True
2020-01-16
Ratzinger si toglie il bavaglio
Ansa
Il rumore dei tamburi si sente ancora, ma un accordo che dovrebbe zittirli è ormai prossimo. Il giallo del libro Dal profondo del nostro cuore, scritto dal cardinale Robert Sarah con un contributo del Papa emerito Benedetto XVI, secondo le richieste fatte da monsignor Georg Gänswein dopo che le anticipazioni parlavano di due autori a pieno titolo, sembra trovare una soluzione.
A quanto apprende La Verità, gli editori, in accordo con gli autori, forniranno la spiegazione che può esprimere con serenità la verità sul giallo del libro. Qualcosa che chiude la bocca alle molteplici malelingue, pronte a inzaccherare soprattutto il cardinale Robert Sarah, ma anche il Papa emerito, che molti vorrebbero stesse zitto e buono. E al netto della trita polemica sui due Papi e delle tifoserie sugli spalti.
Il libro, a parte la prima tiratura dell'editore francese già uscita, avrà in copertina la dicitura «di Robert Sarah con un saggio di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI» e nella prima pagina una nota editoriale, come accennava ieri anche Le Figaro. In questa nota verrebbe chiarito che l'introduzione e la conclusione sono state scritte dal cardinale Sarah e sono state lette e condivise dal Papa emerito. A questo punto apparirebbe chiaro che la volontà dei due di integrare i loro contributi in un tutt'uno coerente è fuori discussione e nessuno può lanciare accuse, come, invece, è stato fatto, di voler utilizzare il Papa emerito per chissà quali motivi.
I due autori condividono un «grido di allarme» a difesa del celibato sacerdotale e lo fanno dopo il Sinodo sull'Amazzonia che ha aperto alla possibilità di ordinare sacerdoti diaconi permanenti sposati, anche se solo in certe zone e situazioni pastorali. E mentre la Chiesa tedesca celebra un Sinodo dove pare voler approfittare della logica del caso per caso per aprire a una qualche forma di preti sposati anche in Germania. «È urgente, necessario, che tutti, vescovi, sacerdoti e laici, non si facciano più impressionare dai cattivi consiglieri, dalle teatrali messe in scena, dalle diaboliche menzogne, dagli errori alla moda che mirano a svalutare il celibato sacerdotale», si legge nella conclusione scritta da Sarah e letta e condivisa da Benedetto XVI. Peraltro, i testi dell'introduzione e della conclusione sono state redatti e coniugati al plurale e non dovrebbero essere modificati.
In buona sostanza il «malinteso» editoriale si sgonfia e riappare in tutta la sua portata il valore del testo, anche all'interno del dibattito ecclesiale. A breve papa Francesco dovrebbe pubblicare l'Esortazione post sinodale in cui potrà finalmente esprimersi sulla questione dei diaconi permanenti sposati in Amazzonia, e tutto lascia pensare che darà il via libera alla formazione di questi diaconi per accompagnarli verso una possibile ordinazione sacerdotale. È inutile esercitarsi in equilibrismi di sorta, Francesco e Benedetto hanno vedute diverse e in molti punti antitetiche. Ma non è una questione politica, o almeno nella Chiesa non dovrebbe esserlo, perché la tradizione è vivente, possibile di sviluppo, ma con una sua omogeneità da garantire sempre e che deve essere provata.
Resta da capire cosa ha determinato la sterzata di una macchina che era già lanciata. Al proposito circolano varie ipotesi. Benedetto XVI, come hanno chiarito le lettere mostrate dal cardinale Sarah, era certamente a conoscenza del progetto, tanto che anche la precisazione che dovrebbe comparire ora in apertura del libro in qualche modo lo sancisce. Tutti avevano dato il loro assenso al libro, fino a pochi giorni prima dell'anticipazione comparsa su Le Figaro domenica sera. Martedì monsignor Gänswein ha però parlato di un «malinteso» e ha chiesto a Sarah di avvertire gli editori per correggere il tiro.
Qualcuno ha subito parlato di un intervento diretto di papa Francesco nei confronti di Gänswein, per fargli togliere il nome di Benedetto XVI e fare marcia indietro. D'altra parte, a quanto apprende La Verità, bisogna riconoscere che non tutto era filato liscio durante la gestazione del progetto editoriale, sebbene le cose fossero state chiarite. E quindi i «malintesi» indicati da Gänswein non sono falsità, ma potrebbero aver influito di fronte al fragore mediatico che il testo ha sollevato dopo le anticipazioni de Le Figaro. Peraltro, dalle parti del monastero Mater ecclesiae, dove abita Benedetto XVI, la preoccupazione principale è quella dell'unità della Chiesa, quindi forse ci si è allarmati per la situazione creatasi. È difficile dire quali tra queste ipotesi possa aver influito di più, secondo alcune fonti è molto probabile che ci sia stato un concorso di tutte.
Il rumore dei tamburi, dicevamo in apertura, si allontana, ma il frastuono è stato molto forte. Ciò che deve rimanere è che Benedetto XVI non ritira alcuna firma e condivide il testo scritto da Sarah, e rimangono i contenuti che fanno del celibato sacerdotale una profonda questione teologica e non meramente disciplinare, come, invece, vorrebbero i promotori dei preti sposati. Entrambi insistono sul fatto che una visione funzionale del sacerdozio lo impoverisce e ci fa perdere il grande mistero che rappresenta. Questo libro è scritto «in omaggio ai sacerdoti di tutto il mondo», ma anche dei tanti laici che hanno voglia di incontrare preti capaci di essere veri segni di contraddizione.
Ma «Avvenire» gli fa dire il contrario con un virgolettato mai pronunciato
«Qualunque cosa tu faccia, non farla a metà». È l'esortazione di Bob Beamon, che non è un bieco porporato tradizionalista nascosto dietro una colonna di San Pietro a tramare, bensì il più grande saltatore in lungo della storia. Ma il suo record antigravitazionale alle Olimpiadi di Città del Messico 1968 sembra il saltino di un seienne dentro una pozzanghera se paragonato alla fuga in avanti dei media papali, quelli del partito di Casa Santa Marta, nel giorno della zuffa editoriale dell'anno. «Ratzinger ritira la firma dal libro», è il titolo del giornalista collettivo, è il tuono di stimati vaticanisti, è l'annuncio dei tg spalmati fino al numero 20 del telecomando, in una corsa trafelata ed entusiasta ma prematura a levare di torno Benedetto XVI dal saggio Dal profondo del nostro cuore (edizioni Fayard), scritto con il cardinale guineiano Robert Sarah.
Poi si scopre che la firma rimane, granitica, sotto pensieri solenni e scolpiti nella saggezza, che affondano le radici nel cuore della dottrina della Chiesa. Volevano far scomparire il peso culturale di Joseph Ratzinger sbianchettandogli il nome, tentativo infantile perché si può abbassare il corpo, passare dal 24 al 12 su una copertina, ma non si possono sciogliere nell'acido frasi come «Non fatevi impressionare da errori alla moda che mirano a svalutare il celibato sacerdotale» e «il nostro celibato è una proclamazione di fede, il nostro celibato è testimonianza, ossia martirio».
Fra le mura leonine il fastidio era palese, la logica difensiva elementare. Il libro illumina il celibato dei preti messo in dubbio dal Sinodo sull'Amazzonia? Il Papa emerito non deve firmarlo. Il libro arriva come un meteorite fra i piedi di Papa Francesco, che entro fine mese dovrebbe rendere nota un'Esortazione sul delicatissimo tema a seguito di quel Sinodo? Ratzinger si chiami fuori. La tematica scotta e la richiesta dei padri sinodali di un'apertura sul celibato per i viri probati (uomini sposati che distribuiscono i sacramenti) - anche se con limitate condizioni e solo per una specifica regione del mondo - ha sollevato un dibattito ricco, acceso, necessario. Nella Chiesa una fessura diventa facilmente una voragine e il primo a saperlo è proprio papa Francesco.
Più che un'analisi pacata di ciò che è accaduto attraverso le fonti e i documenti messi a disposizione da Sarah medesimo, è andata in scena l'ennesima rappresentazione di un wishful thinking, di una speranza, ed è finita nero su bianco la versione dogmatica ispirata dagli alabardieri vaticani che si poggiava sul repentino dietrofront di padre Georg Gänswein, storico segretario di Benedetto. Erano tutti in allarme e quando padre Georg ha chiesto di derubricare il ruolo del Papa emerito sono suonate fuori tempo campane a festa, destinate a essere silenziate da novità in evoluzione. Nel frattempo coloro che devotamente seguono il cammino teologico di Benedetto sono stati definiti «ratzingeriani maldestri e pasticcioni», responsabili di una nuova «operazione politica contro Bergoglio».
Sui giornali la tempesta perfetta è apparecchiata. C'è chi, come La Stampa, ha dipinto scenari apocalittici: «Bisogna chiedersi se Ratzinger stia diventando un antipapa», (intervista allo storico Francesco Broglio). Chi, come Huffington Post, ha avanzato ipotesi strategiche sul futuro della Chiesa prefigurando una guerra di successione ancora da immaginare: «Col pasticcio del libro, Sarah si gioca il Conclave». E comunque «il cardinale conservatore incassa il colpo». Il Corriere della Sera ha messo in evidenza le buone ragioni del cardinal Sarah e degli editori pubblicando la testimonianza tombale delle tre lettere, ma al tempo stesso in un'intervista all'arcivescovo Paolo Lojudice ha adombrato che «qualcuno vuole creare zizzania».
Il libro-gate è un magma ribollente, il complottismo imperversa. Ma se non stupisce più di tanto che l'esultanza travolga vaticanisti embedded e alti prelati che fanno da corona fiorita a papa Francesco (come padre Bartolomeo Sorge, padre Antonio Spadaro e una serie di twittaroli in tonaca), lascia senza parole l'approccio all'argomento del numero uno dei giornali cattolici, Avvenire. Il quotidiano della Cei presenta la vicenda in prima pagina come tutti gli altri, ma con un titolo ambiguo: «Benedetto: sul celibato non firmo il libro di Sarah». È l'unico giornale al mondo a utilizzare la prima persona singolare, quindi a dare l'impressione che stia parlando Ratzinger, sensazione rafforzata dalla sua fotografia lì accanto. Nell'occhiello, compare addirittura un virgolettato mai pronunciato dal Papa emerito: «Mai autorizzata l'apposizione, né condivise premessa e conclusioni».
Al culmine del sabba mediatico è curioso constatare che la rigidità, lo scandalismo, la difesa con la corazza arrivino proprio da chi professa aperture dialettiche e raffinatezze intellettuali. Quante volte abbiamo ascoltato lezioni gesuitiche sul «valore delle dissonanze» e sulla necessità di costruire «l'armonia delle differenze». Se poi chi non canta nel coro sta zitto meglio ancora, soprattutto se è un Papa. Tanto ci pensa Avvenire a farlo parlare.
Sradicata la vigna di Benedetto XVI
Davvero giorni non facili, questi, per Benedetto XVI. Sì, perché oltre alla polemica sul libro scritto con il cardinal Robert Sarah - incidente diplomatico il cui apice è stato lo strano ritiro, tramite monsignor Gänswein, della firma di un testo di cui comunque il Papa emerito è sostanziale coautore -, si è aggiunta un'altra notizia certo non gradita a Joseph Ratzinger. Il riferimento è allo sradicamento, in corso in queste settimane, della vigna di Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Un angolo di giardino molto caro al Pontefice tedesco, nel quale avevano trovato posto i filari donati da Coldiretti, per un totale di circa 1.000 metri quadrati.
Il legame tra Ratzinger e questo luogo - composto da vitigni di Trebbiano e di Cesanese di Affile, vino autoctono molto antico - era sia simbolico sia, per così dire, terreno. Infatti, se da un lato fu proprio papa Benedetto, affacciandosi su piazza san Pietro dopo la sua elezione, nel 2005, a presentarsi come «un umile lavoratore della vigna del Signore», dall'altro parliamo di un'area in cui il Santo Padre, duranti i soggiorni a Castel Gandolfo, era solito pregare, facendo due passi nelle afose sere d'estate alla ricerca di aria buona.
A conferma dell'importanza di questo giardino per il Papa tedesco, si può inoltre ricordare come fu proprio lui a far sistemare le piante in quel preciso luogo parallelamente alla statua di marmo del Buon Pastore, posta lì per sottolinearne la portata simbolica. Non parliamo insomma «solo» di un vitigno donato a papa Ratzinger, ma anche di un'area verso la quale, quando arrivava a Castelgandolfo in elicottero per qualche giorno in compagnia del fratello, il Pontefice bavarese mostrava tutto il suo attaccamento.
Difficile pertanto non chiedersi per quale motivo, peraltro con una coincidenza temporale che non può non colpire rispetto agli eventi di questi giorni, questo vitigno sia stato divelto, sradicato e spianato. Che impellenza c'era di procedere devastando un vigneto di grande rilevanza affettiva e a suo modo carico di poesia dato che vedeva, sullo sfondo, stagliarsi Gesù? Quale l'inderogabile necessità di simili lavori che, nella migliore delle ipotesi, non potranno che rattristare Benedetto XVI?
Una risposta a tutti questi interrogativi, oggettivamente inquietanti, non c'è. Perfino Il Messaggero, nel riportare con dovizia di particolari la notizia di questa devastazione, non è riuscito a saperne di più. Tuttavia qualcosa di poco limpido, anche qui, sembra esservi; difatti è proprio il quotidiano romano a sottolineare, con riferimento alla vicenda, che «in Vaticano nessuno vuole parlarne». E perché mai tanto riserbo, viene da domandarsi, se si tratta semplicemente di normali lavori da effettuarsi, per quanto con tempistica infelice?
L'ipotesi di alcuni è che si sia scelto di radere al suolo il vitigno di Ratzinger per una stradina di imminente costruzione. Ad ogni modo, si sa che il placet per questi lavori è arrivato dalla nuova dirigenza delle ville pontificie: il via libera, forse l'ordine, è partito da lì. Ma l'urgenza rimane oscura. Siamo dunque in presenza di un piccolo giallo che vede come vittima Benedetto XVI. L'ennesimo.
Continua a leggereRiduci
Trovato l'accordo sul libro delle polemiche: una nota spiegherà che è stato concepito da entrambi. Nessun passo indietro sul celibato.Il quotidiano dei vescovi pubblica in prima pagina una dichiarazione inventata. Secondo la quale il Papa della grande rinuncia non avrebbe autorizzato la firma del volume, né approvato premesse e conclusioni.Con un tempismo infelice, la dirigenza delle ville pontificie ha ordinato di abbattere i filari di Castel Gandolfo, cari al successore di Wojtyla. Al loro posto una stradina.Lo speciale contiene tre articoliIl rumore dei tamburi si sente ancora, ma un accordo che dovrebbe zittirli è ormai prossimo. Il giallo del libro Dal profondo del nostro cuore, scritto dal cardinale Robert Sarah con un contributo del Papa emerito Benedetto XVI, secondo le richieste fatte da monsignor Georg Gänswein dopo che le anticipazioni parlavano di due autori a pieno titolo, sembra trovare una soluzione. A quanto apprende La Verità, gli editori, in accordo con gli autori, forniranno la spiegazione che può esprimere con serenità la verità sul giallo del libro. Qualcosa che chiude la bocca alle molteplici malelingue, pronte a inzaccherare soprattutto il cardinale Robert Sarah, ma anche il Papa emerito, che molti vorrebbero stesse zitto e buono. E al netto della trita polemica sui due Papi e delle tifoserie sugli spalti.Il libro, a parte la prima tiratura dell'editore francese già uscita, avrà in copertina la dicitura «di Robert Sarah con un saggio di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI» e nella prima pagina una nota editoriale, come accennava ieri anche Le Figaro. In questa nota verrebbe chiarito che l'introduzione e la conclusione sono state scritte dal cardinale Sarah e sono state lette e condivise dal Papa emerito. A questo punto apparirebbe chiaro che la volontà dei due di integrare i loro contributi in un tutt'uno coerente è fuori discussione e nessuno può lanciare accuse, come, invece, è stato fatto, di voler utilizzare il Papa emerito per chissà quali motivi.I due autori condividono un «grido di allarme» a difesa del celibato sacerdotale e lo fanno dopo il Sinodo sull'Amazzonia che ha aperto alla possibilità di ordinare sacerdoti diaconi permanenti sposati, anche se solo in certe zone e situazioni pastorali. E mentre la Chiesa tedesca celebra un Sinodo dove pare voler approfittare della logica del caso per caso per aprire a una qualche forma di preti sposati anche in Germania. «È urgente, necessario, che tutti, vescovi, sacerdoti e laici, non si facciano più impressionare dai cattivi consiglieri, dalle teatrali messe in scena, dalle diaboliche menzogne, dagli errori alla moda che mirano a svalutare il celibato sacerdotale», si legge nella conclusione scritta da Sarah e letta e condivisa da Benedetto XVI. Peraltro, i testi dell'introduzione e della conclusione sono state redatti e coniugati al plurale e non dovrebbero essere modificati.In buona sostanza il «malinteso» editoriale si sgonfia e riappare in tutta la sua portata il valore del testo, anche all'interno del dibattito ecclesiale. A breve papa Francesco dovrebbe pubblicare l'Esortazione post sinodale in cui potrà finalmente esprimersi sulla questione dei diaconi permanenti sposati in Amazzonia, e tutto lascia pensare che darà il via libera alla formazione di questi diaconi per accompagnarli verso una possibile ordinazione sacerdotale. È inutile esercitarsi in equilibrismi di sorta, Francesco e Benedetto hanno vedute diverse e in molti punti antitetiche. Ma non è una questione politica, o almeno nella Chiesa non dovrebbe esserlo, perché la tradizione è vivente, possibile di sviluppo, ma con una sua omogeneità da garantire sempre e che deve essere provata.Resta da capire cosa ha determinato la sterzata di una macchina che era già lanciata. Al proposito circolano varie ipotesi. Benedetto XVI, come hanno chiarito le lettere mostrate dal cardinale Sarah, era certamente a conoscenza del progetto, tanto che anche la precisazione che dovrebbe comparire ora in apertura del libro in qualche modo lo sancisce. Tutti avevano dato il loro assenso al libro, fino a pochi giorni prima dell'anticipazione comparsa su Le Figaro domenica sera. Martedì monsignor Gänswein ha però parlato di un «malinteso» e ha chiesto a Sarah di avvertire gli editori per correggere il tiro. Qualcuno ha subito parlato di un intervento diretto di papa Francesco nei confronti di Gänswein, per fargli togliere il nome di Benedetto XVI e fare marcia indietro. D'altra parte, a quanto apprende La Verità, bisogna riconoscere che non tutto era filato liscio durante la gestazione del progetto editoriale, sebbene le cose fossero state chiarite. E quindi i «malintesi» indicati da Gänswein non sono falsità, ma potrebbero aver influito di fronte al fragore mediatico che il testo ha sollevato dopo le anticipazioni de Le Figaro. Peraltro, dalle parti del monastero Mater ecclesiae, dove abita Benedetto XVI, la preoccupazione principale è quella dell'unità della Chiesa, quindi forse ci si è allarmati per la situazione creatasi. È difficile dire quali tra queste ipotesi possa aver influito di più, secondo alcune fonti è molto probabile che ci sia stato un concorso di tutte.Il rumore dei tamburi, dicevamo in apertura, si allontana, ma il frastuono è stato molto forte. Ciò che deve rimanere è che Benedetto XVI non ritira alcuna firma e condivide il testo scritto da Sarah, e rimangono i contenuti che fanno del celibato sacerdotale una profonda questione teologica e non meramente disciplinare, come, invece, vorrebbero i promotori dei preti sposati. Entrambi insistono sul fatto che una visione funzionale del sacerdozio lo impoverisce e ci fa perdere il grande mistero che rappresenta. Questo libro è scritto «in omaggio ai sacerdoti di tutto il mondo», ma anche dei tanti laici che hanno voglia di incontrare preti capaci di essere veri segni di contraddizione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ratzinger-risolve-il-caso-chiarira-di-aver-letto-e-condiviso-anche-i-testi-del-cardinal-sarah-2644822454.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-avvenire-gli-fa-dire-il-contrario-con-un-virgolettato-mai-pronunciato" data-post-id="2644822454" data-published-at="1766365539" data-use-pagination="False"> Ma «Avvenire» gli fa dire il contrario con un virgolettato mai pronunciato «Qualunque cosa tu faccia, non farla a metà». È l'esortazione di Bob Beamon, che non è un bieco porporato tradizionalista nascosto dietro una colonna di San Pietro a tramare, bensì il più grande saltatore in lungo della storia. Ma il suo record antigravitazionale alle Olimpiadi di Città del Messico 1968 sembra il saltino di un seienne dentro una pozzanghera se paragonato alla fuga in avanti dei media papali, quelli del partito di Casa Santa Marta, nel giorno della zuffa editoriale dell'anno. «Ratzinger ritira la firma dal libro», è il titolo del giornalista collettivo, è il tuono di stimati vaticanisti, è l'annuncio dei tg spalmati fino al numero 20 del telecomando, in una corsa trafelata ed entusiasta ma prematura a levare di torno Benedetto XVI dal saggio Dal profondo del nostro cuore (edizioni Fayard), scritto con il cardinale guineiano Robert Sarah. Poi si scopre che la firma rimane, granitica, sotto pensieri solenni e scolpiti nella saggezza, che affondano le radici nel cuore della dottrina della Chiesa. Volevano far scomparire il peso culturale di Joseph Ratzinger sbianchettandogli il nome, tentativo infantile perché si può abbassare il corpo, passare dal 24 al 12 su una copertina, ma non si possono sciogliere nell'acido frasi come «Non fatevi impressionare da errori alla moda che mirano a svalutare il celibato sacerdotale» e «il nostro celibato è una proclamazione di fede, il nostro celibato è testimonianza, ossia martirio». Fra le mura leonine il fastidio era palese, la logica difensiva elementare. Il libro illumina il celibato dei preti messo in dubbio dal Sinodo sull'Amazzonia? Il Papa emerito non deve firmarlo. Il libro arriva come un meteorite fra i piedi di Papa Francesco, che entro fine mese dovrebbe rendere nota un'Esortazione sul delicatissimo tema a seguito di quel Sinodo? Ratzinger si chiami fuori. La tematica scotta e la richiesta dei padri sinodali di un'apertura sul celibato per i viri probati (uomini sposati che distribuiscono i sacramenti) - anche se con limitate condizioni e solo per una specifica regione del mondo - ha sollevato un dibattito ricco, acceso, necessario. Nella Chiesa una fessura diventa facilmente una voragine e il primo a saperlo è proprio papa Francesco. Più che un'analisi pacata di ciò che è accaduto attraverso le fonti e i documenti messi a disposizione da Sarah medesimo, è andata in scena l'ennesima rappresentazione di un wishful thinking, di una speranza, ed è finita nero su bianco la versione dogmatica ispirata dagli alabardieri vaticani che si poggiava sul repentino dietrofront di padre Georg Gänswein, storico segretario di Benedetto. Erano tutti in allarme e quando padre Georg ha chiesto di derubricare il ruolo del Papa emerito sono suonate fuori tempo campane a festa, destinate a essere silenziate da novità in evoluzione. Nel frattempo coloro che devotamente seguono il cammino teologico di Benedetto sono stati definiti «ratzingeriani maldestri e pasticcioni», responsabili di una nuova «operazione politica contro Bergoglio». Sui giornali la tempesta perfetta è apparecchiata. C'è chi, come La Stampa, ha dipinto scenari apocalittici: «Bisogna chiedersi se Ratzinger stia diventando un antipapa», (intervista allo storico Francesco Broglio). Chi, come Huffington Post, ha avanzato ipotesi strategiche sul futuro della Chiesa prefigurando una guerra di successione ancora da immaginare: «Col pasticcio del libro, Sarah si gioca il Conclave». E comunque «il cardinale conservatore incassa il colpo». Il Corriere della Sera ha messo in evidenza le buone ragioni del cardinal Sarah e degli editori pubblicando la testimonianza tombale delle tre lettere, ma al tempo stesso in un'intervista all'arcivescovo Paolo Lojudice ha adombrato che «qualcuno vuole creare zizzania». Il libro-gate è un magma ribollente, il complottismo imperversa. Ma se non stupisce più di tanto che l'esultanza travolga vaticanisti embedded e alti prelati che fanno da corona fiorita a papa Francesco (come padre Bartolomeo Sorge, padre Antonio Spadaro e una serie di twittaroli in tonaca), lascia senza parole l'approccio all'argomento del numero uno dei giornali cattolici, Avvenire. Il quotidiano della Cei presenta la vicenda in prima pagina come tutti gli altri, ma con un titolo ambiguo: «Benedetto: sul celibato non firmo il libro di Sarah». È l'unico giornale al mondo a utilizzare la prima persona singolare, quindi a dare l'impressione che stia parlando Ratzinger, sensazione rafforzata dalla sua fotografia lì accanto. Nell'occhiello, compare addirittura un virgolettato mai pronunciato dal Papa emerito: «Mai autorizzata l'apposizione, né condivise premessa e conclusioni». Al culmine del sabba mediatico è curioso constatare che la rigidità, lo scandalismo, la difesa con la corazza arrivino proprio da chi professa aperture dialettiche e raffinatezze intellettuali. Quante volte abbiamo ascoltato lezioni gesuitiche sul «valore delle dissonanze» e sulla necessità di costruire «l'armonia delle differenze». Se poi chi non canta nel coro sta zitto meglio ancora, soprattutto se è un Papa. Tanto ci pensa Avvenire a farlo parlare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ratzinger-risolve-il-caso-chiarira-di-aver-letto-e-condiviso-anche-i-testi-del-cardinal-sarah-2644822454.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="sradicata-la-vigna-di-benedetto-xvi" data-post-id="2644822454" data-published-at="1766365539" data-use-pagination="False"> Sradicata la vigna di Benedetto XVI Davvero giorni non facili, questi, per Benedetto XVI. Sì, perché oltre alla polemica sul libro scritto con il cardinal Robert Sarah - incidente diplomatico il cui apice è stato lo strano ritiro, tramite monsignor Gänswein, della firma di un testo di cui comunque il Papa emerito è sostanziale coautore -, si è aggiunta un'altra notizia certo non gradita a Joseph Ratzinger. Il riferimento è allo sradicamento, in corso in queste settimane, della vigna di Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Un angolo di giardino molto caro al Pontefice tedesco, nel quale avevano trovato posto i filari donati da Coldiretti, per un totale di circa 1.000 metri quadrati. Il legame tra Ratzinger e questo luogo - composto da vitigni di Trebbiano e di Cesanese di Affile, vino autoctono molto antico - era sia simbolico sia, per così dire, terreno. Infatti, se da un lato fu proprio papa Benedetto, affacciandosi su piazza san Pietro dopo la sua elezione, nel 2005, a presentarsi come «un umile lavoratore della vigna del Signore», dall'altro parliamo di un'area in cui il Santo Padre, duranti i soggiorni a Castel Gandolfo, era solito pregare, facendo due passi nelle afose sere d'estate alla ricerca di aria buona. A conferma dell'importanza di questo giardino per il Papa tedesco, si può inoltre ricordare come fu proprio lui a far sistemare le piante in quel preciso luogo parallelamente alla statua di marmo del Buon Pastore, posta lì per sottolinearne la portata simbolica. Non parliamo insomma «solo» di un vitigno donato a papa Ratzinger, ma anche di un'area verso la quale, quando arrivava a Castelgandolfo in elicottero per qualche giorno in compagnia del fratello, il Pontefice bavarese mostrava tutto il suo attaccamento. Difficile pertanto non chiedersi per quale motivo, peraltro con una coincidenza temporale che non può non colpire rispetto agli eventi di questi giorni, questo vitigno sia stato divelto, sradicato e spianato. Che impellenza c'era di procedere devastando un vigneto di grande rilevanza affettiva e a suo modo carico di poesia dato che vedeva, sullo sfondo, stagliarsi Gesù? Quale l'inderogabile necessità di simili lavori che, nella migliore delle ipotesi, non potranno che rattristare Benedetto XVI? Una risposta a tutti questi interrogativi, oggettivamente inquietanti, non c'è. Perfino Il Messaggero, nel riportare con dovizia di particolari la notizia di questa devastazione, non è riuscito a saperne di più. Tuttavia qualcosa di poco limpido, anche qui, sembra esservi; difatti è proprio il quotidiano romano a sottolineare, con riferimento alla vicenda, che «in Vaticano nessuno vuole parlarne». E perché mai tanto riserbo, viene da domandarsi, se si tratta semplicemente di normali lavori da effettuarsi, per quanto con tempistica infelice? L'ipotesi di alcuni è che si sia scelto di radere al suolo il vitigno di Ratzinger per una stradina di imminente costruzione. Ad ogni modo, si sa che il placet per questi lavori è arrivato dalla nuova dirigenza delle ville pontificie: il via libera, forse l'ordine, è partito da lì. Ma l'urgenza rimane oscura. Siamo dunque in presenza di un piccolo giallo che vede come vittima Benedetto XVI. L'ennesimo.
(IStock)
Tecnologia e innovazione, poi, vanno in scena nel centro di intrattenimento multidisciplinare Area15, che ha di recente ampliato la sua offerta con nuove installazioni di realtà virtuale e aumentata, rendendo ogni visita un’esperienza immersiva e coinvolgente. Qui si può vivere il brivido di un viaggio nello spazio, partecipare a giochi interattivi o assistere a performance artistiche che uniscono arte, musica e tecnologia.
Per chi cerca un’esperienza più avventurosa, sono state inaugurate nuove attrazioni come il Flyover Las Vegas, un’attività di volo simulato che permette di sorvolare paesaggi spettacolari di tutto il mondo, e la Zero Gravity Experience, un volo parabolico che permette di provare la sensazione di assenza di gravità. L’High Roller presso il Linq Hotel è uno straordinario esempio di architettura e ingegneria moderna. Con un’altezza di 167 metri, questa meraviglia di vetro e acciaio è la ruota panoramica più alta degli Stati Uniti e la seconda più alta del mondo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Las Vegas, la città che non dorme mai, rappresenta da decenni uno dei poli turistici più iconici al mondo. Famosa per i suoi casinò sfavillanti, i suoi spettacoli di livello mondiale e la vita notturna sfrenata, questa città del Nevada ha saputo reinventarsi nel tempo, offrendo ai visitatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Uno degli aspetti più evidenti delle novità della città riguarda il settore alberghiero. Accanto ai famosissimi e spettacolari Caesars Palace; Circus Circus, Bellagio, Paris, The Venetian, la destinazione ha visto l’apertura di hotel di lusso e resort innovativi, capaci di attirare un pubblico sempre più eterogeneo. Tra i progetti più importanti va segnalato il Resorts World Las Vegas, un complesso di oltre 6.000 camere che combina tecnologia all’avanguardia, design sostenibile e un’offerta di intrattenimento di livello superiore. Questo resort si distingue per le sue strutture eco-compatibili, tra cui sistemi di risparmio energetico e gestione sostenibile delle risorse idriche.
D’altronde Las Vegas è nata negli anni Cinquanta dal nulla in mezzo al deserto al termine dalla «Valle della Morte» e, grazie alla monumentale diga di Hoover, è completamente autonoma dal punto di vista di acqua ed energia per tutte le luci, i neon, le insegne e la potente aria condizionata che consente di resistere anche a temperature esterne che raggiungono i cinquanta gradi.
L’attrazione più popolare della città è il Las Vegas Boulevard, comunemente noto come The Strip. Tutti i nuovi e lussuosi casinò sono costruiti su questa strada.
Nel centro della città «vecchia» degli anni Cinquanta ci sono, invece, alcuni hotel e casinò più retrò. Qui una delle attrazioni più distintive dell’area urbana è Fremont Street. Questa strada ha un enorme schermo sul soffitto dove vengono proiettate immagini di ogni tipo, e offre anche una divertente zipline, che permette di restare sospesi in aria da un’estremità all’altra della strada.
La parte di ristorazione è davvero molto variegata e va dai ristoranti gourmet a quelli etnici. Molti i piatti interessanti, nessuno a buon mercato. Ovviamente, come in tutti gli Stati Uniti, si trovano fast food a ogni angolo per chi non vole spendere troppo. Tra questi, l’ottimo e moderno Washin Patato at Fontainebleau o al Stubborn Seed at Resorts World.
Per raggiungere Las Vegas una delle combinazioni più interessanti è quella con la compagnia aerea Condor (www.condor.com/it) via Francoforte con ottimi orari di volo, coincidenze e comodità a bordo. Per maggiori informazioni sulla destinazione: www.lvcva.com.
Continua a leggereRiduci
Bill Clinton e Jeffrey Epstein (Ansa)
Neanche a dirlo, è scoppiato uno scontro tra il Dipartimento di Giustizia e alcuni parlamentari. «La legge approvata dal Congresso e firmata dal presidente Trump era chiarissima: l’amministrazione Trump aveva 30 giorni di tempo per pubblicare tutti i file di Epstein, non solo alcuni. Non farlo equivale a violare la legge. Questo dimostra che il Dipartimento di Giustizia, Donald Trump e Pam Bondi sono determinati a nascondere la verità», ha tuonato il capogruppo dell’Asinello al Senato, Chuck Schumer, mentre il deputato dem Ro Khanna ha ventilato l’ipotesi di un impeachment contro la Bondi. Strali all’amministrazione Trump sono arrivati anche dai deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene: due dei principali critici repubblicani dell’attuale presidente americano.
«Il Dipartimento di Giustizia sta pubblicando una massiccia tranche di nuovi documenti che le amministrazioni Biden e Obama si sono rifiutate di divulgare. Il punto è questo: l’amministrazione Trump sta garantendo livelli di trasparenza che le amministrazioni precedenti non avevano mai nemmeno preso in considerazione», ha replicato il dicastero guidato dalla Bondi, per poi aggiungere: «La scadenza iniziale è stata rispettata mentre lavoriamo con diligenza per proteggere le vittime». Insomma, se per i critici di Trump la deadline di venerdì era assoluta e perentoria, il Dipartimento di Giustizia l’ha interpretata come una «scadenza iniziale». Ma non è finita qui. Ulteriori polemiche sono infatti sorte a causa del fatto che numerosi documenti pubblicati venerdì fossero pesantemente segretati: un’accusa a cui il Dipartimento di Giustizia ha replicato, sostenendo di aver voluto tutelare le vittime di Epstein.
Ma che cosa c’è di interessante nei file divulgati venerdì? Innanzitutto, tra i documenti pubblicati l’altro ieri, compare la denuncia presentata all’Fbi nel 1996 contro Epstein da una sua vittima, Maria Farmer. In secondo luogo, sono rispuntate le figure di Trump e Bill Clinton, anche se in misura differente. «Trump è appena visibile nei documenti, con le poche foto che lo ritraggono che sembrano essere di pubblico dominio da decenni. Tra queste, due in cui Trump ed Epstein posano con l’attuale first lady Melania Trump nel febbraio 2000 durante un evento nel suo resort di Mar-a-Lago», ha riferito The Hill. Svariate foto riguardano invece Bill Clinton. In particolare, una ritrae l’ex presidente dem in una piscina insieme alla socia di Epstein, Ghislaine Maxwell, e a un’altra donna dal volto oscurato. In un’altra, Clinton è in una vasca idromassaggio sempre in compagnia di una donna dall’identità celata: una donna che, secondo quanto affermato su X dal portavoce del Dipartimento di Giustizia Gates McGavick, risulterebbe una «vittima». In un’altra foto ancora, l’ex presidente dem è sul sedile di un aereo, con una ragazza che gli cinge il collo con un braccio. Clinton compare infine in foto anche con i cantanti Mick Jagger e Michael Jackson.
«La Casa Bianca non ha nascosto questi file per mesi, per poi pubblicarli a tarda notte di venerdì per proteggere Bill Clinton», ha dichiarato il portavoce di Clinton, Angel Ureña, che ha aggiunto: «Si tratta di proteggersi da ciò che verrà dopo, o da ciò che cercheranno di nascondere per sempre. Così possono pubblicare tutte le foto sgranate di oltre 20 anni che vogliono, ma non si tratta di Bill Clinton». «Persino Susie Wiles ha detto che Donald Trump si sbagliava su Bill Clinton», ha concluso. «Questa è la sua resa dei conti», ha invece dichiarato al New York Post un ex assistente di Clinton, riferendosi proprio all’ex presidente dem. «Voglio dire, se accendete la Cnn, è di questo che stanno parlando. Ho ricevuto un milione di messaggi a riguardo», ha proseguito. «La gente pensa: non posso credere che fosse in una vasca idromassaggio. Chi è quella donna lì dentro?», ha continuato, per poi aggiungere: «Voglio dire, è incredibile. È semplicemente scioccante», ha continuato. Vale la pena di sottolineare che né Trump né Clinton sono accusati di reati in riferimento al caso Epstein. Caso su cui i coniugi Clinton si sono tuttavia recentemente rifiutati di testimoniare alla Camera. Per questo, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera stessa, il repubblicano James Comer, ha offerto loro di deporre a gennaio: in caso contrario, ha minacciato di avviare un procedimento per oltraggio al Congresso contro la coppia.
Continua a leggereRiduci
Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
Continua a leggereRiduci
La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
Continua a leggereRiduci