
Da San Siro al bilancio, il rinvio delle elezioni mette il sindaco davanti a dossier esplosivi per la tenuta della maggioranza.«Alleluja, ora sarà costretto a dire come la pensa». Lo slittamento delle elezioni amministrative a ottobre crea una perfida allegria dentro il Pd milanese e il destinatario della frecciata è proprio Giuseppe Sala. Il Vanity sindaco, che ebbe la folgorazione della ricandidatura il giorno di Sant'Ambrogio mentre vagava in soggiorno in vestaglia di cachemire, ha cominciato la volata più lunga nella storia del ciclismo politico; un contrappasso per il re delle piste ciclabili che finiscono nel nulla. Un altro Beppe (Saronni) lo rimetterebbe sul triciclo. Qui il problema non è solo il vento in faccia ma la predisposizione al surplace; Sala non potrà più piantarsi su due ruote, immobile, senza prendere decisioni, aspettando il voto dietro l'angolo. Sui temi chiave della metropoli più europea d'Italia (come recita lo storytelling del Municipio 1) dovrà uscire allo scoperto e correre il rischio di aprire ferite in un «frente amplio» - al Pd milanese piace il linguaggio guevarista - tenuto insieme dai suoi silenzi. Perché non basta definirsi green per esserlo, non basta parlare di «visione complessiva di una rivoluzione sostenibile» per saper rattoppare le buche e conoscere le periferie. Le spine nel fianco sono tre e rischiano di diventare dolorose.La prima è quell'astronave sportiva fra un quartiere di prestigio e la Molenbeek islamico-milanese dalla quale gli elettori di Sala (e lui men che meno) stanno alla larga. È lo stadio di San Siro. Entro giugno deve rispondere a Inter e Milan che un anno fa hanno depositato i progetti con investimenti da 1,2 miliardi e oneri milionari per il Comune, hanno realizzato le modifiche richieste dalle commissioni, hanno offerto garanzie per la riqualificazione di tutta l'area. In più il Milan ha chiarito lo status della proprietà. Il sindaco è pronto ad aggrapparsi alla cessione dell'Inter, ma i margini sono scarsi: o Suning o un fondo. Nessuna opacità. In caso di mutismo istituzionale c'è un rischio, che Inter, Milan o tutte e due salutino per andare a costruire a Sesto San Giovanni o a Bresso. Allora il sindaco ciclista passerebbe alla storia per avere sfrattato due dei club più famosi del mondo. Vanity Sala dovrà decidere oltre l'ideologia, guidare il Consiglio comunale nella tempesta; gli ecologisti che ha coccolato (solo a parole ma loro ci cascano) per cinque anni e la parte dem contraria all'abbattimento del Meazza potrebbero presentargli il conto. Allora dovrà dire ai milanesi se guarda al futuro della città o alle gastriti del partito del niet. Il Pd è in ebollizione anche per la scelta del sindaco di affrontare l'eventuale secondo mandato con una filosofia più civica, lontana dalla politique politicienne. La decisione di non accettare candidature di chi ha già fatto due mandati non è casuale: resterebbero fuori tre assessori pesanti come Marco Granelli, Pierfrancesco Maran (in forte ascesa nel partito) e Cristina Tajani. Tutti piddini, tutti rampanti, i primi due disastrosi. Per intenderci, l'assessore all'Urbanistica e al verde Maran è l'Einstein delle piste ciclabili tirate giù a colpi di vernice gialla con effetti micidiali su traffico, parcheggi, commercio.La seconda spina è di calcestruzzo, alta come il Pirellino. Il campo è quello minato dell'urbanistica immobiliare, alla quale il borgomastro è molto sensibile. Ancora Maran - forse per scalare il partito in assenza dell'altro Pierfrancesco (Majorino) mandato a svernare fra Bruxelles e la villa sul lago di Como -, ha deciso di opporsi anima e corpo alla legge regionale sulla Rigenerazione urbana, che consente a chi ristruttura palazzi abbandonati di ottenere un bonus del 25% nelle volumetrie. È un forte incentivo a riqualificare anche aree degradate, che nel resto della Lombardia sta ottenendo consensi ma che la Milano progressista contesta in chiave anti immobiliare. Tutti allineati tranne il sindaco, al quale è venuto un colpo quando ha scoperto che il maggiore beneficiario sarebbe Manfredi Catella, mister Porta Nuova, il costruttore impegnato a ristrutturare il grattacielo del Pirellino, con progetto dell'archistar Stefano Boeri, altro campione dell'ecologismo virtuale. Davanti al plastico il sindaco ha semplicemente detto: «Interessante». Fosse per lui la variante passerebbe, l'investimento è di 300 milioni, l'impatto urbanistico è compatibile in un'area caratterizzata dall'architettura verticale. La Coima di Catella (già partner di Sala nella realizzazione del Villaggio olimpico allo scalo ferroviario di Porta Romana) attende una risposta. Se fosse no, il sindaco confermerebbe la tesi che Milano si è modernizzata nonostante la sinistra. E nonostante lui.La terza spina è il bilancio di guerra. Sala aveva deciso di spostarlo dopo le elezioni, ma ora dovrà intestarsi la voragine, senza i 309 milioni di Atm, senza i 100 milioni di Sea (anzi ci sarà da ricapitalizzare), senza i 60 milioni di tassa di soggiorno. E con tagli ai servizi. Per tenere buoni centri sociali e sinistra radicale dovrà inventarsi qualcosa. I bollini antifascisti sulle vetrine dei negozi (fesseria molto cool) potrebbero non bastare.
Da sinistra, Antonio Laudati e Pasquale Striano. Sotto, Gianluca Savoini e Francesca Immacolata Chaouqui (Ansa)
Pasquale Striano e Antonio Laudati verso il processo. Assieme a tre cronisti di «Domani» risponderanno di accessi abusivi alle banche dati. Carroccio nel mirino: «attenzionati» tutti i protagonisti del Metropol, tranne uno: Gialuca Meranda.
Quando l’ex pm della Procura nazionale antimafia Antonio Laudati aveva sollevato la questione di competenza, chiedendo che l’inchiesta sulla presunta fabbrica dei dossier fosse trasferita da Perugia a Roma, probabilmente la riteneva una mossa destinata a spostare il baricentro del procedimento. Il fascicolo è infatti approdato a Piazzale Clodio, dove la pm Giulia Guccione e il procuratore aggiunto Giuseppe Falco hanno ricostruito la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti di primo piano del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. Il trasferimento del fascicolo, però, non ha fermato la corsa dell’inchiesta. E ieri è arrivato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari.
Angelina Jolie a Kherson (foto dai social)
La star di Hollywood visita Kherson ma il bodyguard viene spedito al fronte, fino al contrordine finale. Mosca: «Decine di soldati nemici si sono arresi a Pokrovsk».
Che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, trovi escamotage per mobilitare i cittadini ucraini è risaputo, ma il tentativo di costringere la guardia del corpo di una star hollywoodiana ad arruolarsi sembra la trama di un film. Invece è successo al bodyguard di Angelina Jolie: l’attrice, nota per il suo impegno nel contesto umanitario internazionale, si trovava a Kherson in una delle sue missioni.
I guai del Paese accentuati da anni di Psoe al governo portano consensi ai conservatori.
A proposito di «ubriacatura socialista» dopo l’elezione a sindaco di New York di Zohran Mamdani e di «trionfo» della Generazione Z (il nuovo primo cittadino avrebbe parlato «a Millennial e giovani»), è singolare la smentita di tanto idillio a sinistra che arriva dalle pagine di un quotidiano filo governativo come El País.
Oggi alle 16 si terrà a Roma l’evento Sicurezza, Difesa, Infrastrutture intelligenti, organizzato dalla Verità. Tra gli ospiti, Roberto Cingolani, ad di Leonardo, e Marco Troncone, ad di Aeroporti di Roma. Si parlerà di innovazione industriale, sicurezza contro rischi ibridi, tra cui cyber e climatici, con interventi di Pietro Caminiti di Terna e Nicola Lanzetta di Enel. Seguiranno il panel con Nunzia Ciardi (Agenzia cybersicurezza nazionale), e l’intervista al ministro della Difesa Guido Crosetto (foto Ansa). Presenterà Manuela Moreno, giornalista Mediaset, mentre il direttore della Verità, Maurizio Belpietro, condurrà le interviste. L’evento sarà disponibile sul sito e i canali social del quotidiano.





