2020-11-22
«Ricerco l’armonia tra il dono, il creato e il giusto profitto»
Brunello Cucinelli (Ansa)
Il re del cashmere: «Dopo il lockdown non abbiamo licenziato e non ho chiesto sconti. Questa crisi ci ha cambiato in meglio».«Sono nato in una modesta famiglia di campagna, e lì, dove le stelle, durante le veglie, brillano più lucenti, è più forte il sentimento del creato; sentivamo l'universo echeggiare dentro di noi, sentivamo intuitivamente le grandi regole della sua armonia. Nella mia vita ho sempre desiderato porre l'etica e il rispetto della dignità umana fra gli ideali più alti, e da tale aspirazione ho cercato di generare la mia attività di imprenditore del cashmere, attento per quanto ho potuto a produrre senza provocare danni al creato, a mantenere costante l'armonia tra il profitto e il dono». Inizia così la lettera di Brunello Cucinelli, re del cashmere, una riflessione sul tempo che stiamo vivendo, in vista di un orizzonte di speranza e di serenità.Perché ha sentito il bisogno di scrivere questa lettera? «Il 9 novembre hanno annunciato la scoperta del vaccino. Vado dal mio babbo, 99 anni, e gli chiedo: “Qual è stato il giorno più bello della tua vita?". Mi ha risposto: “L'8 maggio 1945 quando è finita la guerra, c'ero stato per cinque anni in guerra, avevo 23 anni e mezzo". Questo mi ha fatto riflettere e sono rimasto due giorni chiuso provando a immaginare quello che avrei voluto dalla vita e l'ho scritto. Ieri, un altro grande passo avanti. Ho letto che il premier cinese Xi Jinping dice due cose straordinarie: “La nostra civiltà sarà aperta al mondo e dobbiamo assolutamente tornare a vivere in armonia con la terra". Parole fondamentali. Ora noi abbiamo il vaccino, sarà questione di mesi, ma l'abbiamo e sto lavorando con un po' meno di timore ma sempre con grande attenzione. Tutti dicono che l'anno prossimo la Cina avrà un Pil del 9/10%, l'Europa del 4/5%, l'America anche, significa un fermento economico con grandi possibilità di ripresa. Sono positivo. Mi son detto, scrivo una lettera per me stesso, per le mie bambine, per discuterne con i miei collaboratori e l'ho mandata ai miei amici nel mondo. Siamo tornati a discutere un po' più tra di noi e questo è il frutto del grande dolore fisico e spirituale provato, abbiamo avuto paura, tutti. E avendo paura l'animo umano è più predisposto all'amabilità del rapporto piuttosto che alla durezza». È indubbio che lei fa impresa in maniera diversa. Come le piacerebbe essere definito?«Volevo essere un industriale serio, il mio sogno era lavorare per la dignità dell'uomo, fare profitti con etica, dignità e morale e riuscire a ottenere quel grande equilibrio tra profitti e dono. Mio nonno, quando si raccoglieva il grano, la prima balla la mandava alla parrocchia per chi aveva necessità, era l'equilibrio sano. Dobbiamo ritrovare questo equilibrio».Spesso cita i suoi momenti da bambino, quelli che le sono rimasti dentro.«Sono nato e vivo in un borgo e in un borgo non c'è povertà spirituale, non c'è solitudine né povertà economica. Sono rimasto affascinato da questi rapporti con la natura, vivevamo in armonia con il creato. Allevavamo gli animali che ci servivano per nutrirci, andavamo a prendere l'acqua, non avevamo la luce elettrica. Non ho sofferto la fame ma non avevamo niente. Ci lasciavamo affascinare dalle stelle. In questo periodo il consigliere più affascinante della mia vita è stato il mio babbo con tre, quattro espressioni semplici; lui ha fatto la guerra ma non mi ha mai parlato di morte, la dittatura, la fame, ha avuto l'asiatica e la spagnola mio nonno e glielo raccontava. Noi abbiamo avuto tanti morti, non si può dimenticarlo. Ma vivere la guerra deve essere stato tremendo». Pensa che con questo lockdown abbiamo recuperato questa dimensione? «Parto da un concetto di San Benedetto che diceva “Cura ogni giorno la mente con lo studio, l'anima con la preghiera e il lavoro". Bilanciarci. Avevamo bisogno di ribilanciarci. Anche in azienda ho cercato di portare questa cultura. Lavorare otto ore, poi non essere connessi né il sabato e la domenica. Credo che questo lockdown sia stato doloroso almeno nella prima parte, sia per l'anima che per il corpo. Ora è un momento leggermente meno doloroso, personalmente ho meno timore ma grande rispetto. Usciremo da questa pandemia». Secondo lei dobbiamo progettare guardando l'oggi o il futuro?«Ho vissuto da italiano ma ho pensato da greco, mi hanno affascinato i greci che progettavano per l'eternità quindi noi abbiamo i progetti a tre mesi, a tre anni, a 30 anni. Siamo quotati in Borsa ma dobbiamo avere anche progetti a 300 anni, a 2.000 anni e questo è il tema per cui Jeff Bezos è venuto a trovarmi a Solomeo per discutere cosa potevamo fare per i prossimi 2.000 anni. Ha donato 10 miliardi di dollari per il clima. Credo che stiamo andando verso un periodo nuovo, abbiamo bisogno di riequilibrare tecnologia e umanesimo». Bezos si pone la domanda sulla grande disuguaglianza tra povertà e ricchezza?«È stato il tema dei tre giorni vissuti nel nostro Paese. Sono arrivati ragazzi della Silicon Valley perché era da tempo che pensavamo come miscelare tecnologia e umanesimo. Per tre giorni siamo stai senza telefonino. Il primo grande tema è stata la ricerca di dove sta la nostra anima e di come tornare a vivere una vita più sostenibile per tutti. Bezos mi disse: “Come mi piacerebbe che i miei 600.000 dipendenti, oggi un milione, vivessero nell'atmosfera dove vivi tu". E si è parlato di povertà. In questo periodo nessuno ha buttato una mela dal frigo, Il concetto di povertà da qui ad andare avanti sarà diverso da prima». Quanto è importante il capitale umano per lei che definisce i suoi dipendenti anime pensanti?«Se ti do responsabilità si genera creatività, se un essere umano si sente trattato bene è più creativo. Nella mia idea di impresa ci sono un bel luogo dove lavorare, guadagnare qualcosa di più, lavorare le giuste ore». Sostenibilità è un tema in grande fermento. Lei, che ha sempre trattato fibre nobili e naturali, ha precorso i tempi.«Noi pettinavamo i conigli che poi ci servivano per nutrirci. L'albero degli zoccoli è il mio film 50 anni dopo, così era la vita. Se tu a una pianta dai il fertilizzante cresce velocemente ma la terra si brucia. Se le dai il concime naturale, cresce meno ma si nutre».Lei è il custode della sua terra. «Ho restaurato il borgo del 1300; creato un teatro che fra 1.000 anni sarà lì, tempio laico dell'arte; un monumento che fra 3.000 anni sarà lì; e una grande cantina sotterranea che è un omaggio alla terra. Sono nato qui e la mia anima sta qui, Bezos mi disse che lui era nato in Texas e la sua anima stava là con suo nonno. Ogni essere umano dovrebbe poter vivere dove è nato. Ho sempre pensato che possiamo ritornare a dare valore alle cose, restaurandole, risistemandole, riutillizzandole. Il riutilizzo e il riuso può generare lavoro per le nuove generazioni. In azienda avevamo un piccolo reparto dove si mettevano a posto le maglie da rammendare se tarmate, da lavare. Ora questo reparto si è ingrandito perché in molti hanno iniziato a utilizzarlo. Io ho tutto a casa mia perché la camicia a fiori del 1969 un po' hippy mi ricorda la vita e quindi non la voglio buttare. Se metti un pantalone bello dell'anno scorso con una giacca di questa stagione, appari fresco con il riutilizzo». La sua è un'azienda di giovani. «Ci vogliono i giovani per ridare nobiltà al lavoro. L'errore fatto con i figli è stato dire: “Non studi, peggio per te, andrai a lavorare", espressione tipica. Quindi abbiamo addebitato al lavoro le pene per non aver studiato. E abbiamo tolto dignità al lavoro. Che deve sempre essere compensato con il giusto guadagno. L'età media in azienda è 38 anni ma quello che mi piace è che moltissimi giovani fanno lavori con le mani. Ci sono 26 tra ragazzi e ragazze che fanno le pulizie, però da noi si chiamano “coloro che riordinano le cose". E c'è scritto a bilancio, spese per riordinare le cose e non spese di pulizia. In più, se hai una remunerazione come gli altri, una piccola soddisfazione ce l'hai». La moda da questa crisi come ne esce?«Se si prendono gli aerei, i viaggi, ci sono settori che hanno sofferto più della moda. Dobbiamo accettare che le cose non vanno sempre bene. Guardo il cielo e mi dico, aiutami ad accettare quello che non posso cambiare. Dopo l'11 marzo abbiamo deciso di non licenziare nessuno e garantire a tutti lo stesso salario. Pensavamo, e ora è una certezza, che era un momento congiunturale e non strutturale. Non eravamo nel 2008. Ho deciso di non chiedere sconti a nessuno perché è difficile per tutti. E per sei mesi tutte le cose in sovrappiù finivano in un progetto per l'umanità. Sono sicuro che tutto quello che ci è accaduto ha migliorato l'animo umano, ne sono certo».