
«L’autonomia? L’ha fatta la sinistra, e ora se la rimangia per ideologia e clientelismo, ma usciremo vincitori da un eventuale referendum. L’Europa ci bacchetta? L’assetto costituzionale non è affar suo, è l’ultimo colpo di coda degli euro-dinosauri. La burocrazia? Cercherà di azzoppare la nostra riforma per conservare il suo potere, ma noi vigileremo». Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera della Lega, respinge le critiche dopo l’approvazione della legge Calderoli: «Non un euro di meno arriverà al Sud, e chi è preoccupato si tranquillizzi. Adesso si proceda con premierato e riforma della giustizia, magari introducendo anche l’immunità per i governatori, per evitare vicende paradossali come la paralisi in Liguria». Il Mes? «Non cederemo alle pressioni europee. Così com’è scritto, è come andare in banca e versare gli interessi, col rischio che ti portino via la casa».
Si scrive autonomia differenziata, ma per le opposizioni si legge «Spacca Italia». Perché sbagliano?
«Il ddl Calderoli non aggiunge nulla rispetto a quanto prevede la Costituzione. L’autonomia differenziata è nella Carta dal 2001, dopo una riforma firmata dalla sinistra e ratificata da un referendum confermativo. Se oggi protestano, è per cercare di guadagnare qualche voto nel Mezzogiorno con una battaglia ideologica. Ma sono proprio certi presidenti di Regione ad avere avviato in passato le pratiche per avvalersi dell’autonomia. Ora si rimangiano tutto?».
A chi si riferisce?
«Penso a Bonaccini, che nel 2018 aveva sottoscritto una pre-intesa con il governo per chiedere la competenza su 15 materie. Penso all’ex presidente del Piemonte Mercedes Bresso, che nel 2006 chiedeva la competenza su istruzione, ambiente, pianificazione territoriale. Penso a De Luca, che oggi fa il capopopolo ma ieri, insieme ad Emiliano, era molto interessato ad acquisire nuovi poteri. Oggi sono tutti preda di amnesia, solo perché l’autonomia l’abbiamo realizzata noi».
Eppure il fronte dei governatori contrari alla riforma sembra compattarsi.
«Forse perché questa riforma rende più difficile il clientelismo, e costringe gli amministratori a rendere conto delle scelte di spesa effettuate. Viene il dubbio che faccia più comodo il criterio della spesa storica, dove le regioni male amministrate ottengono molti più fondi in comparti cruciali come la sanità, rispetto ai territori che funzionano meglio».
Molti chiedevano meno velocità e più riflessione. Avete bruciato le tappe?
«Sono 23 anni che aspettiamo l’applicazione di questa norma costituzionale. Direi che abbiamo atteso abbastanz»a.
I 5 stelle chiedono al presidente Mattarella di valutare il rinvio alle Camere della legge. Se accadesse, voi leghisti come reagireste?
«Sarebbe un comportamento sorprendente: rimandare alle Camere una legge che prevede l’applicazione di una norma costituzionale non mi sembra possibile»».
I malumori arrivano anche dal fronte amico. Fratelli d’Italia formalmente ha accettato la riforma, ma sui giornali è filtrata qualche critica. Serpeggia forse la paura che al Sud arriveranno meno soldi, e meno consensi?
«I colleghi di Fratelli d’Italia sono stati estremamente corretti: l’accordo di maggioranza, contenuto nel programma del centrodestra, è stato rispettato. Per il resto, non hanno motivo di preoccuparsi, anche perché l’autonomia non è obbligatoria ma volontaria: se qualche regione non vorrà beneficiarne, potrà semplicemente non chiederla».
Può davvero assicurare che alle regioni del Sud non arriverà un euro di meno?
«Sì, perché le regioni che vorranno avere più competenze otterranno più risorse per gestirle: le altre continueranno a farle gestire allo Stato centrale, e quindi nulla cambierà».
Forza Italia, con il governatore calabrese Occhiuto in testa, chiede più garanzie per il meridione.
«La più grande garanzia a tutela del Sud sta nel fatto che le materie che prevedono la tutela dei diritti fondamentali saranno trasferite alle regioni solo dopo che saranno definiti e finanziati i livelli essenziali di prestazioni (Lep). E la suddivisione tra materie Lep e non Lep non l’ha fatta la Lega, ma Sabino Cassese con una squadra di esperti riconosciuti. Più garanzie di così…»
Gli standard minimi per tutti varrebbero, pare, fino a 100 miliardi. Dove troverete le risorse per finanziarli?
«Anche questo è un falso mito. Non è detto che serviranno un sacco di soldi in più. Può anche emergere una situazione in cui le risorse ci sono già, ma sono state spese male da alcune amministrazioni. Magari scopriremo che non è un problema di quantità, ma di cattiva gestione».
Ma il cammino è ancora lungo. Non avete paura che le lungaggini nelle norme applicative azzoppino la riforma?
«Siamo purtroppo la terra della burocrazia, con un istinto centralista insopprimibile. Do per scontato che l’apparato statale, geloso del suo potere, tenterà di rallentare il percorso. È chiaro che vigileremo».
Come ha vissuto la bocciatura della Commissione europea, che proprio nel giorno dell’approvazione della legge ha detto che «l’attribuzione di competenze aggiuntive alle regioni comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche»?
«Mi fa sorridere, considerando che il Paese economicamente più forte in Europa è la Germania, Stato federale, con un’autonomia molto più forte della nostra».
È l’ultimo colpo di coda del vecchio governo europeo?
«A voler pensar male, direi di sì. Mi interessa di più il giudizio della nuova Commissione. In ogni caso, l’assetto costituzionale di uno Stato non è affare dell’Europa».
Vi giocate tutto nell’ipotetico referendum abrogativo. Con quale spirito lo affrontereste?
«Sarebbe una scelta propagandistica. È tutto da vedere se sia concretamente possibile promuovere un referendum su una legge attuativa della Costituzione. Ma se si andasse davvero al voto, avremmo tutti gli argomenti per vincere, perché nel Paese il sentimento autonomista è forte sia al Nord che al Sud».
E se invece il voto bocciasse la vostra riforma?
«In quel caso il governo sarebbe pienamente legittimato a sottoscrivere le singole intese tra Stato e Regioni col voto a maggioranza assoluta del Parlamento, sul modello spagnolo, senza le garanzie sui livelli minimi di prestazione. È per questo che mi spiazza la posizione della sinistra: la legge Calderoli fornisce maggiori garanzie rispetto allo stretto testo costituzionale. Senza la nostra riforma, ci sono meno garanzie per il Sud».
Adesso mancherebbero all’appello il premierato e la riforma della giustizia: prevede un’approvazione senza intoppi?
«Sì, anche perché tutte e tre le riforme fanno parte del programma. Al di là della nostra paternità sull’autonomia, ci interessano anche le altre due missioni: per riformare la giustizia, per esempio, ricordo che noi leghisti abbiamo persino promosso dei referendum».
A proposito di giustizia: Ilaria Salis libera per motivi politici, Giovanni Toti ancora ai domiciliari, impossibilitato ad esercitare la sua funzione politica. Ci vede qualcosa di paradossale?
«Io sono garantista con entrambi, a differenza della sinistra che prima di schierarsi va a guardare il colore politico. Sottolineo però che la vicenda Toti pone una questione importante: è ora di chiedersi se gli amministratori regionali non debbano godere dell’immunità. Chi fa il governatore di una regione forse qualche tutela in più dovrebbe averla. Nel caso specifico, è certamente un problema il fatto che una regione come la Liguria si trovi in una situazione di indeterminatezza dovuta a queste vicende giudiziarie. È una lacuna che va affrontata sul piano legislativo».
Resisterete ad oltranza alle pressioni europee per l’approvazione del Mes?
«Abbiamo votato contro a dicembre perché continuiamo a pensare che il Mes riformato sia antistorico. L’Europa, con il Pnrr, ha dimostrato di saper immaginare un bilancio comune, mentre il Mes è solo un meccanismo di tipo privatistico, è come andare in banca e poi dover rendere gli interessi col rischio di farsi portare via la casa. Uno strumento come il Mes non ha senso di esistere, approvarlo sarebbe un drammatico passo indietro».
Neanche con le ultime modifiche?
«Le ultime modifiche rischiano di essere peggiorative per l’Italia: è prevista una sorta di rating che può mettere in difficoltà la nostra economia, e poi il board del Mes non risponde alla politica, e non sarebbe controllabile. Inoltre il Mes è diviso in due canali: uno per la Germania e uno per tutti gli altri, che prevede memorandum sul modello greco. Il rischio che asset strategici del Paese finiscano in balìa del Mes è seriamente concreto».
Come immagina il nuovo governo europeo?
«Visti i numeri, andrà a finire che ci sarà un’alleanza tra popolari, socialisti e liberali. Bisogna vedere se i conservatori di Giorgia Meloni vorranno farne parte con un appoggio esterno. Noi non accettiamo una formula del genere, perché le politiche frutto di questo connubio hanno danneggiato pesantemente la nostra economia. Due catastrofi su tutte: la direttiva case green e lo stop al motore termico. Su questo non accettiamo compromessi: mai con un partito socialista che ha abdicato alla difesa dei diritti sociali per seguire l’ideologia da salotto dell’ambientalismo fuori dalla realtà».





