2021-03-19
«Rinviare i problemi è inutile: chi è in crisi o fa i tagli o chiude»
Gianluigi Cimmino (Getty images)
L'ad di Yamamay Gianluigi Cimmino,: «Prorogare è come agitare una lattina di Coca, prima o poi esplode. Sui costi fissi nessun aiuto»Gianluigi Cimmino, ceo di Pianoforte Holding (Yamamay, Carpisa e Jacked), non ha dubbi. Con la continua proroga del blocco dei licenziamenti e senza aiuti concreti agli imprenditori, andremo incontro alla chiusura di molte aziende o a licenziamenti di massa. Secondo la bozza del dl Sostegno, il blocco dei licenziamenti andrà avanti fino a quasi fine anno. Questo sposta solo in là il problema. Cosa succederà dopo?«Gli imprenditori lo dicono da tempo. Nel migliore dei casi si licenzierà, nel peggiore le aziende chiuderanno. Al momento, la cassa integrazione è l'unico sostegno che abbiamo, che però non è risolutivo. È come agitare sempre di più una lattina di Coca Cola. Quando si andrà ad aprirla, inevitabilmente, esploderà. Si sta spostando in avanti un problema senza dare soluzioni. Noi abbiamo due sedi, una al Nord e una al Sud. In questa fase, però, il problema non è dell'economia del Meridione o del Settentrione. Quella del commercio al dettaglio è stata la categoria più colpita e quella meno rappresentata. Noi siamo stati i più colpiti perché l'industria ha continuato a produrre, noi invece ci siamo fermati. Siamo in lockdown da tempo. Chiusi oppure aperti nel deserto. Non so cosa sia meglio». Come imprenditore con i negozi al dettaglio chiusi cosa si attende dallo Stato?«Mi aspetto di più da questo governo che non da quello precedente. Se non altro, è stata abolita la filosofia del codice Ateco, ma c'è ancora molto da fare. In primis, sul tetto di fatturato: un'idea che non concede nulla alle aziende. Soprattutto perché i ristori sono minimi rispetto alle perdite. Il problema sarà soprattutto per le pmi. Non è che le grandi aziende possono fare da banca di sistema». Cosa si aspetta quando la pandemia sarà conclusa?«Io sono ottimista. Noi lavoriamo per il dopo, quando ci sarà un incremento della digitalizzazione e della sostenibilità. Ma, al momento, da imprenditore mi trovo ogni giorno a dover far fronte a uscite senza avere entrate. Andavano rivisti, ad esempio, i rapporti tra le parti. Nel caso della distribuzione, oltre alle agevolazioni sul credito d'imposta, si doveva lavorare sulle locazioni. L'idea poteva essere quella di coinvolgere Cdp o Sace come garanzie ai proprietari e permettere alle aziende di pagare le locazioni a fine contratto. Noi, oltre al personale, abbiamo il costo fisso - che non si è fermato - degli affitti. Questo comporta un giro di mancati pagamenti per cui si avviano contenziosi. Un'agonia che poteva essere evitata». Lei è un imprenditore cresciuto professionalmente al Nord, ma con stabilimenti al Sud. Le agevolazioni previste per le assunzioni nel Meridione sono state utili?«Questo non è il momento di assumere, ma di non licenziare. Si assume nei momenti di espansione. Gli aiuti dovrebbero essere indirizzati a limitare i licenziamenti. D'altronde, qualunque buon imprenditore, per cercare il più possibile di salvaguardare l'azienda, senza aiuti, si troverà costretto a licenziare. Se non a chiudere. Fortunatamente non è il nostro caso. Si calcoli che aziende come la nostra non hanno ricevuto nulla, se non l'accesso al credito. Abbiamo avuto la possibilità di indebitarci per i prossimi 20 anni. Una cosa è certa: un'impresa o paga il debito o fa sviluppo. Per fare entrambe le cose, serve un aiuto esterno». Gli imprenditori all'estero sono stati trattati diversamente?«In Germania, nei mesi di lockdown, si è scelto di rimborsare una percentuale secca di fatturato rispetto all'anno precedente. Da noi tutto questo non è avvenuto. Sono state portate avanti aperture differenziate per non dare i ristori. Lo capisco, non c'erano le risorse. Ma il danno è stato paragonabile a quello di un lockdown. I soldi ce li siamo mangiati prima con provvedimenti a pioggia. Senza questi, il deficit sarebbe stato più limitato. Noi lavoriamo molto con i centri commerciali. Sono luoghi dove facilmente entrate e uscite si potevano regolamentare. Invece si è scelto di chiudere portando in crisi milioni di lavoratori della distribuzione».