2020-06-18
Rossi indagato, ombre sui bus ai francesi
L'accusa per il presidente della Toscana è turbativa d'asta. Nel mirino un bando per il trasporto locale vinto dai transalpini di Ratp, già sponsor della festa dell'Unità di Firenze. Il governatore svelò l'esito della gara quattro giorni prima dell'assegnazioneLe aziende cinesi di Prato che producevano false protezioni facevano lavorare i propri operai in condizioni allucinantiLo speciale contiene due articoliIl presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, è indagato dalla Procura di Firenze per turbativa d'asta. L'inchiesta riguarda la gara regionale per il trasporto pubblico locale: un bando da quasi 4 miliardi di euro che nel novembre 2015 era stato vinto dalla società Autolinee toscane, controllata dalla Régie autonome des transports parisiens (Ratp), a sua volta posseduta dallo Stato francese. Con Rossi, governatore Pd della Toscana dal 2010, sono indagati due funzionari della Regione, Riccardo Buffoni e Ivana Malvaso, e quattro membri della commissione giudicatrice di cinque anni fa: Stefano Pozzoli, Patrizia Lattarulo, Gabriella Rorandelli e Mario Sebastiani. Nei loro confronti le accuse, a vario titolo, sono l'abuso d'ufficio, la turbativa d'asta e l'induzione a promettere o dare utilità.La vicenda comincia a fine 2014, quando la Toscana lancia la gara per il mega-appalto dei trasporti locali, una concessione della durata di 11 anni. I concorrenti sono due. Da una parte c'è Mobit, un consorzio italiano di aziende dei trasporti che già dal 2005 gestisce quel servizio; dall'altra parte ci sono i francesi di Ratp, con la loro Autolinee toscane. Nel luglio 2015 i due concorrenti presentano le offerte. Il 13 novembre, quando mancano pochi giorni alla comunicazione ufficiale da parte della commissione giudicatrice, Rossi viene intervistato da Aska News e dice: «Hanno vinto i francesi». Il governatore aggiunge una netta critica a Mobit: «Dall'altra parte avevamo i consorzi locali», dice Rossi, «con i loro tanti sprechi». L'allora presidente di Mobit, Andrea Zavanella, reagisce con una dichiarazione secca: «Preferiremmo più neutralità». Alla fine, malgrado polemiche che subito diventano feroci, cinque anni fa la commissione attribuisce la concessione miliardaria a Ratp: il ribasso dei francesi è il 3%, contro l'1,75% degli italiani. Mobit, però, non accetta il risultato e scatena un contenzioso amministrativo fra Tar, Consiglio di Stato e Corte di giustizia europea. È una battaglia che va avanti fino ai giorni nostri. Mobit cerca di dimostrare le presunte irregolarità della vittoria dei francesi, segnalando tra l'altro che nel 2015 Ratp aveva già ottenuto dal governo di Parigi la concessione diretta del trasporto pubblico nell'Île-de-France, e che in base ai regolamenti europei contro le distorsioni della concorrenza, questo fatto di per sé avrebbe dovuto impedirle di partecipare a gare estere. I ricorsi di Mobit, però, vengono tutti vanificati: l'ultima sconfitta risale a lunedì scorso, 15 giugno, quando il Consiglio di Stato ha respinto un'istanza di sospensione cautelare della gara. L'appalto, che nel frattempo avrebbe dovuto essere operativo dal 1° giugno 2020, a causa dell'emergenza coronavirus è slittato al primo luglio.Anche l'inchiesta penale fiorentina nasce da un esposto dei soci di Mobit, presentato nel giugno 2019. Nella denuncia, la società conferma i sospetti sull'intervista di Rossi ad Aska News del 13 novembre 2015, e ricorda che quel giorno la gara era ancora in corso, «dato che i piani economico-finanziari delle due concorrenti sono stati valutati dalla commissione solo quattro giorni dopo, il 17 novembre, mentre l'aggiudicazione provvisoria è stata disposta solo il 24 novembre».Mobit nell'esposto contesta altre anomalie, già segnalate nel 2016 da Claudio Borghi Aquilini, allora consigliere regionale della Lega e portavoce dell'opposizione. Borghi aveva denunciato che nell'estate 2015 proprio Ratp era stata sponsor della Festa dell'Unità a Firenze; e che Remo Fattorini, già portavoce di Rossi e dei governatori toscani negli ultimi vent'anni, avesse lasciato quell'incarico per essere assunto da Ratp. «Quei due fatti», ricorda alla Verità Borghi, oggi parlamentare leghista, «mi avevano insospettito parecchio». Ora nell'esposto di Mobit si leggono altre coincidenze sospette: e cioè che Ratp aveva assunto anche la figlia di Fattorini, e che lo stesso era accaduto a «Marco Gorelli, già consulente della Regione in materia di trasporto pubblico locale». Di più. La denuncia sottolinea che uno dei componenti della commissione giudicatrice, cioè il professor Stefano Pozzoli (oggi tra gli indagati), «è stato membro del collegio sindacale di Alexa, società operante nei trasporti pubblici, il cui azionista di maggioranza era Ratp international, e il cui presidente è l'attuale presidente di Autolinee toscane». Mobit contesta anche fatti avvenuti durante la gara. In particolare rileva irregolarità nel deposito del Piano economico finanziario, il Pef, che ogni concorrente doveva produrre «anche su supporto digitale». Nell'esposto si legge: «Dalle imbarazzate e imbarazzanti difese svolte dalla Regione Toscana nel giudizio amministrativo, si è tratta la ragionevole convinzione della sussistenza di reati, consistenti nella falsa attestazione di un tempestivo deposito del Pef». Mobit sostiene insomma che il dvd di Ratp sarebbe stato depositato soltanto due giorni dopo la regolare scadenza. Rossi, ieri, ha reagito con forza alla notizia dell'inchiesta. Contestando «l'esposto della cordata d'imprese che ha perso la gara», il governatore ha dichiarato: «A volte, ricevere un avviso di garanzia è segno del fatto che si fanno cose importanti a favore dei cittadini e che si toccano interessi che non vogliono mettersi da parte». Sull'inchiesta fiorentina, ieri è intervenuto anche Matteo Salvini: «Vergogna in Regione Toscana», ha detto il leader della Lega. «Il maxi-appalto assegnato ai francesi - e già questo grida vendetta - finisce sotto inchiesta, ed è indagato anche il governatore di sinistra. I cittadini toscani meritano di meglio».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/rossi-indagato-ombre-sui-bus-ai-francesi-2646193569.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-mascherine-tarocche-destinate-alla-regione-fabbricate-in-mezzo-ai-topi" data-post-id="2646193569" data-published-at="1592418549" data-use-pagination="False"> Le mascherine tarocche destinate alla Regione fabbricate in mezzo ai topi Al peggio non c'è davvero mai fine. Non solo le mascherine che avrebbero dovuto proteggere i cittadini toscani non servivano a nulla e non erano certificate, ma venivano prodotte in laboratori cinesi di Prato pieni di topi e sporcizia. Ieri sera Tommaso Mattei, durante la trasmissione di Rete 4 condotta da Mario Giordano Fuori dal coro, ha mostrato delle immagini davvero raccapriccianti. Le ditte si trovavano in capannoni sprovvisti di estintori e bagni per disabili e il livello igenico era ben sotto ciò che può essere tollerato. Le intercettazioni mandate in onda durante l'esaustivo servizio fanno capire come l'unica finalità degli imprenditori fosse il massimo profitto. Ma c'è di più. La guardia di finanza ha scoperto che gli stessi operai cinesi, mentre erano intenti a confezionare le mascherine tarocche, indossavano dispositivi Fpp3. E scherzavano tra di loro sull'inutilità di quel pezzo di stoffa che avrebbe al contrario dovuto proteggere i toscani dall'emergenza Covid. Un'autentica beffa. Un'inchiesta partita grazie ad un blitz della guardia di finanza di Prato e raccontata cinque giorni fa dal nostro quotidiano. I 250 agenti impegnati hanno scoperto una gigantesca truffa: le mascherine chirurgiche vendute alla Protezione civile e a Estar, la centrale di acquisti della Regione Toscana, non sono a norma. Ma c'è di più: sono state prodotte da lavoratori in nero in decine di aziende cinesi presenti nel capoluogo toscano. Sfruttamento del lavoro e violazioni alla sicurezza, intermediazione illecita, frode nelle pubbliche forniture e truffa ai danni dello Stato: sono solo alcuni dei reati contestati ai titolari (o ai prestanome, starà agli inquirenti stabilire anche questo importante aspetto) delle 28 ditte del distretto tessile pratese. Le fiamme gialle hanno individuato oltre 90 dipendenti che lavoravano senza un regolare contratto, senza assicurazione e spesso in condizioni di scarsa sicurezza. Tredici gli arresti, milioni le mascherine sequestrate, oltre ai macchinari e ai conti correnti a nove zeri. Gli imprenditori, in realtà, erano dei veri e propri aguzzini: obbligavano gli operai a turni massacranti, talvolta anche di sedici ore consecutive. Le uscite di sicurezza erano sigillate, per evitare anche la sola tentazione di andare a fumare una sigaretta o riposarsi due minuti. Un giro di affari gigantesco che è arrivato a toccare i 45 milioni di euro. L'annus horribilis del governatore Enrico Rossi si compone così di un ulteriore tassello. Il 2020 lo ha visto involontario protagonista delle cronache prima durante il battibecco col virologo Roberto Burioni (ormai famigerata l'accusa di essere un «fascioleghista» per chi ha osato discostarsi dal pensiero unico rossiano), poi grazie alle inchieste della Verità sui morti nelle residenze per anziani. Senza dimenticare i 200 ventilatori pagati ben sette milioni di euro e mai arrivati. Secondoquanto raccontato fra gli altri, anche questa volta, da Fuori dal coro, ben 160 sono ancora fermi alla dogana a Bologna, mentre i restanti 40 sono all'aeroporto di Malpensa. L'esponente del partito democratico ha subito dichiarato che, di fronte alla conferma delle irregolarità riscontrate dalla guardia di finanza, la Regione sarebbe parte lesa. Una presa di posizione che non è bastata all'opposizione. Da Marco Stella (Forza Italia) a Paolo Marcheschi (Fratelli d'Italia), da Jacopo Alberti (Lega) fino a Francesco Torselli (Fdi) si è alzato un unico coro per chiedere al governatore di chiarire, in aula, i dettagli dell'intera vicenda.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)