2023-08-12
Rete Tim, ora tocca a Eliseo e Chigi. Prove di intesa anche con Vivendi
Il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire e il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Dopo l’accordo tra il Tesoro italiano e il fondo Usa Kkr, la partita finanziaria diventa politica: probabile un incontro del governo con il primo azionista francese. Che ieri ha giudicato il patto in modo positivo.Dopo mesi di tira e molla, l’accordo di giovedì, che prevede l’ingresso del Tesoro nel capitale della società guidata dal fondo Usa Kkr e che dovrebbe rilevare la rete Tim, rappresenta una svolta nel grande risiko delle tlc. Non tanto nei contenuti che sono ancora tutti da scrivere, quanto nella forma, che mai come in questo caso rappresenta la sostanza. A oggi si sa che entro fine mese ci sarà un Dpcm che stabilirà il perimetro economico dell’operazione: il Mef dovrebbe avere il 20% della Netco (la società della rete Tim appunto) impegnando poco più di due miliardi. Che a garanzia dell’italianità potrebbero entrare nell’affare anche il fondo infrastrutturale F2i (con il 10-15%) e Cassa depositi e prestiti (quotata con il 3%). E infine che entro fine settembre il fondo americano - che ha un’esclusiva sull’affare - dovrà presentare la sua nuova offerta. Fino a oggi ha messo sul piatto 21 miliardi, più due in caso di creazione della rete unica con Open Fiber, per un totale potenziale di 23 miliardi finalizzati all’acquisizione dell’infrastruttura principale di Tim e di Sparkle, i cavi sottomarini, altro asset strategicamente molto sensibile per il Paese.È la forma che però è cambiata. La mossa del ministero dell’Economia vuol dire che la Meloni - è da Chigi tramite il capo di gabinetto Gaetano Caputi che si stanno tirando le fila - e lo stesso titolare del dicastero di via XX Settembre, Giancarlo Giorgetti, hanno deciso di spostare la partita dal campo dell’economia e della finanza a quello della politica. I protagonisti diventano Palazzo Chigi e l’Eliseo, nel senso dell’esecutivo francese. Val la pena ricordare infatti che a fine novembre 2021, governo Draghi, Italia e Francia avevano firmato il trattato del Quirinale, un accordo per rafforzare la cooperazione bilaterale con l’obiettivo di fornire un quadro stabile nelle relazioni tra i due Paesi. Ora, è vero Meloni e Macron hanno avuto degli scontri, ma è altrettanto nei fatti che la loro è una relazione basata sulla concretezza e sul fatto che hanno tanti dossier (dai migranti ai paletti sui conti pubblici imposti dall’Europa) che conviene a entrambi affrontare restando sulla stessa parte della barricata. Ma soprattutto bisogna ricordare che il colosso transalpino dei media Vivendi ha investito circa 4 miliardi in Tim ed è il primo azionista dell’ex monopolista italiano della telefonia con il 23,9% delle quote. Vivendi fino a ieri si era detto estremamente contrario all’ipotesi di una cessione con queste dinamiche della rete, che considera l’asset principale della sua partecipazione (e infatti fino a pochi mesi fa non voleva metterlo sul mercato) e che secondo la società guidata da Arnaud de Puyfontaine è valutata tropo poco. I transalpini partono da una base di circa 30 miliardi di euro. Non è che ieri abbiano cambiato idea, ma la nota con la quale giudicano in modo «positivo» l’accordo tra il Mef e Kkr è molto importante. «Il memorandum of understanding tra il fondo Usa Kkr e il ministero dell’Economia che spiana la strada all’ingresso del Tesoro con una quota del 20% nella futura società della rete Tim, per Vivendi è una notizia positiva», spiega una fonte vicina al gruppo francese, «sottolineando che per raggiungere soluzioni concrete e praticabili è necessario aprire un dialogo serio con Vivendi. È essenziale una discussione per trovare la migliore soluzione per la società e per tutti gli azionisti, di cui Vivendi continua a rappresentare gli interessi con la massima determinazione». Se consideriamo che fino a poche ore fa dalla sponda transalpina non si perdeva occasione per evidenziare che se il cda di Tim avesse accettato l’offerta di Kkr c’era sempre la strada dell’assemblea straordinaria per respingerla al mittente, si tratta di un bel passo in avanti. Un passo che traccia il percorso di quello che potrebbe succedere nelle prossime settimane. Adesso che il governo, con l’accordo sottoscritto tra Mef e Kkr, è entrato ufficialmente in partita, la strada per un incontro tra l’esecutivo italiano (Tesoro o altri) e i francesi è spianata e c’è chi scommette che il vertice potrebbe esserci già a inizio settembre. Per fare cosa? Il prezzo resta un elemento cruciale, ma è davvero difficile pensare che Kkr possa avvicinarsi ai 30 miliardi chiesti da Vivendi: diventa invece centrale la sostenibilità dell SerCo, la società dei servizi che dopo l’eventuale scissione della NetCo (società della rete) resterebbe nelle mani di Vivendi e che evidentemente anche Palazzo Chigi ha interesse a rispettare. Ricordiamo che il settore è iper-concorrenziale (Vodafone, WindTre e Iliad) e fatica a fare utili.Da quello che risulta per i francesi è sostenibile una SerCo che resti con 5-6 miliardi di debiti (contro i 20 e passa di Tim) e 8.000 dipendenti (oggi Tim ne conta più di 40.000). Ed è proprio sui livelli occupazionali che si gioca la partita più complicata. Ma come si diceva, dall’accordo di giovedì, il dossier della rete Tim cambia prospettiva. Diventa innanzitutto un affare della politica e se prima trovare un punto di mediazione appariva come un’impresa impossibile, con Chigi e l’Eliseo in campo diventa decisamente più praticabile.
Volodymyr Zelensky (Ansa)