2025-05-16
Regaliamo soldi anche alla Jolie e a Polanski
Roman Polanski (Getty Images)
Continuiamo la pubblicazione dell’elenco di tutti i beneficiati. Oltre ai numerosi compagni italiani, ci sono persino star straniere e colossi come Warner Bros. E per il denaro elargito all’estero è stato abolito il tetto.Da anni, il cinema italiano continua a raccontarsi attraverso una narrazione vittimistica: registi, attori e produttori - spesso le stesse figure ricorrenti presenti in ogni festival o conferenza stampa - denunciano un presunto «abbandono» da parte dello Stato. Eppure, un’analisi dei dati rivela una realtà molto più complessa, fatta di risorse ingenti, meccanismi opachi e benefici tutt’altro che equamente distribuiti.Il sistema del tax credit, introdotto nel 2016 dall’allora ministro della Cultura del Partito democratico, Dario Franceschini, nasceva come misura strutturale per rafforzare l’intera filiera cinematografica italiana. Doveva incentivare la produzione nazionale, stimolare l’innovazione e attirare investimenti esteri. A distanza di quasi un decennio, però, quella che doveva essere una riforma organica si è trasformata in un meccanismo sbilanciato che finisce per premiare in modo sproporzionato le grandi produzioni straniere alimentando allo stesso tempo distorsioni interne e una crescente percezione di iniquità. Negli ultimi due anni i ministri di centrodestra, Gennaro Sangiuliano e Alessandro Giuli, hanno cercato di migliorare la situazione, ma il sistema risente ancora delle riforme del passato.Basti pensare che, solo nel 2023, l’Italia ha destinato oltre 275 milioni di euro alla produzione esecutiva di opere straniere, superando di gran lunga i 48-50 milioni previsti annualmente per l’«attrazione degli investimenti» come previsto nei decreti. Questo scarto, superiore ai 225 milioni di euro, emerge dai decreti direttoriali pubblicati dalla direzione generale Cinema e audiovisivo nei mesi di aprile e maggio. Nel solo decreto di aprile sono stati assegnati circa 40 milioni di euro a produzioni classificate con codice Tcpi (opere straniere realizzate in Italia tramite imprese esecutive locali). Ma è il decreto di maggio a evidenziare la cifra di 235.888.036,51 euro.Tra i beneficiari figurano produzioni di alto profilo, sia dal punto di vista commerciale sia mediatico: Fast X, parte della saga Fast & Furious, ha beneficiato del tax credit italiano prima di incassare oltre 700 milioni di dollari a livello globale; Dune - Parte due, girato in parte in Italia e distribuito (dalla Warner Bros, che è anche la casa di produzione, ndr) nel 2024, ha superato i 710 milioni di dollari al botteghino. Nel 2022 avevano incassato contributi anche Without blood di Angelina Jolie con 8,2 milioni di euro e Roman Polanski con The Palace. Quest’ultimo si è rivelato un clamoroso insuccesso al botteghino italiano. Nonostante un investimento pubblico considerevole, oltre 6 milioni di euro in contributi statali, il film ha incassato appena 398.766 euro.Si tratta di produzioni che, pur portando lavoro temporaneo a troupe locali e utilizzando strutture italiane, di fatto non lasciano un impatto culturale o economico strutturale nel Paese. Il sistema, di fatto, applica un principio pericolosamente lineare: più spendi, più credito ricevi senza obblighi di reinvestimento né garanzie di ritorno industriale per il tessuto produttivo italiano, con l’effetto di moltiplicare il debito pubblico. Eppure, questi fondi vengono spesi per affittare teatri di posa, troupe locali, catering: tutto utile ma non lascia, appunto, alcun valore culturale o economico duraturo al Paese. Basti pensare alla serie Those about to die, che ha ricevuto 43 milioni di euro in crediti d’imposta. Una sola produzione che ha ottenuto quasi cinque volte il tetto massimo previsto per un film italiano (9 milioni, aumentabile a 18 solo in caso di coproduzione internazionale).Nel frattempo, mentre le grandi major straniere si avvantaggiano di questo strumento, nel dibattito pubblico continua a emergere il malcontento di attori e artisti italiani. Uno dei volti più noti, Elio Germano, è tra i più attivi nel denunciare i «tagli alla cultura». Tuttavia, spesso, omette di precisare che partecipa regolarmente a produzioni beneficiarie di fondi pubblici (anche straniere) e che molte delle società con cui lavora figurano tra i principali beneficiari del tax credit.A ciò si aggiunge un’altra zona grigia del sistema: i contributi selettivi. Nati per sostenere opere difficili e innovative, sono affidati a una commissione di 15 esperti nominati dal ministro. Ma i risultati parlano di una concentrazione dei fondi: nella prima sessione del 2024, case di produzione come Fandango, MAD Entertainment e Vivo Film hanno ricevuto due o tre finanziamenti ciascuna. Proprio Vivo Film, riconducibile a Marta Donzelli, già presidente del Centro sperimentale di cinematografia (Csc), appare tra i soggetti più favoriti, nonostante le polemiche legate alla sua nomina e alla successiva rimozione.A peggiorare il quadro vi è la mancanza di trasparenza. La stessa direzione generale Cinema ha ammesso di non essere in grado di tracciare i fondi. E il Consiglio superiore di cinematografia, nella nota al riparto 2025, ha evidenziato l’impossibilità di comprendere «chi prende cosa e perché». Come si legge, la direzione sta svolgendo un monitoraggio «sulla situazione delle risorse assorbite dal tax credit nazionale e internazionale» ma si tratta «di un’attività lunga e complessa perché l’impatto nel tempo, in termini di competenza di cassa e relativi utilizzi risulta di difficile e laboriosa ricostruzione».
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