2021-09-08
Rave arrivato sotto scorta. La Lamorgese tace, Fdi all’assalto: si dimetta
Esplode il caso dei partecipanti «scortati». Dalla Pubblica sicurezza ammettono: «Intercettati a Livorno, non potevamo contestare reati». Il ministro tace. Il sindaco di Valentano: «Troppo lassismo, ora chiederemo i danni al Viminale» Il Testo unico della legge di pubblica sicurezza (Tulps) parla chiaro: «L'autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell'ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà». Ma nel caso del rave abusivo organizzato sul lago di Mezzano, qualcuno deve aver dimenticato l'articolo uno di questa norma. Infatti nella notte tra il 13 e il 14 agosto, come rivelato ieri dalla Verità, una colonna di almeno 40 camper diretti sul luogo dell'evento di musica tecno sarebbe stato scortato (così è scritto in una nota prefettizia trasmessa (...) al capo di gabinetto del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese) da gazzelle dell'Arma e volanti della Polizia stradale. E succesivamente questi mezzi sono entrati nei terreni dell'imprenditore Piero Camilli. Un'«invasione» che costituisce, secondo l'articolo 633 del codice penale, ipotesi di reato contestata dalla Procura di Viterbo. Dunque le forze dell'ordine, anziché prevenire il compimento di atti illeciti, avrebbero accompagnato gli autori del reato sulla «scena del crimine», dando «indicazione di monitorare il transito e non di bloccarlo».Ma chi ha dato quest'ordine? Ieri abbiamo provato a chiederlo direttamente al ministro Luciana Lamorgese e al suo capo di gabinetto Bruno Frattasi, sul cui tavolo si trova l'informativa prefettizia con le clamorose notizie sulla «scorta» assegnata ai camper diretti al rave. Dal Viminale hanno passato la patata bollente al Dipartimento di pubblica sicurezza dove ci hanno fatto sapere che «risulta effettivamente che una colonna di una quarantina di mezzi con una cinquantina di persone è stata intercettata poco a Sud di Cecina nella notte tra il 13 e il 14 agosto sull'Aurelia da parte di una pattuglia della Polizia stradale e una dei carabinieri». Le forze dell'ordine sarebbero state insospettite dalla colonna e per questo avrebbero identificato i soggetti diretti al rave. Quindi li avrebbero seguiti per alcuni chilometri, monitorando la situazione, per «capire dove si stessero dirigendo». «Nella fase dei controlli non è stato possibile contestare reati ai componenti della carovana» assicurano dal Dipartimento di pubblica sicurezza. Nessuno ha dato l'ordine di «bloccare» il corteo perché non ci sarebbero stati i presupposti di legge per farlo. Quel gruppo di persone «monitorate» dalla Polizia e dall'Arma si è potuto dirigere nell'Alto Lazio per commettere, di lì a poco, diversi reati. «Ma quando questo è successo sono stati effettuati dei blocchi agli ingressi dell'area per impedire che si aggiungessero altri partecipanti al raduno» concludono dal Dipartimento. L'articolo di ieri non è passato inosservato nella Tuscia, in particolare a Valentano. Il sindaco Stefano Bigiotti, non ha nascosto il disappunto: «Non fa piacere venire a conoscenza di questo eccessivo “lassismo" da parte del ministero dell'Interno. Se non si poteva impedire del tutto l'evento lo si poteva limitare intervenendo subito come chiesto dai nostri carabinieri. Al di là delle responsabilità che verranno accertate dalla magistratura, noi, come Comune, abbiamo presentato da subito una denuncia dettagliata per inquinamento ambientale. I reati ambientali sono seri e puniti severamente». Continua il primo cittadino: «Gli elementi che sono emersi nella vostra inchiesta mi impongono di rivolgermi a un legale per tutelare la nostra comunità. I soldi spesi per sanificare quell'area, smaltire tonnellate di rifiuti, qualcuno dovrà restituirceli: non possiamo metterli a carico dei cittadini».Ieri la prima a commentare lo scoop della Verità è stata la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, la quale ha diramato questo comunicato: «Gravissima la trattativa Stato-rave illegale scoperchiata dal quotidiano La Verità. Mentre il governo limita le libertà costituzionali di cittadini imprese e famiglie, consente a migliaia di sballati di tutta Europa di trasformare una parte di Italia in una zona franca dove tutto è concesso». Per la Meloni questa «situazione inaccettabile in condizioni normali porterebbe alle dimissioni non solo del ministro dell'Interno, ma che farebbe traballare l'intero governo», mentre «da troppo tempo invece i governi si comportano come dei regimi autoritari ai quali tutto è concesso anche lo scempio al quale abbiamo assistito con il rave». Con climax finale: «Penso che la Lamorgese non possa rimanere un minuto in più a capo del Viminale». Il gruppo di Fratelli d'Italia alla Senato ha presentato un'interrogazione per sapere se la Lamorgese «fosse a conoscenza dei fatti» riportati sul nostro giornale. Di fronte al nostro scoop hanno protestato anche gli ex grillini di Alternativa c'è. Salvini, meno puntuto di altre volte, si è limitato a questo commento: «Sicuramente i punkabbestia di mezza Europa la giudicano un ottimo ministro».Forse non quelli del Friuli Venezia Giulia. Infatti, ieri, dopo il nostro scoop e l'inerzia mostrata nel Viterbese a cavallo di Ferragosto, carabinieri e Guardia di finanza di Tolmezzo (Udine) sono prontamente intervenuti per disperdere i 50 partecipanti di un rave party non autorizzato nei boschi di Amaro. Una ventina di ragazzi, alcuni minorenni, sono stati denunciati per invasione di terreni demaniali e sanzionati per non aver rispettato le norme anti Covid. Provenivano quasi tutti dall'Alto Friuli, dal resto della provincia di Udine e dal Veneto. Una trentina di persone sono fuggite nei boschi o sono riuscite ad allontanarsi in auto. Diversi dei controllati erano noti all'autorità giudiziaria per vicende di spaccio e consumo di stupefacenti, e altri reati. A un ragazzo è stato sequestrato uno spinello e un grammo di ketamina: niente in confronto a ciò che girava sul laghetto di Mezzano. Ma in quel caso i partecipanti sono arrivati con la «scorta».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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