La corsa ai restauri (spesso inutili) ha portato l’inflazione alle stelle

Il governo e l’Aula si apprestano a rimediare i pasticci legati al superbonus. Naturalmente le intenzioni (grilline e non solo) volevano essere buone, ma sappiamo dove conducono le vie lastricate di buone intenzioni, come osservava quel Karl Marx che ben sapeva dove avrebbero condotto le buone intenzioni che lo animavano. Nel caso del 110%, si trattava di dare l’aìre al settore edilizio. Ma, senza essere economisti raffinati – e neanche rozzi, a dire il vero – non poteva sfuggire che qualcosa non avrebbe funzionato in uno Stato che risarcisce con 110 i cittadini che spendono 100. Perfino Mario Draghi aveva subodorato la supercazzola a cinque stelle, senza purtroppo aver avuto l’onestà di porvi fine. A pensar male, direi per non contrariare chi avrebbe dovuto votarlo al Quirinale.
Sono almeno quattro gli errori commessi da chi quel Superbonus partorì. Il primo dei quali, già detto, di pagare 110 a chi spendeva 100. Il secondo errore della pensata è che non sia sovvenuto, alla mente di chi l’ha avuta, che gli importi della spesa sarebbero saliti alle stelle, visto che l’intero meccanismo veniva portato fuori dalle regole del mercato. In un sistema di mercato, i proprietari che desideravano migliorare le condizioni del proprio immobile avrebbero chiesto preventivi, e gli aspiranti esecutori, per assicurarsi la committenza, avrebbero gareggiato cercando ognuno di avanzare pretese sufficientemente basse per vincere e sufficientemente alte da essere remunerative, come giusto che fosse. Con lo Stato che paga tutto – anzi il 10% in più di tutto – il committente perde ogni interesse a cercare la migliore offerta. Per questi, pagare 100 o 300 non cambia, visto che non è lui a pagare. Infatti, con l’istituzione del superbonus, i prezzi degli interventi edilizi sono triplicati.
Il terzo errore è stato non aver previsto che sarebbero sparite dal mercato le attività non comprese nel bonus: per esempio, chi desiderava solo ritinteggiare le pareti interne di un grande edificio condominiale, non trovava ditte disponibili per il lavoro, essendo tutte impegnate col Superbonus. O, se ne trovava qualcuna, i prezzi, anche per interventi fuori Superbonus, erano diventati proibitivi. Come corollario di questo errore son fioriti interventi totalmente inutili, che molti committenti mai si sarebbero sognati di attuare con denaro delle proprie tasche. Per dire: per evitare la spesa per lavori ritenuti necessari – la tinteggiatura delle pareti interne, nel nostro esempio – sono stati aggiunti lavori non necessari, se non addirittura inutili, pur di soddisfare i requisiti previsti dal bonus e farsi pagare la tinteggiatura dallo Stato. Conosco chi desiderava cambiare gli infissi di casa propria (spesa 30.000) ma, per rientrare nel Superbonus e risparmiare quei 30.000 ha dovuto incappottare i muri e installare il tetto fotovoltaico (spesa 200.000). La perversa logica è stata quella di chi non bada a spese pur di risparmiare. Che in pochi mesi si siano create voragini contabili non desta alcuna meraviglia.
Ma v’è un errore ancora più grave, un errore di natura ideologica, un bubbone malefico che sembra difficilissimo da estirpare, e che non attiene agli aspetti quantitativi del bonus, ma a quelli qualitativi, lo stesso bubbone che ha attecchito in Ue col Fit-for-55. La condizione per godere del bonus è il presunto efficientamento energetico degli edifici, che è una cosa che, da sola, non sta né in cielo né in terra, e vieppiù non ci sta se si considerano gli interventi previsti. Pareti con coibentazione ottimale costruite sul nascere degli edifici sono una cosa, ma incappottare edifici già in essere ha costi che dal presunto risparmio energetico potrebbero essere ammortizzati in due secoli. Per dirne un’altra: in alcuni casi, per raggiungere i requisiti per godere del bonus è stato necessario che l’eventuale nuovo impianto termico fosse alimentato da pannelli fotovoltaici, ma questi funzionano bene d’estate, mentre l’impianto termico è attivo d’inverno. Grande, eh?
È la stessa attestazione di prestazione energetica (la nota Ape) che qualche testa d’uovo s’inventò alcuni anni fa che non ha ragion d’essere. I consumi energetici dipendono quasi al 100% dalle abitudini del singolo. Infissi con isolamento acustico e con ottimale tenuta termica sono benvenuti, ma il loro vantaggio è il benessere della vita dentro casa e non il risparmio energetico in sé, che con un po’ d’aritmetica non è difficile stimare in poche unità percentuali. Se una casa singola incappottata può avere dei pregi, un condominio incappottato è pressoché inutile se i condòmini, ognuno indipendentemente dall’altro, arieggiano gli ambienti più volte al giorno.
Un’altra grave disgrazia degli interventi incentivati era quella di alterare in modo irreversibile facciate di notevole pregio artistico: una volta incappottato l’edificio, le sue pareti sono piatte e anonime ciofeche. Vivo in Trieste, che è anche la città di quel capolavoro di ex-ministro pentastellato Stefano Patuanelli, guarda caso un ingegnere edile e libero professionista nel settore, mente e braccio del provvedimento Superbonus, e in Trieste ho visto deliziose e irripetibili facciate rovinate dalla mannaia voluta da chi, di tutta evidenza, è talmente privo di alcuna sensibilità per le cose belle da essere disposto a distruggerle per vil denaro, foss’anche quello del risparmio energetico che, per di più, è solo nella mente di chi non ha studiato, né economia, né energetica e neanche fisica tecnica. Dare aìre al settore edilizio è cosa ottima, ma su interventi che generano ricchezza, non sulla fuffa a 5 Stelle.






