
La smania bellica di molti leader dell’Ue ha giustificazioni fragili. Non tiene conto dei reali rapporti di forza ed esclude l’idea di una pacifica convivenza a Est. Il vero obiettivo è riconvertire settori disastrati.In occasione di una visita a una base militare, il 18 marzo scorso, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha affermato: «Il nostro Paese e il nostro continente devono continuare a difendersi, equipaggiarsi e prepararsi se vogliamo evitare la guerra»; guerra che - ça va sans dire - la Russia, altrimenti, senza dubbio scatenerebbe una volta conclusa a suo favore (con la complicità, dopo la svolta operata da Donald Trump, degli ormai quasi alleati Stati Uniti) la partita in corso con l’Ucraina. Visto che ha parlato di «nostro continente» sarebbe però, forse, il caso che qualcuno rammentasse a «monsieur le Président» non solo che, secondo le comuni nozioni di geografia, il continente europeo comprende anche la Russia ma anche (e soprattutto) che tra i suoi predecessori, oltre a Napoleone Bonaparte, al quale egli vuole ispirarsi, vi è stato anche un certo Charles de Gaulle, per il quale era tutta Europa quella che va «dall’Atlantico agli Urali». E ciò diceva non certo per sfoggio di conoscenze geografiche ma per esprimere un concetto basilare della sua visione politica, secondo cui - ferma restando la contrapposizione tra il sistema politico-economico dell’Occidente liberal-democratico e quello della Russia sovietica, come pure la necessità di mantenere, nella Francia e nei suoi alleati europei, un’adeguata forza militare dissuasiva da eventuali tentazioni aggressive di qualunque provenienza - doveva però rifiutarsi l’idea di una permanente e irrimediabile conflittualità tra l’Europa occidentale, alleata degli Usa, e quella orientale, rappresentata dalla Russia e dai Paesi a essa legati nel Patto di Varsavia. Quella che doveva prevalere, invece, era l’idea - peraltro sostanzialmente condivisa anche dai governanti di tutti gli altri Paesi europei aderenti alla Nato - che con l’Europa orientale, Russia compresa, dovesse instaurarsi una «convivenza pacifica», nella ritrovata consapevolezza dei comuni legami di civiltà. Completamente diversa appare, invece, la visione non del solo Macron, ma anche di gran parte degli altri governanti dei Paesi dell’Ue, come pure della Commissione europea, a partire dalla sua presidente, Ursula von der Leyen, e della maggioranza dell’Europarlamento. Secondo tale visione, infatti, la Russia sarebbe da riguardarsi, per sua natura - almeno fino a che non intervenisse un radicale mutamento del suo attuale regime politico - come nemica dell’Europa e desiderosa soltanto di sottoporla al suo dominio. Ciò escluderebbe, quindi, la possibilità di una qualsiasi «pacifica convivenza» con essa ma esigerebbe, piuttosto, un sempre maggiore rafforzamento militare, in funzione dissuasiva, della componente europea della Nato, soprattutto in considerazione - si sostiene - della sopravvenuta inaffidabilità, sotto l’attuale presidenza Trump, della garanzia di protezione finora offerta dagli Usa. Non occorre, tuttavia, una particolare competenza in materia geopolitica o militare per rendersi conto, sulla base della logica più elementare e di nozioni di pubblico dominio, della totale infondatezza di tale ragionamento. Ammesso, infatti, e non concesso che la Russia nutra effettivamente i propositi di aggressione che le vengono attribuiti (e dei quali non ci sono né prove né indizi di sorta) i casi sono due: o si esclude l’affidabilità della garanzia americana, e allora è del tutto illusorio ritenere che un pur massiccio riarmo convenzionale dei singoli Paesi dell’Ue o anche solo di quest’ultima (cosa che appare, peraltro, totalmente priva di fattibilità) possa assumere un’effettiva efficacia deterrente nei confronti di una Russia che dispone di un arsenale nucleare dieci volte più potente di quello, congiunto, della Francia e della Gran Bretagna e potrebbe servirsene senza perciò esporsi - date le premesse - a una massiccia rappresaglia quale potrebbe provenire solo dagli Usa, essendo questi ultimi gli unici a essere dotati di un arsenale nucleare equiparabile al suo; oppure si ritiene tuttora affidabile la garanzia americana, e allora non può più prospettarsi come necessario un riarmo europeo che sopperisca alla sua assenza. E che su quella garanzia si possa, in effetti, continuare a far conto, nonostante le estemporanee uscite verbali di Trump circa la sua subordinazione a un maggior contributo economico da parte dei Paesi europei, appare tutt’altro che irragionevole, almeno fino a quando, in assenza di un formale ritiro degli Usa dalla Nato (cosa, peraltro, mai seriamente prospettata) resti perciò operante l’incondizionato obbligo di intervento, da parte loro, ai sensi dell’art. 5 del trattato, in caso di attacco armato della Russia a uno degli alleati europei; obbligo al quale difficilmente potrebbero avere la faccia di sottrarsi, salva, forse, la sola eventualità che l’attacco fosse stato sconsideratamente provocato dallo stesso Paese che l’ha poi subito. Nell’uno e nell’altro caso, quindi, l’Ue e i singoli Paesi che ne fanno parte, lungi dal mostrare «sgomento» - come incredibilmente affermato qualche giorno fa dal Parlamento europeo - a fronte delle attuali prospettive di riavvicinamento tra Russia e Usa, dovrebbero invece associarvisi, nell’evidente interesse di quella stessa pace che mostrano, invece, di voler perseguire facendo leva, assurdamente, sull’efficacia deterrente di una forza che non hanno e che mai potranno avere nella misura che sarebbe necessaria. Il che altra spiegazione non può avere se non quella che i governanti europei che predicano la necessità del riarmo lo facciano per finalità che, con la pace e, quindi, con la sicurezza e il benessere dei loro popoli, non hanno, in realtà, nulla a che vedere ma molto hanno, invece, a che vedere con un’altra esigenza da loro avvertita: quella, cioè, di mascherare in qualche modo, forzando al massimo l’industria degli armamenti, sotto pretesto di un fantomatico pericolo di futuri attacchi da parte della Russia, il disastro che essi stessi hanno prodotto, con le sciagurate politiche di transizione «green», in altri settori industriali, con particolare riguardo a quello automobilistico. Se così è, rimane, quindi, solo da sperare nel vecchio detto secondo cui è possibile ingannare alcuni per sempre e tutti per un certo tempo, ma non è possibile ingannare tutti per sempre. E che, in effetti, la regola funzioni s’intravede, per fortuna, qualche segno.
Giulia Buongiorno (Ansa)
La proposta è rimandata per supplementi di indagine. Giulia Bongiorno: «Scriverla bene».
«C’era un accordo politico importante, alla Camera c’è stato un voto unanime su questa legge, i massimi vertici dei gruppi parlamentari si erano stretti la mano e ciò ora significa che stringersi la mano con questa destra non vale niente perché all’ultimo momento si può tornare indietro, smentendo addirittura un voto unanime del parlamento. E hanno deciso di farlo proprio oggi, il 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ndr)». È uscito dalla commissione Giustizia del Senato sbraitando che la destra ha stracciato l’accordo sul ddl stupro, il senatore di Italia viva Ivan Scalfarotto.
Nel riquadro la produttrice Giulia Maria Belluco (iStock)
La produttrice di «C14» Giulia Maria Belluco spiega: «Ci abbiamo messo cinque anni per scrivere la sceneggiatura. Le riprese saranno girate l’anno prossimo tra Veneto e Alto Adige». Si cercano ancora due attori internazionali...
Nasce in Veneto un film, C14, sulla Sacra Sindone, la più importante reliquia della cristianità, la cui storia è trapunta di dispute per verificarne scientificamente l’autenticità. Una nota ricerca britannica del 1988 con il radiocarbonio-14 la datò tra il 1260 e il 1390, negando che sia il sudario che ha avvolto il volto di Cristo. Analisi successive, tuttavia, hanno confutato tale risultato, come quelle del professor Giulio Fanti, dell’università di Padova, consulente della sceneggiatura, intervistato dalla Verità il 14 novembre 2024. La produttrice del film è Giulia Maria Belluco, 35 anni, nata a Treviso. Vive a Bassano del Grappa (Vicenza) ed è titolare della EriadorFilm. «L’ho acquisita nel 2023» spiega «con l’obiettivo di portarla sul mercato internazionale attraverso collaborazioni con Paramount, Discovery, Magnolia, Hallmark con le quali abbiamo fatto co-produzioni e produzioni esecutive qui in Italia. Una delle più viste è quella sulla famiglia Stallone, girata tra Puglia e Lazio».
Pier Paolo Pasolini (Getty Images)
Oggi il discusso evento sui lati conservatori del grande scrittore. La sinistra grida alla lesa maestà, eppure ha avallato per anni ricostruzioni farlocche sulla sua morte, al fine di portare avanti astruse piste politiche. E il vero vilipendio è proprio questo.
Il convegno su Pier Paolo Pasolini organizzato da Fondazione Alleanza Nazionale e dal Secolo d’Italia che si terrà oggi pomeriggio a Roma, il cui fine - come da titolo: «Pasolini conservatore» - è quello di dibattere (con il contributo di numerosi relatori tra cui il critico letterario Andrea Di Consoli, certamente non vicino alla destra politica) gli aspetti dell’opera e del pensiero pasoliniani che appaiono in conflitto con la sua area ideologica di appartenenza, quella comunista, è vissuto dalla sinistra italiana letteralmente come un sacrilegio. Nonostante dai curatori dell’evento sia già stato chiarito in tutte le maniere possibili che scopo del convegno è unicamente promuovere una discussione, senza nessuna volontà di «annettere» PPP - operazione che non avrebbe d’altronde senso alcuno - al pantheon culturale della destra, a sinistra si è addirittura giunti a gridare alla «profanazione», come fatto ieri, a botte di gramscianesimo mal digerito, dal professor Sergio Labate sul quotidiano Domani.
Gaia Zazzaretti prima e dopo il vaccino (iStock)
L’ex karateka Gaia lo sente in tv e sceglie di porgere il braccio. Poi, la malattia neurologica. Ma la virostar nega il nesso.
È vero che non se ne può più di «burionate». Ma come si può passare sotto silenzio gli ultimi post della virostar più famosa d’Italia, mentre continua a disinformare e contemporaneamente ridicolizzare persone danneggiate dal vaccino anti Covid chiamandoli #sorciscemi, senza alcun rispetto anche del diritto, di tutti noi, a essere informati correttamente su questioni che riguardano la salute, specie da chi dovrebbe avere, come lui, il dovere di dare informazioni corrette?






