2019-08-07
Riformare i consorzi per far ripartire il motore agricolo che fa grande il Sud
È l'unico comparto in cui il Meridione sorpassa il Nord. Però la Dop economy non rappresenta il valore dei nostri campi.«Sì è ora di metterci mano e lo faremo presto e bene». Per qualcuno questa affermazione potrebbe essere come un pennino di sismografo: tremano poltrone e rendite di posizione. Stiamo parlando di Consorzi di tutela, di quattrini investiti (talvolta buttati) nella promozione e di quella cortina di mezze bufale che circonda alcuni comparti dell'agroalimentare. «Quello che è successo a Parma, a San Daniele, quello che sta succedendo di nuovo col Pecorino romano, ma anche certi traffici sulle non più esistenti, ma di fatto resuscitate, quote latte, la molta confusione che c'è su alcune bolle speculative ci inducono ad avviare una profonda riflessione sulla governance del Consorzi di tutela». Parola di Guglielmo Golinelli, allevatore di suini e componente per la Lega della commissione agricoltura della Camera. «Ho già un'intesa col ministro Gian Marco Centinaio per fare una profonda riflessione e una radicale revisione dei Consorzi e di tutto il sistema delle Dop e Ig, compresi i quattrini per la promozione». Alleluja, viene da dire anche perché l'agricoltura italiana soffre di uno strabismo evidente che serve ad alimentare rendite di posizione, ma non trasferisce valore agli agricoltori. Con un fenomeno assolutamente unico: il Sud ha nell'agricoltura e nell'agroalimentare il più importante motore, ma dai Consorzi e dal sistema delle Dop riceve pochissimo. Si potrebbe chiamare effetto megafono: quello che ha consentito a qualcuno d'inventarsi la Dop economy come se tutto il sistema agricolo italiano girasse attorno alle denominazioni. Certo la Dop economy consente anche a chi non ha né arte né parte di fare una buona vita, consente ad alcune burocrazie consortili di ingrassarsi, consente a molte associazioni, a tanti pr di lucrare sui cosiddetti «investimenti promozionali», ma l'agricoltura e il sistema agroindustriale sono altra cosa. C'è da dire che il sistema delle Dop e delle Ig è sicuramente una punta di diamante, ma da qui ad essere l'unica prospettiva di sviluppo ce ne corre, anche perché il Sud di questo meccanismo beneficia pochissimo e invece tutti gli studi concordano su di un dato: il riscatto imprenditoriale del Mezzogiorno sta nell'agroalimentare. Evitare di sbagliare rappresentanza e interessi da rappresentare è indispensabile oggi che si sta riaprendo la discussione in sede europea sul nuovo bilancio comunitario con il rischio di veder sottratti all'agricoltura molti miliardi causa Brexit e con l'ulteriore rischio che la nuova Pac (la Politica agricola comune) vada a compensare i Paesi dell'Est europeo e la Francia dove la questione agricola è riesplosa in maniera dirompente a discapito dell'Italia.In Europa il nostro Paese dovrebbe rivendicare un posto di assoluto primato per l'agricoltura. Perché? Semplicemente perché la nostra è la migliore agricoltura del mondo. Lo dicono i dati. Scrive l'Ismea nel suo rapporto 2018: «Il valore aggiunto dell'agricoltura italiana rappresenta il 18% del valore totale dell'Ue a 28 con 31,5 miliardi di euro. Un valore che posiziona l'Italia al primo posto in Europa davanti alla Francia (28,8 miliardi) e alla Spagna (26,4 miliardi), con la Germania staccata di oltre 14 miliardi». Ora appare evidente che l'Italia in Europa deve puntare i piedi per avere una politica agricola più forte. Per l'Italia l'agricoltura ha una valenza strategica e l'errore è quello di diventare strabici: osservare solo i gioielli di famiglia (che poi forse non sono neppure tali) cioè le Dop le Ig abbandonando il resto. A dirlo sono ancora i numeri. L'agricoltura negli anni della crisi è stato il solo comparto veramente resiliente dell'economia italiana; ha aumentato gli occupati e generato valore aggiunto. Se dunque la centralità agricola è in Italia conclamata dobbiamo buttare un occhio su cosa vale davvero per il nostro Paese. Ed ecco un dato sorprendente che riguarda le esportazioni. L'export agroalimentare italiano nell'ultimo quinquennio è aumentato del 23%, un grande risultato che a valore significa più di 41 miliardi, ma rappresenta solo il 18% delle esportazioni Ue: ciò significa che c'è spazio per crescere. Se si esaminano le prime cinque voci delle esportazioni agricole italiane rispetto al corrispondente valore dell'export europeo, l'Italia è leader col 35%-36% dell'export di mele e di uva, il 47% di kiwi, il 61% di nocciole sgusciate, il 35% di prodotti vivaistici. Se si pigliano i prodotti trasformati siamo i primi esportatori di pasta e di conserve di pomodoro col 65% circa del valore; con vino e olio scendiamo al secondo posto col 27% e il 23% e siamo appena quarti con il 13% per quel che riguarda i formaggi, diventiamo sesti con i salumi e le carni con una quota al di sotto del 10%. Ed ecco che la prosopopea della Dop economy comincia a fare acqua e forse una riforma dei Consorzi non farebbe un soldo di danno. Perché i numeri dicono, al di là degli squilli di tromba, che complessivamente il settore non è ben governato, che sottoperforma e che avendo a disposizione un'agricoltura così forte i volumi della Dop economy dovrebbero essere ben altri. Secondo l'ultimo rapporto Ismea-Qualivita il sistema Dop Ig vale 15,2 miliardi di cui 8,8 miliardi export. Siccome le Dop e le Ig in Italia - che ha il record mondiale di denominazioni garantite - sono 822 se si divide il fatturato viene fuori che ogni denominazione vale poco più di 18,4 milioni. Ovviamente è il calcolo di Trilussa. Depurando il dato dal vino il settore food della Dop economy vale circa 7 miliardi di cui il 50% è fatto da sole tre denominazioni (Parmigiano reggiano, Grana padano e Prosciutto di Parma). Se togliamo i vini (sono 333 Doc, 74 Docg e 119 Igt) si scopre che il fatturato della Dop economy al netto dei tre colossi vale 11,8 milioni a Consorzio! Un po' poco per considerarlo l'eldorado dell'Italia in campagna.Ma non basta, perché l'analisi diventa impietosa e rende palese la contraddizione in cui si muove il sistema se si guarda al Sud dove l'agricoltura e il comparto agroalimentare sono il primo motore. Anzi sono l'unico settore in cui il Meridione sorpassa il Nord. Dal 2015 al 2017 il fatturato delle imprese meridionali ha fatto registrare una crescita maggiore rispetto a quello delle imprese del Centro Nord: +5,4% contro +4,4%. A certificarlo è il direttore generale dell'Ismea Raffaelle Borriello. Guardando ai numeri del fatturato e dell'export si scopre ancora una volta che il sistema delle Dop e Ig poco incide. Su circa 1500 imprese meridionali che superano i 10 milioni di euro di fatturato il dato complessivo è di circa 79,9 miliardi che valgono il 58% del fatturato dell'agroalimentare nazionale con una maggiore incidenza del valore aggiunto al Sud (5,5%) rispetto al Nord (3,5%). Il dato che balza agli occhi è che sono salumi e latticini a generare il maggior valore di export ma senza avere nessuna protezione di denominazione perché la sola Dop del Mezzogiorno che entra tra le «grandi» è la Mozzarella campana con 391 milioni di fatturato. Tra fatturati significativi si trovano solo i 115 milioni della Pasta di Gragnano e i 107 del Terre Siciliane Igt che è l'unico tra i vini nell'alta classifica. Questo ci fa dire che squilibrare le politiche agricole sulle rappresentanze della Dop economy come è stato fatto fin qui destinando ingentissime somme in promozione di fatto contradice il vero tessuto economico dell'agroalimentare nazionale anche se al sistema delle Denominazioni va riconosciuto il compito di valorizzatore e ambasciatore del Made in Italy con ricadute positive per il valore aggiunto per l'intero sistema. Ma proprio per questo non è ammesso che vi siano falle nel sistema dei controlli o opacità nella gestione dei Consorzi e delle organizzazioni satellite che sono peraltro cresciute come funghi intercettando contributi comunitari che non vanno a vantaggio dell'agricoltura, ma solo di alcune organizzazioni. I numeri dicono che i margini degli agricoltori sono sempre più compressi. L'Ismea stima che su un euro di prezzo finale al produttore agricolo non vada più di 12 centesimi mentre chi intermedia ha un margine di 17 centesimi, chi trasforma prende sui 34 centesimi e tutto il resto è appannaggio di chi distribuisce e commercializza. Ed è qui che bisogna intervenire per salvaguardare un sistema quello agroalimentare su cui poggia l'intera economia del Paese. Su un Pil complessivo di 1622 miliardi l'agroalimentare aggregato vale 171,2 miliardi (industria agroalimentare 135, agricoltura 68, pesca 3,6) a cui bisogna aggiungere la ristorazione per una totale di 219,5 miliardi ed è un caso unico in Europa. Bisogna andare a Bruxelles a difendersi e avere il commissario all'Agricoltura sarebbe la migliore delle atout per il nostro Paese. Al netto dei barocchismi della Dop economy.
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