2019-08-24
Salvini finché c’è respinge la Viking. I 365 immigrati sbarcano a Malta
Il no del Viminale ha sortito come effetto che gli africani fermi da 14 giorni sulla nave norvegese delle Ong francesi verranno trasbordati a La Valletta. Saranno poi inviati nei Paesi europei disponibili ad accoglierli.Il ministro dell'Interno non era in spiaggia nemmeno ieri. Dalle prime ore del mattino si stava occupando della Ocean Viking, negando lo sbarco all'ennesima Ong che voleva l'Italia come porto sicuro. Il no di Matteo Salvini ha sortito come effetto che un Paese, Malta, si è finalmente deciso a far scendere i 365 immigrati fermi da 14 giorni sulla nave norvegese delle Ong francesi Sos Mediterranée e Medici Senza Frontiere. Il premier maltese Joseph Muscat ha annunciato con un Twitter che avrebbe mandato forze armate a recuperare le persone a bordo, portandole a terra. Non resteranno a Malta, saranno subito inviate nei Paesi europei che si sono dichiarati pronti ad accoglierle. Odissea finita, dunque, per la Ocean Viking che stava ripetendo il copione di Open arms, di Sea Watch 3 e delle altre Ong che, accusando tensioni a bordo e mancanza di rifornimenti (nessuno in realtà l'avrebbe abbandonata senza viveri o medicinali), puntava sulle nostre coste per lasciarci altre centinaia di migranti. Il sindaco di Lampedusa, Salvatore Martello, l'aveva detto chiaramente, il centro d'accoglienza sull'isola è saturo, potrebbe ospitare un massimo di 96 persone ma ce ne sono 200. Adesso il carico umano della Viking sarà distribuito tra Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Romania, non si sa ancora in quale proporzione. Solo la Francia ha detto di essere pronta a ricevere 150 migranti, oltre ai 40 che sono sbarcati da Open arms: sicuramente Emmanuel Macron cerca di mostrarsi più solidale di quanto stia facendo con i clandestini rispediti in Italia, visto che oggi deve fare il padrone di casa del G7. Matteo Salvini ieri era soddisfatto, a ragione. In una diretta Facebook annunciava che «come promesso, la «Ocean Viking non verrà in un porto italiano, non porterà in Italia il suo carico di esseri umani che fruttano ai trafficanti milioni di euro». Il capo del Viminale ha ribadito che continua a lavorare nell'interesse di questo Paese e per la sua sicurezza: «Finché faccio il ministro dell'Interno, senza permesso qua non si arriva». Ha poi fornito gli ultimi dati sul calo degli sbarchi in Italia, perché «i numeri parlano chiaro». Se nel 2017, dal primo gennaio al 23 agosto di quell'anno arrivarono via mare 98.000 irregolari, nel 2018, quando era ministro da un paio di mesi, ne giunsero 19.526. «Nel 2019, fino ad oggi (ieri, ndr) gli sbarchi sono stati solo 4.722. Guardate un po' come nell'arco di due anni è cambiato il mondo. Spero che nessuno pensi di riportare al governo i Renzi dei porti aperti e delle porte aperte per tutti. Perché così fregano gli italiani», commentava il vice premier. Ricordando che «stare all'opposizione è molto più comodo che lavorare al Viminale impegnato su più fronti», il leader del Carroccio ha tenuto per ultimi i numeri che meglio confermano l'efficacia della sua politica sull'immigrazione. «Dal 2016 i morti in mare sono diminuiti di ben sei volte», dichiarava il ministro, spiegando che se in quell'anno morti e dispersi nel Mediterraneo erano stati 5.096, nel 2017 furono 3.139 e 2.277 nel 2018. «Nel 2019, con la cura Salvini, sono stai 839. Con la politica dei porti chiusi, dei controlli, dei sequestri, dei no alle Ong stiamo salvando migliaia di donne e di bambini che erano destinati alla morte. Lo dico anche a qualche uomo di Chiesa che ogni tanto mi attacca». Numeri dell'Onu, non del ministro dell'Interno, quelli snocciolati ieri nella diretta Facebook. La linea ferma del Viminale avrebbe funzionato anche con Open arms, perché la Spagna, Paese di provenienza del fondatore della Ong e Stato di bandiera dell'imbarcazione, si era finalmente decisa a venire a recuperare i migrati a bordo. Invece, grazie al sequestro disposto dalla Procura di Agrigento, che indaga per omissione e rifiuto di atti di ufficio, i clandestini sono stati fatti scendere a Lampedusa dove sembra si lamentino perché l'hot spot è troppo affollato. Òscar Camps, il catalano di Open arms che aveva riposto picche alla Spagna che lo invitava a portare i migranti ad Algeciras o a Minorca, adducendo come scusa che la nave era mal ridotta e il carico umano al limite della resistenza, mentre in realtà teme la multa di quasi un milione di euro per aver violato il divieto del governo spagnolo di compiere salvataggi in mare, ieri al quotidiano Abc ha confermato il lavoro «ai fianchi» compiuto con il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio. Camps ha spiegato che «il magistrato stava per firmare lo sbarco immediato dall'Open arms, ma quando la Spagna ci offrì un porto, il pm sospese il provvedimento. Noi abbiamo dovuto tornare alla carica per convincerlo», dichiara apertamente, dicendo di aver messo sotto tutti gli avvocati dell'Ong per riuscire nell'intento. Conclude orgoglioso: «Quello che 20 governi non hanno fatto in 14 mesi l'abbiamo ottenuto noi, buttando giù un decreto». E bravo Camps, che ha sempre sostenuto di non voler far politica ma solo salvare esseri umani. La strategia di avvalersi dei giudici per scardinare il decreto porti chiusi del Viminale sta diventando un grimaldello per le Ong, complice l'attenzione mediatica che sanno alimentare. Pensare che la vice premier spagnola, Carmen Calvo aveva annunciato che la nave Audaz si sarebbe riportata indietro tutti gli 83 migranti dell'Open arms, più i 15 che si erano gettati in mare. La nave dell'armata spagnola si sarà fatta sei giorni di viaggio, tra andata e ritorno, solo per 15 migranti. Questa, alla fine, è infatti la quota che spetta al Paese iberico.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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