2024-04-11
Retromarcia inglese sui protocolli per trans
Dal preoccupante aumento di richieste alla scarsa assistenza psichiatrica: il servizio sanitario nazionale revisionerà i trattamenti per chi vuole cambiare sesso. E secondo uno studio olandese la disforia di genere degli adolescenti sparisce quasi del tutto a 26 anni. Dopo la pubblicazione del Cass Review, il report commissionato quattro anni fa alla pediatra Hilary Cass - in seguito allo scandalo della clinica Tavistock - per riesaminare i trattamenti forniti dalla sanità inglese ai bambini e ai giovani con sintomi da disforia di genere, ora il National health service (Nhs, il servizio sanitario britannico) si impegna a rivedere in toto le terapie destinate alle persone transgender.In una lettera visionata dal Telegraph, scritta da John Stewart (direttore nazionale della commissione specializzata del Nhs England) e indirizzata alla dottoressa Cass, il Nhs ha dichiarato che condurrà una revisione, a opera di un esperto esterno, di tutte le cliniche gender per adulti, mentre nel frattempo ha ordinato di «interrompere l’offerta di primi appuntamenti ai giovani al di sotto dei 18 anni». Già il mese scorso il governo aveva vietato la somministrazione ai minorenni dei farmaci che bloccano la pubertà. Nel documento si legge anche che verrà «rivisto l’uso degli ormoni di conferma del genere (i gender-affirming hormones, ossia quelli che vengono dati per sviluppare caratteristiche del sesso in cui ci si identifica, ndr) attraverso un processo di riesame delle prove aggiornate e una consultazione pubblica», similmente a quanto fatto coi bloccanti della pubertà.Un passo importante, che vuole dare attuazione ai contenuti del nuovo report e che intende correggere lustri di politiche sanitarie rivelatesi pericolose, specialmente dopo il preoccupante incremento di casi registrato negli ultimi anni. Se nel 2009 i pazienti inglesi che si rivolgevano ai centri per la disforia di genere erano intorno ai 50, ora si viaggia su oltre 1.600 all’anno, tanto che circa 2.000 pazienti minorenni sono stati dirottati nelle cliniche per adulti per sfoltire le liste di attesa. Fenomeno, questo, affrontato anche nella Cass Review, dove si sostiene che la maggiore accettabilità sociale raggiunta dai trans non sia una spiegazione sufficiente. Tra le ipotesi su cui indagare, la pediatra indica l’esplosione della pornografia e il massiccio utilizzo dei social network.Più in generale, il report della Cass rileva che «la medicina di genere per bambini e giovani è costruita su fondamenta precarie». Secondo la dottoressa, non esistono prove attendibili sugli effetti di lungo periodo di tali terapie, specialmente se avviate in giovane età. Inoltre, il rapporto mette in guardia sulle pressioni subite dalle famiglie, con i genitori che si sentono costretti a permettere ai loro figli di intraprendere la transizione per non essere etichettati come transfobici, in mezzo a un dibattito definito «tossico». A ciò si aggiunge un altro dato, e cioè che, rispetto alla popolazione generale, i giovani indirizzati ai servizi di genere presentano più alti tassi di disturbi della salute mentale e di abusi subiti, sessuali o emotivi.Alcune ricerche suggeriscono addirittura che le persone transgender abbiano da tre a sei volte più probabilità di avere uno spettro autistico. Proprio per questo, il report propone un modello olistico che prima di tutto vada a indagare le cause del malessere, in opposizione al modello affermativo, considerato distorto.Nel frattempo nei Paesi Bassi è in atto da tempo una severa revisione critica del controverso «protocollo olandese», ossia il trattamento dei bimbi affetti da disforia di genere tramite la somministrazione dei bloccanti della pubertà. Anche perché il protocollo si fonda principalmente su uno studio del 2006 finanziato da Ferring pharmaceuticals, l’azienda che commercializza la triptorelina. Di recente, inoltre, è stata pubblicata sugli Archives of sexual behavior un’importante ricerca condotta dai dipartimenti di medicina e psichiatria dell’Università di Groningen, dal titolo «Sviluppo dell’insoddisfazione di genere durante l’adolescenza e la prima età adulta». Lo studio è stato realizzato su un campione di 2.772 adolescenti (per il 53% maschi), che fanno parte di Tracking adolescents individual lives survey (Trails), una ricerca di lungo termine partita oltre 20 anni fa e che prevede un monitoraggio periodico dei ragazzi (ogni 2-3 anni) «attraverso questionari, interviste, test e/o misurazioni fisiche». Nel caso della disforia di genere, gli autori dello studio hanno analizzato gli adolescenti in sei fasi nel loro sviluppo, dagli 11 ai 26 anni.Ebbene, all’inizio è stato l’11% del campione a dichiararsi a disagio nel proprio corpo e a esprimere il desiderio di «cambiare sesso». Tuttavia, man mano che i ragazzi crescevano, il disagio è andato progressivamente svanendo. Al compimento dei 26 anni, infatti, il 78% ha dichiarato di non avere più alcun problema di genere, mentre nel 19% dei casi l’insoddisfazione era sensibilmente diminuita. Solo il 2% degli adolescenti esaminati ha riscontrato un aumento del disagio. Peraltro, fanno notare i ricercatori, questo 2% è composto «prevalentemente da donne con bassa autostima, maggiori problemi comportamentali ed emotivi e un orientamento sessuale non etero».Di qui le logiche conclusioni: «L’insoddisfazione di genere, pur essendo relativamente comune durante la prima adolescenza, in generale diminuisce con l’età e sembra essere associata a un peggioramento della percezione di sé e della salute mentale durante tutto lo sviluppo».
Margherita Agnelli (Ansa)
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