2021-07-23
Pur di farci ingoiare le restrizioni la sinistra rinnega la sua storia
Susan Sontag (Getty Images)
Per sostenere i dogmi della tirannia sanitaria i progressisti sono pronti a mandare al rogo i pensatori che fanno parte della loro tradizione nobile e libertaria. Da Susan Sontag a Giorgio Agamben.Sembrava quasi che la ferocia si fosse attenuata. Ci eravamo illusi che, con l'allontanarsi della sfida al coltello sulle zone rosse e arancioni, anche la furia ideologica si placasse appena. E invece ci siamo ripiombati con tutte le scarpe, anzi la costrizione sanitaria negli ultimi giorni ha subito una pazzesca accelerazione. Si è giunti alla prigionia del pensiero, ai discorsi evidentemente contraddittori elevati a verità supreme, all'ennesima divisione (imposta dall'alto) fra uomini e no.Ascoltiamo, con una certa perplessità, le affermazioni di un giornalista moderato per costituzione, il direttore di Repubblica Maurizio Molinari. «Sul fronte del green pass», dice, «c'è un bisogno oggettivo di proteggere la popolazione vaccinata». Gli fa eco il direttore del Foglio Claudio Cerasa, che così riassume la posizione di chi si oppone al lasciapassare verde: «Per non disturbare milioni di non vaccinati, roviniamo la vita a milioni di vaccinati (e guariti) e accettiamo dunque il rischio di nuove chiusure (meno vaccini=più zone rosse)». Di fronte a queste affermazioni, uno si domanda: ma se il vaccino protegge dagli effetti più nefasti del Covid (fra cui la morte), non significa che un vaccinato è già protetto? In teoria, tra un vaccinato e un non vaccinato, quello «da proteggere» dovrebbe essere il secondo, no? Delle due l'una: o il vaccino protegge, e allora siamo a posto, oppure no. E in entrambi i casi, il green pass non ha senso. Sappiamo, per altro, che anche i vaccinati possono trasmettere il virus. Dunque come è possibile incolpare i (presunti) no vax della diffusione dei contagi? Ovviamente tutte queste obiezioni non vengono nemmeno prese in considerazione. Se qualcuno prova, timidamente, a proporle in un dibattito, viene immediatamente zittito, insultato e vilipeso. Trattato come un idiota ignorante, uno che non ha pietà dei morti, uno che vuole provocare altre chiusure. Un esempio? Sebastiano Messina, su Repubblica, se la prende con Mario Giordano, Nicola Porro, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, presentandoli come «populisti da marciapiede», irresponsabili che con «facile demagogia» lucrano sulla vita della gente per catturare lettori ed elettori «no vax». Messina, infervorato come una baccante, fa capire che lui preferirebbe una «destra legge e ordine». Cioè quella che è esistita per lo più nelle costruzioni stereotipiche della sinistra e che la medesima sinistra ha sempre avversato. Viene allora da chiedersi: come hanno fatto a diventare così? Da dove è sbucata questa sinistra legge (ingiusta) e ordine (imposto)? Eppure, a ben vedere, questa sinistra avrebbe eccome gli strumenti culturali per capire che diamine stia realmente accadendo. Li avrebbe perché fanno (anzi, facevano) parte della sua tradizione. Era il 1988 quando Susan Sontag - una scrittrice certo non collocabile nell'universo conservatore - scriveva nel bel saggio L'Aids e le sue metafore: «Le epidemie di malattie particolarmente temute provocano sempre sdegno contro l'indulgenza o la tolleranza - oggi identificate con il lassismo, la debolezza, il disordine, la corruzione: la patologia. Si esige di sottoporre la popolazione a test, di isolare i malati e chi si sospetta sia malato o in grado di trasmettere la malattia, e di erigere barriere per difendersi dalla contaminazione, reale o immaginaria». Poi aggiungeva: «Appelli simbolici a una mobilitazione di massa per fronteggiare una minaccia del tutto inedita appaiono con regolare frequenza in ogni società di massa. […] Si dice che è in gioco la sopravvivenza della nazione, della società civilizzata, del mondo stesso - affermazioni che costituiscono uno degli strumenti più tipici per giustificare la repressione». Beh, non sembra molto diverso da quanto sta accadendo oggi. Lo ha scritto in maniera molto chiara ed esplicita un altro intellettuale che dovrebbe far parte del pantheon della sinistra, il filosofo Giorgio Agamben. «Coloro che si attengono alla propria libera e fondata convinzione e rifiutano di vaccinarsi verranno esclusi dalla vita sociale», ha scritto pochi giorni fa. «Che il vaccino si trasformi così in una sorta di simbolo politico-religioso volto a creare una discriminazione fra i cittadini è evidente nella dichiarazione irresponsabile di un uomo politico, che, riferendosi a coloro che non si vaccinano, ha detto, senza accorgersi di usare un gergo fascista: “Li purgheremo con il green pass"». Secondo Agamben, «la “tessera verde" costituisce coloro che ne sono privi in portatori di una stella gialla virtuale». Conclude il filosofo: «Che cosa diventa un Paese al cui interno viene creata una classe discriminata? Come si può accettare di convivere con dei cittadini di seconda classe? Il bisogno di discriminare è antico quanto la società e certamente forme di discriminazione erano presenti anche nelle nostre società cosiddette democratiche; ma che queste discriminazioni fattuali siano sanzionate dalla legge è una barbarie che non possiamo accettare». Già ai tempi del primo lockdown, per aver assunto posizioni diciamo «libertarie», Agamben fu violentemente attaccato proprio da coloro che, fino al giorno prima, lo avrebbero volentieri santificato. L'ostracismo l'hanno sperimentato pure altri stimati pensatori, ad esempio il filosofo Ermanno Bencivenga (che a sua volta non si può sicuramente definire un rabbioso fascistone). I maggiori editori italiani, che per anni gli hanno volentieri stampato libri su libri, hanno rifiutato il suo saggio sul Covid, La grande paura. Lo ha portato in libreria un piccolo e coraggioso editore, Gingko, e in edicola lo ha distribuito il nostro giornale. Siamo curiosi di sapere: secondo Repubblica sono da annoverarsi fra i «populisti da marciapiede» anche Sontag, Agamben e Bencivenga? Anche loro scrivono libri e articoli per arruffianarsi i lettori no vax? Se così fosse, dovremmo stabilire che esista una potente «lobby no vax», capace di corrompere le migliori menti della nazione, convincendole a suon di denari a scrivere e pubblicare testi abominevoli. Oddio, può persino darsi che sia vero. Però rimane curioso: fino a qualche tempo fa, a chi parlava di lobby davano immediatamente del fascista.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
Continua a leggereRiduci