2019-10-29
Riesplode il caso Giuseppi-Mincione. E oggi arriva sul tavolo del Copasir
Dopo La Verità anche il Ft si interroga sui rapporti tra il finanziere spuntato nel Vatican gate e il premier. Che si difende: «Mai avuto contatti». Ma il comitato, ascoltato il capo del Dis su Joseph Mifsud, aprirà il dossier Retelit.Il socio di Carige si occupa anche di sofferenze bancarie. Ne ha rilevate per 180 milioni e nei piani dell'esecutivo c'è una legge che può fargli perdere un sacco di soldi.Lo speciale contiene due articoli.un gruppo impegnato a scalare Retelit, una compagnia di tlc italiana. Il principale investitore della Fiber 4.0 era il fondo Athena global opportunities, gestito da Raffaele Mincione e finanziato dalla segreteria di Stato vaticana. La gendarmeria d'Oltretevere un mese fa ha aperto un'inchiesta perché lo stesso fondo ha gestito 200 milioni finiti in un immobile di lusso a Londra. La notizia del Financial Times non è per nulla uno scoop. E qui sta probabilmente la notizia. Ce ne eravamo già occupati noi della Verità. Raffaele Mincione, inoltre, intervistato dal Corriere, ha confermato i link tra Athena e il Vaticano e persino il tema della consulenza rilasciata da Conte a Fiber 4.0 era già stata oggetto di una interrogazione parlamentare firmata dal Pd. Il partito che oggi tace, dovendo sostenere il Conte bis. Sparare, però, a pallettoni potrebbe avere un senso per l'Ft perché la notte di domenica non era una notte qualunque. Erano in corso le elezioni in Umbria e Conte ci ha messo la faccia. Il primo a commentare sui social l'articolo del Ft è stato un altro finanziere. Si chiama Davide Serra , anche lui, come Mincione, è ormai anglofono ma soprattutto è molto vicino a Matteo Renzi, che in questi giorni bramerebbe per sganciare qualche bomba mediatica nell'ufficio del premier, e vederlo in difficoltà e magari dimissionario. Infatti, rilanciare il tema ha imposto a Conte ben due note. La prima diffusa la sera della pubblicazione. Nella quale Palazzo Chigi spiega che al momento del parere non si poteva sapere che Conte sarebbe divenuto premier e tanto meno che in uno dei primi Cdm si sarebbe dovuto occupare della scalata a Retelit esercitando il golden power. «In particolare, Conte non ha preso parte al consiglio dei ministri del 7 giugno 2018 (nel corso del quale è stato deliberato l'esercizio dei poteri di golden power), astenendosi», si legge nella stessa nota, «formalmente e sostanzialmente da qualunque valutazione». Ieri sera Palazzo Chigi è tornato sul tema, ribadendo che non ci fu alcun conflitto d'interessi, come ha certificato il Garante della concorrenza lo scorso 24 gennaio. «Ho fornito all'autorità tutte le informazioni richieste, unitamente ai necessari riscontri documentali, dimostrando in particolar modo la mia astensione (formale e sostanziale) a qualsiasi decisione relativa a Retelit, e ribadendo di non aver mai conosciuto o avuto contatti con i vertici societari di Fiber 4.0 (e specificamente con il signor Mincione)». Sembra di capire che la mossa del Ft possa proprio essere mirata a ciò. Far finire sul tavolo alcuni dettagli in più in una giornata delicata come quella di oggi. Il Copasir si riunirà per sentire Gennaro Vecchione direttore del Dis, a cui verrà chiesto di rispondere alle medesime domande rivolte la scorsa settimana a Conte sul tema dello spygate. Ma a quanto risulta alla Verità si discuterà anche di 5G, e delle scelte del governo di estendere le norme in tema (vedi primo Cdm del Conte bis): c'è quindi il rischio concreto che anche il dossier Retelit finisca sul tavolo del Copasir. A quel punto bisognerà capire se c'era la necessità di applicare a tutela della società di tlc Retelit lo «scudo» della sicurezza nazionale e se ciò, da un punto di vista politico (non tecnico), abbia implicato un conflitto d'interessi. Il golden power serviva a blindare l'azienda dagli stranieri. Ma chi erano gli stranieri? I libici tedeschi che già ne detenevano il controllo o la società finanziata dal fondo inglese gestito da Mincione? Il tentativo di scalata da parte del finanziere amico del Vaticano non è andato in porto. All'assemblea del 2018 gli sono mancate le quote per portare a termine il progetto. Ma resta ancora da capire quale fosse lo schema. Perché quella mini Telecom che ha cavi sottomarini che collegano gli Usa al Medioriente è così importante da imporre il golden power? Una domanda che oggi potrebbe essere posta a Vecchione. In quella scatola sono passati segreti così delicati anche per l'intelligence Usa, tanto da creare pericolose connessioni con i temi su cui il Copasir indaga? Vi è una terza domanda che invece andrebbe posta direttamente a Conte. Quando dice che non ha mai avuto contatti con i vertici di Fiber 4.0, che cosa intende? Chi gli ha chiesto il parere? Il socio Alberto Pretto? O «nessuno dei vertici», come dice lui? In tal caso dovremmo pensare che a girare all'avvocato Conte la pratica sia stato Guido Alpa ? Quest'ultimo non avrebbe potuto esprimersi su Retelit in quanto legale di Carige, banca all'epoca sotto schiaffo dallo stesso Mincione. Ciò aprirebbe nuovi fascicoli, estranei al Copasir. Significherebbe che Conte e Alpa lavoravano nello stesso studio, eventualità già negata dal premier (Alpa dichiarò Conte idoneo all'insegnamento) e aprirebbe un'enorme voragine che riguarda Carige, istituto cui Conte si è più volte interessato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/riesplode-il-caso-giuseppi-mincione-e-oggi-arriva-sul-tavolo-del-copasir-2641140617.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-raider-con-la-passione-degli-npl" data-post-id="2641140617" data-published-at="1758075439" data-use-pagination="False"> Il raider con la passione degli Npl Raffaele Mincione, 53 anni, è un finanziere italiano, originario di Pomezia, noto per aver tentato la scalata alla Popolare di Milano e alla banca Carige. Mincione, appassionato velista, di professione fa il raider finanziario. La sua base è Londra, ma si muove a suo agio tra fondi lussemburghesi, speculazioni in Russia. Nel 2012 compra l'1% del Monte dei Paschi quando già la banca senese si trova sull'orlo del precipizio. Dura poco. Nel giro di un anno esce di scena vendendo, in perdita, il suo pacchetto di azioni. Gli va meglio con la Popolare di Milano (Bpm), dove già nel 2011 rastrella in Borsa l'8,7% del capitale. A fine 2016, la Bpm si fonde col Banco Popolare di Verona. Dall'operazione nasce la terza banca italiana e Mincione mantiene una quota che nel frattempo si è diluita fin sotto il 2%. Nel febbraio 2018 annuncia di possedere il 5,4% di Carige, che nonostante le difficoltà resta comunque tra i primi dieci istituti di credito in Italia. L'istituto genovese deve ricapitalizzarsi e dentro la banca la famiglia Malacalza e Gabriele Volpi, altro azionista incrociano le spade, con Mincione, che è sempre ben presente in tutte le operazioni di ricapitalizzazione e agisce come terzo incomodo tra i litiganti. Nel settembre 2019 Mincione ha circa il 7%. La famiglia Malacalza si sfila e non fa pesare il suo 27,55% che avrebbe potuto di bloccare la delibera dell'assemblea che dà l'ok all'aumento di capitale, sponsorizzato dal governo guidato da Giuseppe Conte. Il raider italo inglese ha però un'altra passione, quella delle sofferenze bancarie. Wrm group, che fa sempre capo a Mincione, lo scorso luglio ha concluso l'acquisizione di un portafoglio di crediti deteriorati derivanti da contratti di leasing e di prestiti da Mediocredito. Tali incagli dal valore di circa 180 milioni, sono garantiti da circa 70 impianti fotovoltaici. «L'operazione, la prima del suo genere nel mercato italiano dei crediti energy da fonti rinnovabili», si legge nella nota emessa al momento del closing, «rappresenta un altro importante passo nella strategia di espansione dell'attività di investimento di Wrm group in Italia». E proprio questa strategia potrebbe di nuovo finire sul tavolo del premier Conte. La scorso settimana è stata incardinata in commissione Finanze al Senato una proposta di legge targata Fratelli d'Italia e firmata da Adolfo Urso. L'obiettivo p disinnescare la bomba delle sofferenze bancarie e degli Npl, non performing loans, ci. In pratica si darebbe ai titolari del debito la possibilità in caso di solvibilità, di riscattare il bene versando ai detentori il valore di cessione concordato con la banca con l'aggiunta di un 20% (o 40 in caso di procedimento legale già avviato). Una tale legge aiuterebbe 1,2 milioni di persone, ma smonterebbe il business di chi rastrella a prezzi stracciati gli Npl. Esattamente l'ultimo business, in ordine di tempo, di Mincione. Conte nonostante le promesse, non ha mai preso in considerazione il disgeno di legge. Un modo per dimostrare in trasparenza che non esiste alcun legame con il finanziare amico del vaticano potrebbe essere quello di appoggiare la norma salva sbancati di Fratelli d'Italia.