2022-10-26
Altro che favola: Sunak è figlio dell’impero
Rishi Sunak (Getty Images)
Il nuovo premier inglese non è un povero immigrato ricompensato dalla fortuna: è un uomo intriso della cultura del merito e dello studio, checché ne dicano i «santini» italiani. E un ottimo matrimonio gli ha pure spalancato le porte della ricchezza.«Non credete alle favole». È il motto preferito di Rishi Sunak ed è necessario ricordarlo subito per non credere fino in fondo neppure alla sua. Quella dell’immigrato toccato dal destino, quella dell’ultimo che scala l’Everest, in definitiva quella del santino multicult che molti Beppe Severgnini dei media italiani ci stanno apparecchiando per rilanciare il mantra di inclusione e resilienza. Sintesi dadaista: dal barcone a Downing Street. I ritratti in fotocopia che sanno di curry dimostrano solo la devozione degli autori per la filmografia di Ken Loach. E più che rappresentare stravolgono la vicenda umana, professionale e politica del primo indiano ad aprire la porta del più famoso «numero dieci» del mondo, esclusi Diego Maradona e Pelé. Tanto per cominciare, Sunak è un suddito dell’impero. È l’eredità sociale in movimento di quel mondo. Se ha saputo scalare il destino e trovare le chiavi per trovare un posto nel cuore degli inglesi è perché si sente britannico dentro, ha completato un percorso di assimilazione cominciato dai genitori, ha creduto profondamente nella cultura e nelle tradizioni che da Piccadilly Circus s’irradiavano fino all’India più profonda. Ha letto Baionette a Lhasa di Peter Fleming, ha portato con sé (metabolizzandoli ogni giorno) i valori e i capisaldi non negoziabili della religione induista. Li ha trapiantati a Southampton, nell’Hampshire, trovando solide connessioni con la civiltà che lo ha accolto. In definitiva è un interprete modernissimo di quel pensiero forte che nulla ha a che spartire con le comuni miliardarie degli eterni bambini siliconvallici, le mascherate della Cancel culture e gli schwa boldriniani. Leggendo la sua storia si evince che il nuovo premier (a 42 anni anche il più giovane di sempre) non poteva che essere conservatore o al massimo laburista blairiano del secondo mandato. Lui non sporca la statua di Winston Churchill ogni sabato, tutt’al più è fra quei ragazzi che dopo il passaggio dei barbari la ripuliscono. È figlio di Yashvir e Usha, nati in Kenya e in Tanzania, lui medico e lei farmacista, due ragazzi di etnia hindo punjabi che quando decisero di emigrare negli anni 60 sapevano cosa lasciavano e soprattutto cosa avrebbero trovato. Professionisti, migranti specializzati, di quelli che piacevano anche ad Angela Merkel. Hanno saputo rimboccarsi le maniche e accendere un cero sotto termini oggi contestati dal progressismo radical chic in Italia: sovranità e merito.Durante gli studi Sunak aiutava la mamma in farmacia, andava a lavorare come cameriere nel ristorante indiano del quartiere. Non lo faceva per riempire le giornate o per giustificare un minimo di partecipazione ai sacrifici famigliari in attesa del reddito di cittadinanza, ma per affrontare meglio la strada in salita, per guadagnare il rispetto di se stesso e della comunità. Il figlio di un medico e di una farmacista non parte mai da zero, ed ecco che si spiegano l’ingresso al prestigioso Winchester College, poi le lauree a Oxford (filosofia, economia e politica) ottenute mettendo la testa sui libri, impegnandosi duramente per arrivare a incassare le borse di studio. Il giovane Sunak non sa cosa significhi la parola assistenzialismo.La sua è una storia tosta che non ammette il pietismo. Lui è un uomo solido, profondamente credente e accompagnato dagli insegnamenti di una delle religioni più strutturate del mondo, che ha creduto nella way of life occidentale e l’ha percorsa come molti anglosassoni, senza compromessi e settimane corte. Uno così, quando sente parlare fantasmi della Storia come Jeremy Corbyn, ha il diritto di alzarsi e andarsene. Oxford, poi Goldman Sachs, poi ancora Business Administration a Stanford. Se oggi il suo patrimonio è di 730 milioni di sterline (il doppio di quello di re Carlo); se veste Prada, beve tè nelle tazze Palissy e vive a Kensington in una casa da 6,6 milioni è soprattutto perché ha sposato bene: Akshata Murthy, figlia del magnate indiano fondatore di Infosys. Come self made man è lievemente anomalo, costantemente impegnato ad affrontare le radiografie patrimoniali del fisco britannico che cerca tesoretti nei paradisi fiscali.Avendo fiuto per i cicli socioculturali, il Marajà dello Yorkshire è stato uno dei più fervidi fautori della Brexit. In quegli anni ha consolidato la sua esperienza politica, ha conquistato i favori della City (meno del popolo) e l’amicizia di Boris Johnson, che lo ha voluto Segretario del Tesoro e poi Cancelliere dello Scacchiere. Continua a ripetere «Io sono solo un traghettatore», ma dalle prime mosse si intuisce che ha colto la sfida della vita. Liquidando l’esperienza disastrosa di Liz Truss, ieri nel primo discorso da premier ha spiegato: «Sono qui per rimediare ai suoi errori. Al Paese servono un servizio sanitario più forte, scuole migliori, strade più sicure, il controllo dei nostri confini, la protezione del nostro ambiente, il supporto delle nostre forze armate e la costruzione di un’economia che coglie le opportunità della Brexit, in cui le imprese investono, innovano e creano posti di lavoro. Ma le tasse vanno abbassate; era sbagliato il metodo, non l’idea».Sunak non è un paraguru, non segue il vento per galleggiare. E da induista che ha interiorizzato il senso dell’onore dalla nascita, sa che si ottiene il rispetto dicendo la verità. E qualche volta chiedendo scusa in pubblico. Lo ha fatto durante la pandemia, quando ha capito che le vessazioni sui diritti non davano vantaggi sanitari. Praticamente ha ammesso: «Abbiamo sbagliato a ordinare i lockdown e a gestire il Covid dando tutto il potere ai tecnici e ai medici». Un gesto che Roberto Speranza neppure si sognerebbe nel peggior incubo liberatorio.
Nicolas Sarkozy e Carla Bruni (Getty Images)