
Il cardinale, ex presidente della Cei, sveglia la Chiesa sulla legge bavaglio: «La differenza tra uomo e donna viene criminalizzata». E punta il dito sulla stampa cattolica: «Non parla chiaro come hanno fatto i vescovi».«La libertà è in pericolo. Guai se cediamo su questo». Ci vuole un cardinale di 89 anni per scuotere i cattolici che dormono. Ci vuole la forza inesauribile di un ex presidente della Cei per provare a svegliare la Chiesa sonnecchiante e i giornali della parrocchia che non capiscono (o fingono di non capire) la sfida epocale che si sta per affrontare. Ci vuole il corpo ormai curvo di un uomo di fede per provare a tenere la barra dritta di chi sembra avere smarrito la via. Ci vuole Camillo Ruini, insomma, per urlare in sagrestia che alla (cosiddetta) legge contro l'omofobia bisogna dire di no, con forza, perché quella non è una legge contro l'omofobia ma è una legge contro la libertà di espressione. Una legge per la censura. Una legge per la dittatura del pensiero unico. Una legge che minerebbe alla base la nostra civiltà. E che ci farebbe scivolare verso l'assolutismo del ridicolo. Perché, conclude Ruini, «è ridicolo che la differenza tra uomo e donna possa venire alla fine criminalizzata».Quel ridicolo, però, si sta trasformando in norma scritta della nostra Repubblica. Una norma, alle cronache nota come legge Zan, che come al solito si presenta con tutti i diabolici crismi del politicamente corretto, quelli che travestono il peggior male da sommo bene. Per fregarci alla grande. In effetti: se dicono che una legge punisce la violenza contro gli omosessuali, chi può essere contrario? Ovvio: nessuno. Peccato però che quel provvedimento abbia come obiettivo non quello di punire la violenze fisiche o verbali contro gli omosessuali (del resto, non ce ne sarebbero bisogno: già ci sono le leggi per punire le violenze fisiche o verbali contro ogni persona…), ma di introdurre il reato di opinione, come nei peggiori regimi autoritari, incatenando la libertà di espressione. Purtroppo è un'abitudine che si sta diffondendo, in questa democrazia ormai sempre più limitata: basti pensare al regolamento sul cosiddetto hate speech dell'Agcom, che viene usato come strumento di polizia del pensiero per bastonare chi non la pensa come lorsignori.Ma il cardinal Ruini non ci sta. E suona la carica. «Dobbiamo difendere la libertà di espressione», ha detto presentando il libro scritto con il senatore Gaetano Quagliariello (Un'altra libertà) in una diretta online insieme con monsignor Nicola Bux. E ha accusato la legge Zan di essere «un tipico esempio di dittatura del relativismo»: «In nome di alcune idee», ha spiegato, «essi ritengono non solo di poterle affermare, ma di criminalizzare idee diverse. E quindi un relativismo che diventa in realtà assolutismo». E dunque diventa una minaccia per noi. Infatti, ha concluso Ruini, «se concediamo questa possibilità di censurare penalmente, non delle offese, non delle istigazioni a colpire, ma semplicemente delle valutazioni di ordine antropologico e morale, allora veramente la libertà è in pericolo».Ora verrebbe da chiedersi: ce ne stiamo rendendo conto? Ci stiamo rendendo conto del rischio che stiamo correndo? Ci stiamo rendendo conto che, se passa questa legge, anche solo sostenere che un bimbo nasce da una mamma e un papà diventerà un atto criminale? Condannabile? Perseguibile? Ci rendiamo conto che si potrà finire in prigione perché si esprime un'opinione (semplicemente un'opinione: condivisibile o no, ma per nulla offensiva) che è meglio dare in adozione un neonato a una coppia etero anziché a una coppia gay? Se ne rendono conto gli italiani? Anche quelli che non condividono, anche quelli che la pensano diversamente: si rendono conto che impedire l'espressione di un pensiero (anche se con quel pensiero non si è d'accordo) è un attacco ai principi stessi della nostra civiltà?Nonostante tutto il cardinal Ruini è ottimista. È convinto che «lanciando queste idee alla grande opinione pubblica si possano ottenere vasti consensi», anche di persone con formazione culturale diversa e lontana dai valori cristiani. Qui, in effetti, non è in gioco un credo: è in gioco un principio. E la difesa dei principi dovrebbe essere nell'interesse di tutti. Però, certo, è sorprendente che i cattolici non siano in prima fila in questa battaglia, che non facciano sentire la loro voce, non incidano nel dibattito come dovrebbero. E su questo punto l'ex presidente della Cei tira la sua stoccata più forte, proprio contro il quotidiano della Cei, Avvenire: «La Conferenza episcopale italiana», dice Ruini, «si è espressa in maniera tempestiva e chiara», ma «i giornali cattolici continuano a essere piuttosto ambigui». Ambigui, proprio così. E perché Avvenire è «ambiguo»? Perché il giornale che è diretta espressione della Cei non segue con decisione la Cei in questa battaglia così importante? Perché cede al pensiero unico rischiando di compromettere valori e libertà fondamentali? Al cardinal Ruini piacerebbe saperlo. A noi anche di più.
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