
La Suprema corte deciderà sulle istanze del parlamentare renziano. Procedimento confermato per altri cinque ex togati.È riuscito a far congelare il suo disciplinare al Csm fino alla pronuncia delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione. Il parlamentare renziano Cosimo Maria Ferri, incolpato per la riunione all'Hotel Champagne, alla presenza anche dell'ex ministro Luca Lotti, sulle nomine dei vertici delle Procure di Roma e Perugia intercettata con il trojan infilato nel cellulare di Luca Palamara, con diverse istanze ha ricusato tutti i membri della sezione disciplinare, compresi i consiglieri supplenti. Secondo Ferri, «sussisterebbe un interesse giuridicamente apprezzabile (che può essere anche solo di ordine morale), tale da imporre la loro astensione». I suoi giudici sarebbero allo stesso tempo le parti lese di questo procedimento. E lui ritiene di avere il diritto di citarli tutti come testimoni. Il presidente Stefano Cavanna, membro laico in quota Lega, ha quindi passato la palla ai giudici delle sezioni unite, perché si pronuncino sull'istanza di ricusazione presentata oltre che nei suoi confronti, anche nei confronti di Michele Cerabona (Forza Italia). La difesa di Ferri, rappresentata dall'avvocato Luigi Antonio Paolo Panella, riteneva anche che ci fossero dei profili da Corte costituzionale. Tant'è che in subordine alla ricusazione aveva chiesto di mandare gli atti alla Consulta per valutare alcuni aspetti legati alla legge sull'ordinamento giudiziario del 2006, che regola il Csm «nella parte in cui non prevede la sospensione del procedimento disciplinare quando l'intero collegio della sezione disciplinare sia ricusato», nonché «nella parte in cui non prevede la sospensione del procedimento disciplinare nell'ipotesi in cui il giudice è anche il soggetto passivo delle condotte contestate». Ne sarebbe derivata, secondo Panella, la lesione di principi costituzionali e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La sorpresa: saranno gli ermellini a valutare la richiesta e non i giudici della Consulta. Inoltre, la sospensione del giudizio riguarderà solo la posizione di Ferri e non degli altri cinque ex togati del Csm finiti nelle intercettazioni dell'inchiesta di Perugia. Il braccio di ferro sulle ricusazioni va avanti dal 30 giugno. Quel giorno Panella deposita l'istanza contro tutti i componenti del Csm alla data del 9 maggio 2019 (giorno dell'intercettazione all'Hotel Champagne). Poi rincara la dose il 20 luglio, quando chiede di ricusare anche la consigliera Elisabetta Chinaglia, eletta in sostituzione di uno dei consiglieri dimessi, «per avere manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento, fuori dall'esercizio delle funzioni giurisdizionali, in occasione di un dibattito». Il giorno seguente il Csm designa il collegio che avrebbe dovuto trattare le istanze di ricusazione. Ma il 23 luglio il legale di Ferri tenta di impallinare anche Cavanna e Cerabona, sostenendo che li aveva già ricusati quali membri della disciplinare. E siccome, è spiegato nell'ordinanza con cui vengono inviati gli atti alle sezioni unite della Cassazione, in una sentenza (sempre delle Sezioni unite) del 15 gennaio 2020 era stato già affermato che la sostituzione, in caso di ricusazione di un componente della disciplinare, «debba avvenire rispettando l'equilibrio, costituzionalmente imposto, tra le due categorie di componenti, laici e togati, di modo che, qualora il ricusato sia un laico, la sostituzione debba avvenire con un componente laico, mentre, qualora il ricusato sia un togato, la sostituzione debba avvenire con un componente togato». E così si è creato il cortocircuito. Il collegio non ha potuto fare altro che constatare «l'impossibilità di effettuare ulteriori sostituzioni dei membri laici della disciplinare, al fine di scongiurare il rischio di soluzioni di continuità nello svolgimento dell'attività consiliare e in particolare dell'attività giurisdizionale». Siccome, ritiene la disciplinare, spetta al giudice l'onere di verificare la praticabilità di un'interpretazione costituzionale, con la mossa di inoltrare gli atti alle Sezioni unite, si ritiene anche di aver superato le questioni di legittimità sollevate dall'avvocato Panella. Un tentativo di ricusazione lo aveva fatto anche Palamara sul nome del consigliere togato, leader dei duri e puri di Autonomia & Indipendenza, Piercamillo Davigo, citandolo come testimone nel processo. La disciplinare, però, ha bocciato la richiesta di Palamara. Le questioni evidenziate erano comunque differenti. Il giudizio delle sezioni unite su Ferri sembra quindi non andare a intaccare la posizione degli altri incolpati. Il colpo di scena potrebbe invece arrivare dalla Camera, dove pende ancora la richiesta di utilizzabilità delle intercettazioni del parlamentare renziano. Ferri, inoltre, aveva sollevato davanti alla Consulta anche il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato che sarebbe sorto con l'atto di incolpazione del procuratore generale della Cassazione nei suoi confronti. I giudici hanno dichiarato il ricorso infondato, precisando, però, che la questione del conflitto avrebbe dovuto segnalarla l'assemblea della Camera. Che ora dovrà decidere anche su questo punto.
Monica Marangoni (Ansa)
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