Oltre che dall’euro, il crollo degli stipendi è causato dagli eccessivi prelievi fiscali ai dipendenti, necessari per evitare la bancarotta dello Stato. Gravato dai passati sprechi, come reddito grillino e Superbonus.
Oltre che dall’euro, il crollo degli stipendi è causato dagli eccessivi prelievi fiscali ai dipendenti, necessari per evitare la bancarotta dello Stato. Gravato dai passati sprechi, come reddito grillino e Superbonus. La settimana scorsa, durante «Il giorno della Verità», il ministro dell’Economia e delle Finanze, rispondendo a una mia domanda, ha spiegato che i salari bassi sono l’effetto collaterale dell’euro, perché se prima, per restare competitiva, l’Italia svalutava la propria moneta, con l’entrata in vigore di quella comunitaria tutto ciò non è più stato possibile e dunque le aziende hanno rallentato la loro crescita e bloccato gli aumenti di stipendio. Il giorno dopo l’intervista di Giancarlo Giorgetti, l’Istat ha aggiunto un ulteriore elemento che aiuta a capire perché, nonostante il nostro Paese abbia organizzazioni sindacali apparentemente più forti e partecipate di quelle di Francia e Germania, i lavoratori siano retribuiti mediamente meno che altrove. Il tassello che si aggiunge alle parole del ministro dell’Economia, è che l’Italia si trascina da anni il fardello del debito pubblico e di una spesa statale fuori controllo. Giorgetti ha annunciato nell’intervista che in un anno sono stati tagliati sprechi per 3 miliardi, ma certo il problema non si risolve in dodici mesi. Soprattutto se si è costretti a pagare il conto delle follie pregresse, di quando a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte. Del Superbonus ha parlato sempre il ministro dell’Economia, ma nonostante lo abbia definito una droga di Stato, non ho visto grandi reazioni. Eppure, quella spesa suicida che ha consentito a pochi italiani di ristrutturare casa senza versare un soldo, è alla radice, insieme con l’euro, della mancata crescita dei salari. Infatti, se il tuo debito sale, oltre che per una tendenza strutturale, anche per una serie di misure come il 110 per cento, è evidente che non puoi ridurre il peso del Fisco sugli stipendi. Il Superbonus, con il meccanismo dello sconto in fattura e della vendita del credito fiscale, ha creato un buco nelle casse dello Stato e il governo, venuto dopo quelli di Giuseppe Conte e di Mario Draghi, altro non poteva fare che limitarsi a misure tampone, perché non ci sono più soldi per farne altre.Così, a una situazione già gravata da un’eccessiva pressione fiscale, si aggiunge l’impossibilità di intervenire per mitigare gli effetti del carico contributivo e del prelievo Irpef sui redditi del ceto medio. Consultando i dati Istat, si scopre l’acqua calda, cioè che ogni 100 euro di aumento dati a un lavoratore, se il suo reddito supera i 35.000 euro lordi, quasi la metà se li prende il Fisco. In pratica, gli effetti degli aumenti contrattuali su chi guadagna 2.000 euro sono quasi vanificati. Ma dietro quel prelievo forzoso dell’erario, c’è uno Stato affamato di soldi, costretto a tartassare chi paga le tasse per evitare la bancarotta. E, come ha spiegato Alberto Brambilla di recente, in Italia a versare le imposte sono soprattutto il ceto medio e i redditi più elevati, che sorreggono il peso di un welfare sempre più insostenibile.Mi viene in mente una vecchia copertina di Panorama degli anni Settanta dedicata all’autunno caldo: chi pagherà? Ecco, la risposta l’abbiamo davanti agli occhi. Pagano i lavoratori più qualificati, quelli più utili al Paese, quelli con una retribuzione apparentemente migliore. A quelli che non lavorano va il reddito di cittadinanza, a quelli che faticano in fabbrica o in ufficio, invece toccano le tasse. Dunque, non ci vuole molto a capire perché i salari siano bassi. Basta pensare a cinquant’anni di politiche conflittuali, che consideravano i salari una variabile indipendente dall’andamento di un’azienda, e a un’entrata nell’euro voluta da Romano Prodi (e Carlo Azeglio Ciampi) con il cappello in mano. Con un po’ di ritardo ne osserviamo quelli che Giorgetti ha definito «effetti collaterali».
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