serve una frustata, ha fatto capire, ben diversa dalla logica degli «zero virgola» troppe volte seguita dall'Italia: «Ci vuole una manovra vera, con soldi veri per investimenti, opere pubbliche, infrastrutture». «In un quadro economico con dati congiunturali caratterizzati da luci e ombre» ha proseguito Salvini «il problema è la crescita del Pil allo 0,1%. La situazione dei consumi è ferma, bisogna prenderne atto. È vero che aumenta il numero dei lavoratori e diminuisce il numero dei disoccupati, però bisogna anche considerare la qualità del lavoro. Nella grande distribuzione e nei negozi il potere reale d'acquisto delle famiglie è fermo. La situazione del paese presuppone una manovra che vada oltre la spesa corrente, servono investimenti».
E qui è arrivato il messaggio più forte indirizzato a Tria: «La manovra non può essere un gioco delle tre carte. È impensabile fare una manovra a costo zero», ha aggiunto il leader leghista in conferenza stampa. «Chiunque era al tavolo oggi diceva che se vuoi fare una manovra coraggiosa non la fai a costo zero, altrimenti sei mago Merlino. Chiunque parli di manovra come gioco delle tre tavolette non fa parte del nostro progetto d'Italia». Tradotto in termini brutali: è impensabile che la manovra si riduca a una partita di giro: tanti soldi si levano di tasse, e altrettanti se ne riprendono tagliando le tax expenditures. Salvini vuole invece un gioco a somma positiva per il contribuente: l'unico compromesso possibile è l'entità, tutta da determinare, di questo differenziale positivo. La richiesta esplicita di Salvini, come posizione di partenza, è che quella somma positiva sia almeno di 10-15 miliardi.
Su questa base (no agli ostacoli politici, altrimenti elezioni; e sì a una manovra shock), Salvini chiede la disponibilità altrui (e contemporaneamente offre la propria) a un confronto robusto con Bruxelles: «Per il piano straordinario di investimenti occorre discutere con l'Ue alcuni vincoli in base ai quali nulla di quello di cui abbiamo parlato da ore sarebbe possibile». Ed ecco l'impegno del leader leghista: «Sono pronto ad andare a contrattare la flessibilità necessaria con l'Europa per spendere su questi obiettivi». E a Bruxelles Salvini ha recapitato un primo messaggio sul rapporto deficit/Pil: «Di sicuro non si può stare sotto il 2%. Ci sono alcuni interventi che non possono aspettare come i 2,5 miliardi per le scuole o per i ponti».
Quanto aI riottosi alleati M5s, Salvini non ha fatto mancare bordate, almeno su tre fronti. Primo, la Tav: «Tutti dicono che c'è bisogno di infrastrutture, porti, aeroporti. Noi voteremo qualsiasi mozione che sostenga crescita, futuro, progresso e mobilità. Mi stupisce che nel 2019 ci sia chi dice no al progresso». Secondo, il salario minimo: «Abbiamo registrato un “no" unanime da tutte le sigle presenti al tavolo: un salario minimo imposto per legge farebbe diminuire le tutele dei lavoratori. Evidentemente qualcuno una riflessione dovrà farla». Terzo, la giustizia: secondo Salvini, le parti sociali presenti al tavolo del Viminale hanno chiesto «tutte il superamento dell'abuso d'ufficio e del danno erariale».
Salvini non ha fatto mancare attenzione al settore immobiliare: «Stiamo lavorando all'eliminazione della Tasi e alla riorganizzazione della tassazione sulla casa». È il passaggio che il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha accolto come un insieme di «impegni precisi»: ora - ha aggiunto - «i proprietari attendono i fatti».
Il leader leghista non ha infine risparmiato colpi, per tutta la giornata, all'indirizzo del ministro più discusso, Danilo Toninelli: «Non mi sembra all'altezza di gestire le infrastrutture di un Paese bello ma difficile come l'Italia», ha detto Salvini a Radio 24.
Quanto al mondo sindacale, vanno segnalati due atteggiamenti opposti. Per un verso, Maurizio Landini, leader della Cgil, che non ha partecipato in prima persona all'incontro del Viminale e ha fatto sapere che per lui il tavolo è quello di Palazzo Chigi. Per altro verso, invece, la soddisfazione e l'impegno del segretario dell'Ugl Paolo Capone: «I provvedimenti adottati dal governo vanno nella giusta direzione e hanno prodotto alcuni segnali positivi. Per favorire la crescita economica, tuttavia, è necessario intervenire attraverso misure come la flat tax per i redditi compresi tra 25 e 60.000 euro. Parallelamente, occorre rilanciare gli investimenti pubblici attraverso una politica industriale più coraggiosa».
Di Maio si consola con le mezze tutele ai rider
Non è bastato a Matteo Salvini aver incassato il decreto sicurezza bis malgrado la fronda grillina. Anche ieri il vicepremier leghista si è preso la scena illustrando la sua manovra economica (con misure sulla casa di notevole peso sulle tasche degli italiani, se attuate), alle parti sociali che, senza dubbi, hanno invece bocciato la proposta del suo alleato di governo sul salario minimo: «Non serve, c'è la contrattazione». E così Luigi Di Maio si è dovuto accontentare di portare nell'ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, il tema dei rider, uno dei principali capitoli del decreto legge sulla «Tutela del lavoro e risoluzioni di crisi aziendali» anche se il pentastellato ha rivendicato: «Noi siamo al lavoro per questioni importantissime per la vita e il lavoro delle persone e facciamo un decreto che mette soldi e tutele per i lavoratori». Ricordando inoltre che il suo primo appuntamento da ministro del Lavoro è stato proprio con i rider: «Ci abbiamo messo un po', abbiamo parlato anche con le piattaforme di food delivery. Però non c'è stata una grande intesa, quindi ho deciso: si fa una legge. La facciamo in Consiglio dei ministri con questo decreto e il giorno dopo è legge». Insomma, «da lavoratori più sfruttati d'Italia a quelli che avranno tutele» aveva promesso Di Maio che si sarebbero trasformati i rider con l'obiettivo di «promuovere un'occupazione sicura e dignitosa e accrescere e riordinare i livelli di tutela per i prestatori occupati con rapporti di lavoro non subordinato». La necessità secondo il decreto è quella di risolvere il problema delle tutele legate all'assistenza, alla pensione e alla sicurezza sul lavoro dei rider che, secondo la Coldiretti, sono lavoratori senza garanzie del food delivery, il settore più dinamico della ristorazione: l'uso di app per ordinare cibo e farselo portare direttamente a casa o in ufficio riguarda più di un italiano su 3. Obiettivo del decreto legge è infatti che a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto intercorrente con l'impresa titolare della piattaforma digitale, i rider che portano le nostre pietanze a casa, con le biciclette, a volte col motorino, verranno riconosciute le tutele assicurative contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, i rimborsi spese per gli strumenti del lavoro, l'assistenza sanitaria.
E se ieri c'è stato il salvataggio della storica azienda dolciaria piemontese Pernigotti, che non interromperà la sua produzione e non delocalizzerà lo stabilimento di Novi Ligure, nel decreto legge, sul fronte delle aziende in crisi, ci sarebbero oltre 10 milioni da destinare a Whirlpool per salvare l'impianto napoletano con 412 dipendenti. I fondi dovrebbero servire a finanziare la decontribuzione per i contratti di solidarietà per realizzare il progetto di riconversione.
Prevista anche la proroga della cassa integrazione per la Blutec di Termini Imerese, il sostegno alla riduzione dei costi dell'energia per l'ex Alcoa di Portovesme, per l'area di crisi di Isernia, con la proroga a dicembre dei progetti di Lsu in scadenza a ottobre. Essendoci inoltre più di 150 tavoli di crisi aperti, la task force ministeriale di 5-6 persone viene potenziata con il decreto che finanzia l'assunzione di 16-20 esperti per l'Unità di crisi aziendali.
Prevista infine anche una norma per «restituire una parte degli stipendi dei parlamentari del M5s al fondo per il lavoro dei disabili». «Il fondo esisteva ma chi voleva fare una donazione non poteva farlo, perché mancava l'Iban. Ora istituiremo l'Iban» ha spiegato il vicepremier.
Anche il mondo della scuola ieri attendeva l'ok del cdm sulla definizione dei concorsi straordinari e i Pas per il reclutamento 2020/2021. Un provvedimento tanto voluto da migliaia di precari storici. Il cdm è stato interrotto nel pomeriggio mentre prendevano quota i commenti sulla mozione Tav del M5s che sarà presentata oggi e che Salvini ha bollato come «una scemenza» e l'ipotesi di elezioni anticipate che, sempre secondo il leader del Carroccio, possono essere decise anche prima di settembre.
Serve oltre 1 miliardo per cancellare la Tasi
La buona fatica di Alberto Gusmeroli, vicepresidente leghista della Commissione Finanze della Camera, sembra avviata a esser coronata da successo.
Si può praticamente dire che, nel gran cantiere della legge di bilancio, un pezzo di manovra (neanche troppo piccolo, e assolutamente in direzione favorevole ai contribuenti) sia praticamente già scritto. E si tratterà della trasposizione nel ddl di bilancio della proposta di legge firmata da Gusmeroli (opportunamente rivista e affinata) che sta per concludere il suo iter in Commissione (mancano solo un paio di audizioni, calendarizzate per il 10 settembre). Dopo di che, se si procedesse secondo il normale iter, la presidenza della Commissione dovrebbe comunicare ai deputati il termine per la presentazione degli emendamenti in vista del voto in Commissione. Ma a quel punto - ecco la novità che La Verità è in grado di anticipare - il testo sarà già divenuto un articolo della manovra, come i colleghi leghisti di Gusmeroli, il viceministro Massimo Garavaglia e il sottosegretario Massimo Bitonci, hanno fatto capire all'interessato. Nella Prima Repubblica, con un'espressione un tantino volgare, si parlava di «risucchio», quando il governo faceva suo un lavoro parlamentare in corso di approvazione: con il deputato firmatario diviso tra la soddisfazione di veder premiato il suo sforzo e la piccola delusione di non vedere più il proprio nome sul testo.
Ma veniamo alla sostanza. In origine, il testo Gusmeroli aveva solo una (pur positiva) funzione di semplificazione: l'obiettivo era unificare Imu e Tasi. Quel risultato rimane: si tratterà - scherza Gusmeroli - di una «fusione per incorporazione», nel senso che la Tasi sparirà, assorbita e ricondotta al nuovo tributo unificato. La semplificazione sarà irrobustita anche rendendo materialmente più facili le cose per il contribuente, che riceverà un F24 precompilato, riducendo gli adempimenti burocratici.
Tuttavia, e qui sta la notizia ancora più importante, non ci si limita alla semplificazione, ma si procede a una significativa riduzione dell'imposizione fiscale, del «quantum» da pagare. In questo, Gusmeroli ha accolto la sollecitazione del presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, che lo aveva incoraggiato a superare l'iniziale neutralità di gettito della proposta. E Gusmeroli è a un passo dal centrare due bersagli: abolire la Tasi (1,1 miliardi) e avviare chirurgicamente una riduzione dell'Imu, per l'esattezza sugli immobili sfitti, su quelli occupati e su quelli inagibili. Questa seconda operazione può valere dai 400 ai 700 milioni. Complessivamente, quindi, si tratterebbe di un intervento di taglio di 1,5-1,8 dei circa 22 miliardi di patrimoniale annua che grava sul mattone degli italiani. Ancora poco, si dirà: ma è un primo passo nella direzione giusta.
Anche da un punto di vista simbolico, i tre interventi sull'Imu sarebbero sacrosanti: avere una casa sfitta non è una colpa (ma un effetto del mercato fermo), subire un'occupazione è una violenza (ed è paradossale dover pagare le tasse su un bene di cui non si gode). Quanto agli immobili inagibili, oggi pagano la metà dell'imposta teoricamente dovuta, ma è pur sempre un non senso. Azzerare sarebbe dunque un ottimo segnale.
Per i puristi, resta un problema teorico. Cancellare la Tasi (cosa sacrosanta, giova ribadirlo, dal punto di vista del «quantum») elimina l'unica componente legata ai servizi della tassazione immobiliare, condannando l'imposta che resta a essere una vera e propria patrimoniale. Sarebbe auspicabile che, oltre a tagliare ancora, nei prossimi anni si cambiassero anche i connotati teorici della tassa. Può esser giusto pagare qualcosa (poco, sia chiaro) per i servizi che il Comune rende ai proprietari. Una patrimoniale secca, invece, è anche concettualmente odiosa. Ma ci sarà tempo per questo aggiustamento. Intanto la buona notizia è che si comincia a tagliare qualcosa.
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Il progetto del Carroccio su Irpef e cuneo presentato a 46 sigle datoriali e di lavoratori. Su questo o i leghisti la spuntano o andranno a elezioni anticipate. Il leader è netto: «Prima di settembre decidiamo se votare».I grillini portano in cdm il dl sulle crisi d'azienda: 10 milioni per Whirpool e polizze per la gig economy.La manovra assorbirà la proposta di Alberto Gusmeroli: il balzello sarà unito all'Imu ma soprattutto ridotto per molti.Lo speciale contiene tre articoli.Operazione politica ed economica a tutto campo, quella messa in campo ieri da Matteo Salvini, prima incontrando le parti sociali al Viminale, e poi tenendo una conferenza stampa particolarmente affilata. Sintetizzando: un piano economico ambiziosissimo, alla Trump (meno tasse, più investimenti); la minaccia di elezioni anche a brevissima scadenza, se ci fossero ostacoli a realizzarlo; e un fuoco di fila di attacchi rispetto alle bandiere grilline, a partire dal salario minimo.Cominciamo dall'osservazione a più forte intensità politica: «Noi non siamo incollati alle poltrone, se non riusciamo a fare le cose bene non ci costringe il buon Dio. Questo» ha scandito Salvini «lo vediamo da qui a breve, anche prima di settembre». E ancora, tanto per puntualizzare di chi saranno le responsabilità di un'eventuale frenata: «Anche oggi le parti sociali ci hanno chiesto di fare bene e fare in fretta su infrastrutture, crescita e tasse, dove purtroppo la competenza non è mia». E così, nelle loro diverse posizioni, Danilo Toninelli (al quale verremo più avanti) e Giovanni Tria sono stati avvisati. Per tutta la giornata (sia in conferenza sia nel lungo incontro con il mondo produttivo) il leader leghista ha insistito sulla necessaria robustezza della manovra d'autunno: serve una frustata, ha fatto capire, ben diversa dalla logica degli «zero virgola» troppe volte seguita dall'Italia: «Ci vuole una manovra vera, con soldi veri per investimenti, opere pubbliche, infrastrutture». «In un quadro economico con dati congiunturali caratterizzati da luci e ombre» ha proseguito Salvini «il problema è la crescita del Pil allo 0,1%. La situazione dei consumi è ferma, bisogna prenderne atto. È vero che aumenta il numero dei lavoratori e diminuisce il numero dei disoccupati, però bisogna anche considerare la qualità del lavoro. Nella grande distribuzione e nei negozi il potere reale d'acquisto delle famiglie è fermo. La situazione del paese presuppone una manovra che vada oltre la spesa corrente, servono investimenti». E qui è arrivato il messaggio più forte indirizzato a Tria: «La manovra non può essere un gioco delle tre carte. È impensabile fare una manovra a costo zero», ha aggiunto il leader leghista in conferenza stampa. «Chiunque era al tavolo oggi diceva che se vuoi fare una manovra coraggiosa non la fai a costo zero, altrimenti sei mago Merlino. Chiunque parli di manovra come gioco delle tre tavolette non fa parte del nostro progetto d'Italia». Tradotto in termini brutali: è impensabile che la manovra si riduca a una partita di giro: tanti soldi si levano di tasse, e altrettanti se ne riprendono tagliando le tax expenditures. Salvini vuole invece un gioco a somma positiva per il contribuente: l'unico compromesso possibile è l'entità, tutta da determinare, di questo differenziale positivo. La richiesta esplicita di Salvini, come posizione di partenza, è che quella somma positiva sia almeno di 10-15 miliardi. Su questa base (no agli ostacoli politici, altrimenti elezioni; e sì a una manovra shock), Salvini chiede la disponibilità altrui (e contemporaneamente offre la propria) a un confronto robusto con Bruxelles: «Per il piano straordinario di investimenti occorre discutere con l'Ue alcuni vincoli in base ai quali nulla di quello di cui abbiamo parlato da ore sarebbe possibile». Ed ecco l'impegno del leader leghista: «Sono pronto ad andare a contrattare la flessibilità necessaria con l'Europa per spendere su questi obiettivi». E a Bruxelles Salvini ha recapitato un primo messaggio sul rapporto deficit/Pil: «Di sicuro non si può stare sotto il 2%. Ci sono alcuni interventi che non possono aspettare come i 2,5 miliardi per le scuole o per i ponti». Quanto aI riottosi alleati M5s, Salvini non ha fatto mancare bordate, almeno su tre fronti. Primo, la Tav: «Tutti dicono che c'è bisogno di infrastrutture, porti, aeroporti. Noi voteremo qualsiasi mozione che sostenga crescita, futuro, progresso e mobilità. Mi stupisce che nel 2019 ci sia chi dice no al progresso». Secondo, il salario minimo: «Abbiamo registrato un “no" unanime da tutte le sigle presenti al tavolo: un salario minimo imposto per legge farebbe diminuire le tutele dei lavoratori. Evidentemente qualcuno una riflessione dovrà farla». Terzo, la giustizia: secondo Salvini, le parti sociali presenti al tavolo del Viminale hanno chiesto «tutte il superamento dell'abuso d'ufficio e del danno erariale».Salvini non ha fatto mancare attenzione al settore immobiliare: «Stiamo lavorando all'eliminazione della Tasi e alla riorganizzazione della tassazione sulla casa». È il passaggio che il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha accolto come un insieme di «impegni precisi»: ora - ha aggiunto - «i proprietari attendono i fatti». Il leader leghista non ha infine risparmiato colpi, per tutta la giornata, all'indirizzo del ministro più discusso, Danilo Toninelli: «Non mi sembra all'altezza di gestire le infrastrutture di un Paese bello ma difficile come l'Italia», ha detto Salvini a Radio 24. Quanto al mondo sindacale, vanno segnalati due atteggiamenti opposti. Per un verso, Maurizio Landini, leader della Cgil, che non ha partecipato in prima persona all'incontro del Viminale e ha fatto sapere che per lui il tavolo è quello di Palazzo Chigi. Per altro verso, invece, la soddisfazione e l'impegno del segretario dell'Ugl Paolo Capone: «I provvedimenti adottati dal governo vanno nella giusta direzione e hanno prodotto alcuni segnali positivi. Per favorire la crescita economica, tuttavia, è necessario intervenire attraverso misure come la flat tax per i redditi compresi tra 25 e 60.000 euro. Parallelamente, occorre rilanciare gli investimenti pubblici attraverso una politica industriale più coraggiosa». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-ha-deciso-di-giocare-pesante-10-15-miliardi-di-taglio-delle-tasse-2639687178.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="di-maio-si-consola-con-le-mezze-tutele-ai-rider" data-post-id="2639687178" data-published-at="1765510429" data-use-pagination="False"> Di Maio si consola con le mezze tutele ai rider Non è bastato a Matteo Salvini aver incassato il decreto sicurezza bis malgrado la fronda grillina. Anche ieri il vicepremier leghista si è preso la scena illustrando la sua manovra economica (con misure sulla casa di notevole peso sulle tasche degli italiani, se attuate), alle parti sociali che, senza dubbi, hanno invece bocciato la proposta del suo alleato di governo sul salario minimo: «Non serve, c'è la contrattazione». E così Luigi Di Maio si è dovuto accontentare di portare nell'ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, il tema dei rider, uno dei principali capitoli del decreto legge sulla «Tutela del lavoro e risoluzioni di crisi aziendali» anche se il pentastellato ha rivendicato: «Noi siamo al lavoro per questioni importantissime per la vita e il lavoro delle persone e facciamo un decreto che mette soldi e tutele per i lavoratori». Ricordando inoltre che il suo primo appuntamento da ministro del Lavoro è stato proprio con i rider: «Ci abbiamo messo un po', abbiamo parlato anche con le piattaforme di food delivery. Però non c'è stata una grande intesa, quindi ho deciso: si fa una legge. La facciamo in Consiglio dei ministri con questo decreto e il giorno dopo è legge». Insomma, «da lavoratori più sfruttati d'Italia a quelli che avranno tutele» aveva promesso Di Maio che si sarebbero trasformati i rider con l'obiettivo di «promuovere un'occupazione sicura e dignitosa e accrescere e riordinare i livelli di tutela per i prestatori occupati con rapporti di lavoro non subordinato». La necessità secondo il decreto è quella di risolvere il problema delle tutele legate all'assistenza, alla pensione e alla sicurezza sul lavoro dei rider che, secondo la Coldiretti, sono lavoratori senza garanzie del food delivery, il settore più dinamico della ristorazione: l'uso di app per ordinare cibo e farselo portare direttamente a casa o in ufficio riguarda più di un italiano su 3. Obiettivo del decreto legge è infatti che a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto intercorrente con l'impresa titolare della piattaforma digitale, i rider che portano le nostre pietanze a casa, con le biciclette, a volte col motorino, verranno riconosciute le tutele assicurative contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, i rimborsi spese per gli strumenti del lavoro, l'assistenza sanitaria. E se ieri c'è stato il salvataggio della storica azienda dolciaria piemontese Pernigotti, che non interromperà la sua produzione e non delocalizzerà lo stabilimento di Novi Ligure, nel decreto legge, sul fronte delle aziende in crisi, ci sarebbero oltre 10 milioni da destinare a Whirlpool per salvare l'impianto napoletano con 412 dipendenti. I fondi dovrebbero servire a finanziare la decontribuzione per i contratti di solidarietà per realizzare il progetto di riconversione. Prevista anche la proroga della cassa integrazione per la Blutec di Termini Imerese, il sostegno alla riduzione dei costi dell'energia per l'ex Alcoa di Portovesme, per l'area di crisi di Isernia, con la proroga a dicembre dei progetti di Lsu in scadenza a ottobre. Essendoci inoltre più di 150 tavoli di crisi aperti, la task force ministeriale di 5-6 persone viene potenziata con il decreto che finanzia l'assunzione di 16-20 esperti per l'Unità di crisi aziendali. Prevista infine anche una norma per «restituire una parte degli stipendi dei parlamentari del M5s al fondo per il lavoro dei disabili». «Il fondo esisteva ma chi voleva fare una donazione non poteva farlo, perché mancava l'Iban. Ora istituiremo l'Iban» ha spiegato il vicepremier. Anche il mondo della scuola ieri attendeva l'ok del cdm sulla definizione dei concorsi straordinari e i Pas per il reclutamento 2020/2021. Un provvedimento tanto voluto da migliaia di precari storici. Il cdm è stato interrotto nel pomeriggio mentre prendevano quota i commenti sulla mozione Tav del M5s che sarà presentata oggi e che Salvini ha bollato come «una scemenza» e l'ipotesi di elezioni anticipate che, sempre secondo il leader del Carroccio, possono essere decise anche prima di settembre. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-ha-deciso-di-giocare-pesante-10-15-miliardi-di-taglio-delle-tasse-2639687178.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="serve-oltre-1-miliardo-per-cancellare-la-tasi" data-post-id="2639687178" data-published-at="1765510429" data-use-pagination="False"> Serve oltre 1 miliardo per cancellare la Tasi La buona fatica di Alberto Gusmeroli, vicepresidente leghista della Commissione Finanze della Camera, sembra avviata a esser coronata da successo. Si può praticamente dire che, nel gran cantiere della legge di bilancio, un pezzo di manovra (neanche troppo piccolo, e assolutamente in direzione favorevole ai contribuenti) sia praticamente già scritto. E si tratterà della trasposizione nel ddl di bilancio della proposta di legge firmata da Gusmeroli (opportunamente rivista e affinata) che sta per concludere il suo iter in Commissione (mancano solo un paio di audizioni, calendarizzate per il 10 settembre). Dopo di che, se si procedesse secondo il normale iter, la presidenza della Commissione dovrebbe comunicare ai deputati il termine per la presentazione degli emendamenti in vista del voto in Commissione. Ma a quel punto - ecco la novità che La Verità è in grado di anticipare - il testo sarà già divenuto un articolo della manovra, come i colleghi leghisti di Gusmeroli, il viceministro Massimo Garavaglia e il sottosegretario Massimo Bitonci, hanno fatto capire all'interessato. Nella Prima Repubblica, con un'espressione un tantino volgare, si parlava di «risucchio», quando il governo faceva suo un lavoro parlamentare in corso di approvazione: con il deputato firmatario diviso tra la soddisfazione di veder premiato il suo sforzo e la piccola delusione di non vedere più il proprio nome sul testo. Ma veniamo alla sostanza. In origine, il testo Gusmeroli aveva solo una (pur positiva) funzione di semplificazione: l'obiettivo era unificare Imu e Tasi. Quel risultato rimane: si tratterà - scherza Gusmeroli - di una «fusione per incorporazione», nel senso che la Tasi sparirà, assorbita e ricondotta al nuovo tributo unificato. La semplificazione sarà irrobustita anche rendendo materialmente più facili le cose per il contribuente, che riceverà un F24 precompilato, riducendo gli adempimenti burocratici. Tuttavia, e qui sta la notizia ancora più importante, non ci si limita alla semplificazione, ma si procede a una significativa riduzione dell'imposizione fiscale, del «quantum» da pagare. In questo, Gusmeroli ha accolto la sollecitazione del presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, che lo aveva incoraggiato a superare l'iniziale neutralità di gettito della proposta. E Gusmeroli è a un passo dal centrare due bersagli: abolire la Tasi (1,1 miliardi) e avviare chirurgicamente una riduzione dell'Imu, per l'esattezza sugli immobili sfitti, su quelli occupati e su quelli inagibili. Questa seconda operazione può valere dai 400 ai 700 milioni. Complessivamente, quindi, si tratterebbe di un intervento di taglio di 1,5-1,8 dei circa 22 miliardi di patrimoniale annua che grava sul mattone degli italiani. Ancora poco, si dirà: ma è un primo passo nella direzione giusta. Anche da un punto di vista simbolico, i tre interventi sull'Imu sarebbero sacrosanti: avere una casa sfitta non è una colpa (ma un effetto del mercato fermo), subire un'occupazione è una violenza (ed è paradossale dover pagare le tasse su un bene di cui non si gode). Quanto agli immobili inagibili, oggi pagano la metà dell'imposta teoricamente dovuta, ma è pur sempre un non senso. Azzerare sarebbe dunque un ottimo segnale. Per i puristi, resta un problema teorico. Cancellare la Tasi (cosa sacrosanta, giova ribadirlo, dal punto di vista del «quantum») elimina l'unica componente legata ai servizi della tassazione immobiliare, condannando l'imposta che resta a essere una vera e propria patrimoniale. Sarebbe auspicabile che, oltre a tagliare ancora, nei prossimi anni si cambiassero anche i connotati teorici della tassa. Può esser giusto pagare qualcosa (poco, sia chiaro) per i servizi che il Comune rende ai proprietari. Una patrimoniale secca, invece, è anche concettualmente odiosa. Ma ci sarà tempo per questo aggiustamento. Intanto la buona notizia è che si comincia a tagliare qualcosa.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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