2021-08-03
Mai così tanti indagati tra i pm di Milano
Francesco Greco e Alessandra Dolci (Ansa)
Con l'inchiesta su Giordano Baggio, Stefano Civardi e Mauro Clerici, salgono a otto (incluso il pensionato Piercamillo Davigo) le toghe meneghine finite nei fascicoli dei colleghi di Brescia. Una babele che potrebbe riportare, dopo decenni, uno «straniero» a capo dell'ufficio: in pole, il pg Marcello ViolaCon Giordano Baggio, Stefano Civardi e Mauro Clerici, la quota dei pubblici ministeri milanesi finiti sotto inchiesta a Brescia, Procura competente a indagare sui reati commessi dalle toghe del distretto di Milano, arriva a sette. Otto se si considera anche Piercamillo Davigo, che nel frattempo è andato in pensione. Un dato giudiziario che crea un certo imbarazzo nel palazzo di giustizia meneghino, dove la raffica di inchieste provenienti da Brescia sembra aver minato il clima di serenità negli uffici. Tanto da trasformare alcuni magistrati in sostenitori (firmatari di un documento di solidarietà) del primo tra i colleghi a essere finito sulla graticola: Paolo Storari. E altri (pochi) nei tifosi del capo della Procura, Francesco Greco. Che, a sentire il procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, sarebbe stato colpito nella primavera 2020 dal «discredito» lanciato dal suo sottoposto, che nelle indagini partite dalle dichiarazioni dell'avvocato Piero Amara ritiene di aver registrato una certa lentezza con le iscrizioni sul registro degli indagati. E mentre Salvi chiede al Csm di mandare via da Milano Storari e di cambiargli pure le funzioni, a Brescia, in Procura, si gioca una partita a parti invertite: sulla scorta di quanto Storari ha riferito nel difendersi dall'accusa di aver violato il segreto d'ufficio quando, per sbloccare l'impasse, decise di consegnare all'allora consigliere Csm Davigo i verbali secretati di Amara, Greco si ritrova accusato di omissione di atti d'ufficio. Un'accusa simile a quella che a Brescia contestano a un suo aggiunto: Fabio De Pasquale, che con il pm Sergio Spadaro è indagato per l'ipotesi di rifiuto d'atti d'ufficio in relazione alla gestione del materiale probatorio del processo Eni Nigeria. In sostanza le due toghe, secondo l'accusa, non avrebbero messo a disposizione dei difensori e del tribunale materiale probatorio che dimostrava che i due testimoni chiave, Amara e Vincenzo Armanna, erano inattendibili. Baggio, Civardi e Clerici, invece, sono finiti nei guai per questioni legate all'inchiesta sui crediti deteriorati Mps. Anche per loro l'ipotesi di reato è l'omissione di atti d'ufficio. L'indagine riguardava la responsabilità di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Mps dal 2013 al 2016. Nel maggio scorso i tre pm avevano dovuto mandare il fascicolo in Procura generale, dopo che il gip, Guido Salvini, ha respinto la sesta richiesta di archiviazione per gli ex vertici della banca senese.Lo stesso Greco, in passato, era già incappato in situazioni analoghe, quando nel 2013 si vide togliere, in gergo tecnico avocare, ben sette inchieste dalla Procura generale per «indagini non adeguate». Fu un caso che fece rumore, all'epoca, nel palazzo di giustizia milanese, dove il numero uno era Edmondo Bruti Liberati, storico leader di Magistratura democratica, la stessa di Greco. In pratica, l'attuale capo della procura, che 8 anni fa era il capo del pool che indagava sui reati economici, aveva chiesto l'archiviazione su sette inchieste per evasione fiscale. Peccato che le richieste gli furono tutte bocciate dal gip Andrea Salemme. A quanto pare Greco avrebbe deciso di archiviare alcune posizioni perché sarebbe stato impossibile provare l'evasione. Ma dalla Procura generale, Carmen Manfredda valutò che le indagini su reati di natura fiscale non fossero state svolte in modo adeguato dai pm della Procura. Così, in un caso più unico che raro, tolse le indagini a Greco e le fece svolgere alla Procura generale. Quelle inchieste sono finite anche a processo, quindi fu dimostrato che non erano da archiviare.Negli anni screzi tra Procura e Procura generale si sono susseguiti, soprattutto durate Expo 2015 e durante lo scontro tra Bruti Liberati e Alfredo Robledo. Di fondo da più di dieci anni a comandare al palazzaccio di Milano è la corrente di Magistratura democratica, ora Area. È la stessa corrente di sinistra che in queste settimane è venuta in soccorso del procuratore Greco per la vicenda Storari. Per questo motivo, al palazzo di giustizia milanese, si scommette sull'ipotesi che il prossimo capo della Procura dovrebbe essere un esterno, di sicuro non iscritto o comunque considerato vicino a Area. Il più titolato, tra quelli che hanno presentato domanda, è di sicuro il procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, da poco vittorioso al Consiglio di Stato rispetto all'ormai annosa diatriba che riguarda il numero uno della Procura di Roma. È evidente, si commenta nei corridoi del tribunale, che se Viola fosse nominato a Milano risolverebbe la situazione nella Capitale. E toglierebbe le castagne dal fuoco a Michele Prestipino che, così, rimarrebbe in sella. Ma è altrettanto noto che all'interno della Procura milanese non si vede di buon occhio l'arrivo di un Papa straniero: non è mai accaduto negli ultimi 30 anni. L'unico interno a presentarsi è Maurizio Romanelli, ma viene considerato vicino alle correnti di sinistra della magistratura. A fare domanda poi sono stati il capo della Procura bolognese, Giuseppe Amato, esponente di Unicost, quindi proveniente dalla scuola milanese, Luigi Orsi (sostituto procuratore generale in Corte di Cassazione), Roberto Pellicano (capo a Cremona) e Nicola Piacente (capo a Como). La lista è completata dal capo di Pordenone, Raffaele Tito, dall'aggiunto torinese Cesare Parodi e dal capo della Procura di La Spezia, Antonio Patrono.