2025-10-17
Strage a Verona, Salis frigna: «Colpita da campagna d’odio». Oggi i funerali dei carabinieri
L’eurodeputata fa la vittima dopo le frasi choc sulla «corresponsabilità politica»: «Strumentalizzata dalla destra». Alle esequie di Stato Meloni, La Russa e Schlein.Mentre Sergio Mattarella e il premier Giorgia Meloni saranno oggi ai funerali di Stato per Valerio Daprà, Davide Bernardello e Marco Piffari, i tre carabinieri uccisi in servizio dall’esplosione nel casolare di Castel d’Azzano, l’eurodeputata paladina delle occupazioni Ilaria Salis cerca di rimangiarsi gli strali con i quali aveva tentato di far ricadere colpe morali su chi governa, e si lagna sostenendo di essere vittima di una campagna d’odio. Nella Basilica di Santa Giustina a Padova, scelta per la celebrazione, arriveranno anche il presidente del Senato Ignazio La Russa, quello della Camera Lorenzo Fontana, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e la segretaria del Pd, Elly Schlein. E se Alleanza dei Verdi e sinistra annuncia la presenza di una delegazione guidata da Angelo Bonelli, da Bruxelles la Salis continua a giustificarsi: «Mi vengono attribuite frasi mai dette e concetti mai espressi», ha scritto dopo la bufera scatenata da un suo post in cui collegava la tragedia alla «negazione di un diritto fondamentale». Nel post apparivano sullo stesso piano la morte di tre servitori dello Stato e la crisi abitativa. Con questo passaggio: «Se la politica continuerà a non affrontare le cause profonde di questa crisi, dovrà considerarsi corresponsabile, insieme a quel capitalismo che ha trasformato la casa da bene essenziale a bene speculativo, di ciò che di orribile accade». Da destra è arrivato un coro unanime di indignazione. Ma la legalizzatrice delle occupazioni non si è piegata: «La morte di tre persone mi addolora ed esprimo la mia vicinanza umana alle famiglie delle vittime. Ma ribadisco che anche che la politica deve assumersi la propria corresponsabilità e affrontare le cause profonde del disagio». Intanto l’indagine prosegue. I fratelli Franco e Dino Ramponi, accusati di strage, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere davanti al gip di Verona, Carola Musio. La scelta di non collaborare rende più complicato chiarire il ruolo dei due, che non erano nell’abitazione saltata in aria insieme con la sorella Maria Luisa che, probabilmente (ma al momento è una ipotesi non confermata da alcuna fonte ufficiale), potrebbe aver deciso di sacrificarsi. Anche Maria Luisa è indagata. Portata in salvo dai soccorritori (gli stessi che hanno rischiato di finire sotto le macerie), è in terapia intensiva all’ospedale Borgo Trento, «intubata e in supporto farmacologico e respiratorio». È la più grave dei ricoverati. Nell’esplosione, oltre ai tre militari morti, sono rimaste ferite 34 persone, tra cui altri carabinieri e Vigili del fuoco. «Sul tetto la polizia di Stato aveva rinvenuto due bottiglie incendiarie», ha spiegato il capo della Procura di Verona, Raffaele Tito, «e stiamo visionando tutte le bodycam per ricostruire la dinamica». Quelle bottiglie molotov erano lì da mesi, immortalate dai droni dell’Arma tra febbraio e maggio. Il sospetto è che i fratelli avessero già pianificato tutto. Un gesto estremo, alimentato da rancore e delirio. La loro casa era stata pignorata per un mutuo del 2014 non saldato. Loro sostenevano di non aver mai firmato quel contratto. «Con mio fratello lottiamo da cinque anni per avere giustizia», aveva detto la Ramponi in alcune interviste, definendo il pignoramento ingiusto. Cinque anni di battaglie giudiziarie, che non hanno risparmiato accuse anche agli stessi avvocati dei Ramponi, per difendere il casolare e i terreni che coltivavano di notte. Vivevano senza luce, senza contatti, aggrappati alla terra come ultima certezza. Fino alla follia dell’altra notte, come ultimo gesto dimostrativo di una battaglia che esisteva solo nella loro testa. Per quel contratto, sostenevano, a nome di Franco (proprietario dell’abitazione) ma che portava la firma di Dino (senza alcuna proprietà e quindi non pignorabile) per un frutteto che doveva risollevare l’azienda di famiglia. I tre Ramponi presentarono anche una querela, tentando la strada delle «firme false». Ma si stabilì che il contratto fu firmato regolarmente davanti a un notaio. Da quel mutuo, secondo i Ramponi, sarebbe nata la maledizione. La banca chiedeva i soldi (il debito si aggirerebbe sui 200.000 euro), il Tribunale ha disposto il pignoramento, il custode giudiziario, Piergiorgio Bonini, mercoledì avrebbe dovuto notificare l’ultimo atto, quello dell’esproprio. L’epilogo di una lunga trattativa, passata anche attraverso la proposta (rifiutata) di trasferimento temporaneo in un albergo, grazie a dei fondi straordinari che il custode era riuscito a individuare. Ma ogniqualvolta lo Stato ha bussato alla porta, i Ramponi non hanno aperto. E in passato avevano già girato le valvole delle bombole. Ogni volta che arrivava l’ufficiale giudiziario, la casa diventava una trappola. Gas ovunque e finestre chiuse. Carabinieri e vigili del fuoco trattavano per ore, li convincevano a desistere. Ma l’altro giorno no. Qualcosa si è rotto. Ci hanno rimesso la vita i tre militari, ora promossi dall’Arma, morti, emerge dall’autopsia, per trauma da schiacciamento.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)