2024-05-23
Giorgia blocca tutto: «No al Grande Fratello»
Il premier chiama il viceministro Leo e sospende il decreto. La gaffe dell’esecutivo ora può essere l’occasione per scrivere una legge ad hoc, che metta regole chiare agli accertamenti. E soprattutto per accelerare la pratica della riforma delle tasse.Purtroppo il fisco si conferma materia ostica per gli italiani e, più in generale, per la politica italiana. Soprattutto quando se ne discute in prossimità delle elezioni. Così la notizia dell’ingresso in Gazzetta ufficiale, tramite decreto ministeriale, del nuovo redditometro ha fatto esplodere polemiche sia nel centrodestra che tra le fila dell’opposizione. Il Pd ieri si è affrettato a denunciare l’arrivo di nuove imposte definendo il decreto ministeriale «un boomerang», Italia viva in scia ha detto che «le tasse sono il nuovo mantra della Meloni». Ma anche sul fronte Lega è scattato un odg per chiedere il superamento dei parametri di controllo. Antonio Tajani ha spiegato che in occasione del prossimo cdm (domani) ne chiederà la revoca «in quanto strumento obsoleto». Polemiche su polemiche hanno spinto il premier Giorgia Meloni a fare un post e un comunicato. «Mai nessun Grande Fratello fiscale sarà introdotto da questo governo», ha scritto sui social aggiungendo di essere «sempre stata contraria a meccanismi invasivi di redditometro applicati alla gente comune». Tuttavia, «l’attuazione della delega fiscale, portata avanti in particolare dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo, è fino ad ora andata nella direzione di migliorare il rapporto tra Stato e cittadino, tutelare i lavoratori onesti e contrastare la grande evasione, quella, per intenderci, dei sedicenti nullatenenti con ville, barca e supercar». Per puntualizzare e correre pure ai ripari, ieri mattina Leo è uscito sulle colonne del Corriere della Sera spiegando che la scelta di reintrodurre il nuovo redditometro era un atto dovuto e che serviva a limitare il perimetro di verifica dell’Agenzia delle Entrate che è tornata ad applicare su ampia scala gli accertamenti sintetici. Un passaggio tecnicamente corretto, anzi perfetto. Infatti, il redditometro nella versione amata dalla sinistra fu revocato dal governo di Giuseppe Conte il quale un annetto dopo in concomitanza con la pandemia chiese alle Entrate di sospendere la pratica degli accertamenti sintetici. Così è stato fino allo scorso anno, quando il direttore Ernesto Maria Ruffini ha fatto ripartire la macchina. Con un problema di fondo. Cioè che senza un perimetro (il nuovo redditometro) i poteri discrezionali dell’Agenzia diventano fuori linea rispetto al modello complessivo che ispira la riforma fiscale portata avanti proprio da questo governo. Allora, che cosa è successo di sbagliato che ha azionato la miccia della polemica, dei distinguo e delle accuse? Sicuramente, una comunicazione preventiva non sarebbe stato un errore. Secondo aspetto, non bisognava aspettare così tanto tempo e muoversi in contemporanea con il ripristino degli accertamenti sintetici. I quali però - va ribadito - garantiscono un buon approccio al contrasto all’evasione fiscale. Infine, terzo elemento, c’è un non detto che andrebbe risolto una volta per tutte e riguarda lo statuto del contribuente. Il nuovo redditometro è certamente migliorativo ma non elimina i problema di fondo. L’onere della prova resta sempre a carico del contribuente. Prassi sopportabile se c’è la certezza di avere di fronte un evasore, ma insostenibile se a finire nel mirino è un onesto cittadino che ha sbagliato o omesso. Per cui andiamo in scia a quanto ha precisato il premier ieri in serata. «Continueremo in questa direzione, sempre dalla parte dei cittadini. Sull’ultimo decreto recentemente varato dal Mef, che negli intendimenti delimita l’azione di verifica dell’amministrazione finanziaria, mi confronterò personalmente con il viceministro Leo, al quale ho chiesto anche di venirne a riferire al consiglio dei ministri. E se saranno necessari cambiamenti sarò io la prima a chiederli», ha concluso. Salvo poi diffondere poche ore dopo un post su Instagram. «Ho incontrato il viceministro e abbiamo deciso di sospendere nel frattempo il decreto ministeriale e l’applicazione del nuovo redditometro. No al Grande Fratello fiscale», ha detto ribadendo l’intento di creare comunque paletti all’amministrazione finanziaria. Siamo dunque tutti d’accordo che qualche cambiamento andrebbe fatto. Cominciando appunto con lo stop all’inversione dell’onere della prova. Se l’inciampo e la gaffe di queste ore può portare qualcosa di buono è l’opportunità di mettere mano al sistema del redditometro e degli accertamenti sintetici. Per questo serve una legge ad hoc che poi avrà un percorso di approvazione in Aula con tanto di emendamenti. La riforma del fisco ha superato la metà del guado. La complessità del momento e l’arrivo dei nuovi parametri del Patto di stabilità possono avere un duplice effetto. O rallentare tutto per scarsità di coperture oppure suggerire al governo di prendere il toro per le corna. La riforma va accelerata e non rallentata. Lo chiedono le aziende e tutti quei cittadini che sono stanchi di vedere le proprie tasse finire nei mille rivoli dei sussidi e dei bonus. Capiamo perfettamente l’intervento del ministro Giancarlo Giorgetti che si è battuto per fermare il Superbonus. Debito e deficit saranno sempre più un problema. Al tempo stesso se c’è da tagliare l’ambito deve essere quello della Pa, non del privato. Questa riforma fiscale porta nella direzione giusta. Come tutte le riforme genera effetti quando sono completate. Più si allungano i tempi più gli effetti positivi sono proiettati nelle prossime legislature. Il coraggio in questo momento di confronto con l’Europa sarà certamente apprezzato dalle aziende e dalle partite Iva.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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