
I nostri cervelli sono fra i più bravi in Europa, ma anche fra i meno pagati. Un decreto legge prova a cambiare le cose. Bravi ma mal pagati. Sono i ricercatori italiani, tra i più stimati in Europa secondo il bando Starting grant dell’European research council del 2022. Infatti su 397 finanziamenti a ricercatori europei, cinquantotto sono arrivati proprio a ricercatori italiani. Solo i tedeschi fanno meglio di noi, eppure, nonostante i risultati, i nostri connazionali sono fra i meno pagati di tutti. Nella sezione “Research and occasional paper series” del Center for studies in higher education della University of California – Berkeley, sono stati pubblicati i risultati di uno studio che mette a confronto l’attrattività dei sistemi universitari europei. Sono quattro gli indicatori esaminati: remunerazioni medie per posizioni simili, struttura delle remunerazioni, velocità dei percorsi di carriera e qualità del lavoro percepita. Regno Unito, Francia, Italia e Germania i Paesi europei osservati. In Germania i ricercatori guadagnano in media 50.006 euro in Renania e 52.689 euro in Baviera; nel Regno Unito lo stipendio medio è di 49.168 euro; in Francia si guadagna intorno ai 42.000 euro e in Italia 28.256 euro l’anno. Il problema secondo lo studio, consiste nel fatto che i ricercatori italiani non hanno nessun potere negoziale in fase di assunzione e oltre a questo non esistono forme di riparazione dovute a opportunità di mercato e/o differenze territoriali. Ad inizio carriera i ricercatori che possono diventare professori associati percepiscono una remunerazione inferiore di più di un terzo a quella dei francesi, della metà dei tedeschi e del 74% rispetto agli inglesi. Nelle università tedesche si possono offrire stipendi diversi in base ai Lander di provenienza che si adattino al costo della vita. Gli stipendi francesi tengono conto del quoziente familiare e le università britanniche possono negoziare retribuzioni migliori per convincere i giovani a intraprendere carriere accademiche.Il Consiglio Europeo della Ricerca (Erc) ha assegnato 544 milioni di euro a 218 ricercatori europei impegnati in settori di frontiera, dalle nanotecnologie alla comprensione dell'invecchiamento. Con 21 ricercatori premiati, l'Italia è terza nella classifica per nazionalità, ma crolla al sesto posto quando si considerano i 14 progetti ospitati nel nostro Paese. Questo a dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, che i nostri grandi cervelli lavorano di più e meglio all’estero. Come se non bastasse questo dato desolante, se ne aggiunge un altro: la ricerca non sembrerebbe un lavoro per donne perché gli studi premiati sono tutti condotti da uomini. Insomma la situazione è piuttosto drammatica, ma un primo passo per migliorare le cose è stato fatto. Il governo Meloni ha provato a mettere un freno alla fuga di cervelli con il decreto per la Pubblica amministrazione approvato nella serata del 6 aprile 2023 dal Consiglio dei ministri. Il decreto legge aumenta fino al 30% gli stipendi dei ricercatori che risulteranno vincitori di un assegno di ricerca con Horizon Europe, come ad esempio nel caso dei Grant Horizon e Marie Curie, e sceglieranno di portare avanti il progetto nel nostro Paese. Certo non una rivoluzione, ma un piccolo passo per rendere più attrattivo rimanere a fare ricerca nel nostro Paese.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






