2023-04-13
«La Rai non trasmette il mio film su Moro perché dice la verità»
Il regista Renzo Martinelli: «La versione dominante della dinamica di via Fani è falsa, però serve a coprire i veri mandanti. Ed è l’assicurazione sulla vita di Moretti».Con rigore investigativo, Renzo Martinelli, nel suo film del 2003 Piazza delle cinque lune, ha smontato il teorema su cui si fonda la verità ufficiale ancor oggi riconosciuta dallo Stato italiano come unica possibile, su sequestro e assassinio di Aldo Moro, dimostrando che essa è completamente diversa da quella reale. Il regista, nato a Seveso nel 1948, milanese d’adozione, sposato, 3 figlie, Federica, 39 anni (attrice, la giovane che decripta il file del memoriale Moro in Piazza delle cinque lune), Eleonora, 37, e Ludovica, 23, vive in un casale a Todi, in Umbria. In Piazza delle cinque lune, a Roma, adiacente a piazza Navona, si trova il palazzo dove, dopo l’uccisione di Moro, s’incontrarono segretamente il giornalista Mino Pecorelli, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il colonnello Antonio Varisco, tutti alla spasmodica ricerca dell’originale del memoriale. Saranno trucidati da sicari. Il film che, non a caso, richiama la scena del velivolo a bassa quota in Intrigo internazionale di Hitchcock e quella dell’agente Turner cui non rimane che affidarsi a un giornale in I tre giorni del condor di Pollack, è l’unico, tra quelli fatti sul padre, che Maria Fida Moro, primogenita dello statista, riconosce per tensione verso la verità. Nell’epilogo, il figlio Luca, nipote di Moro, suona una chitarra e canta: «Maledetti, per aver ucciso la mia vita di bambino…». Il suo film dimostra che, nell’agguato di via Fani, le cose non andarono come riferito dalle Br in tribunale.«È stato un gran lavoro di ricerca e anche baciato dalla fortuna. All’inizio avevamo programmato la messa in scena dell’agguato secondo la versione di Moretti e Morucci, il cui primo caposaldo è il doppio tamponamento. Moretti è alla guida di una 128 familiare bianca, all’altezza dello stop con via Stresa frena di colpo facendosi tamponare dalla 130 di Moro, a sua volta tamponata dall’Alfetta, una tesi che sostengono da 45 anni. Il secondo caposaldo è che dicono di aver sparato solo da sinistra e non potevamo sparare da destra perché sarebbe stato fuoco incrociato. Quando a Cinecittà abbiamo provato l’agguato, lo stunt man che interpretava il povero maresciallo Leonardi, il caposcorta, salta fuori dalla macchina con una Colt 38 in pugno e dice a me che sono sulla palazzina a riprendere: «A Martiné, ma che sto a fa’, me sto a fa’ ammazza’? Ce stanno quattro che arrivano da sinistra per sparà’, io so’ coperto dall’autista e je sparo». Il ragionamento non fa una grinza».A quel punto, che ha fatto?«Chiamo Sergio Flamigni in Senato e gli dico: “La dinamica dell’agguato sostenuta da Moretti e Morucci non sta in piedi”. Lui, romagnolo verace mi risponde: “Ostia, hai ragione, come mai non ci abbiamo pensato”. Gli chiedo di recuperare tutte le foto scattate in via Fani e il referto dell’autopsia del maresciallo Leonardi, seduto sul lato destro della 130. Per nostra fortuna troviamo un paio di foto scattate da destra, le ingrandiamo e ci cascano le braccia. Tra la 128 di Moretti e la 130 di Moro c’è un metro di distanza, non c’è stato tamponamento». E dall’autopsia del maresciallo Leonardi cosa emerse? «Che fu attinto da 9 colpi sparati dal marciapiede destro. Ma come? I brigatisti sostengono di aver sparato da sinistra. Quindi Moretti e Morucci mentono per coprire la vera dinamica dell’agguato. Ci sono due professionisti, due brought in come li chiamano gli americani, ossia “portati dentro”, mai identificati, uno sulla destra e uno sulla sinistra, che si occupano del lavoro di fino sulla 130, perché Moro doveva uscire vivo, ossia eliminano il povero maresciallo Leonardi, che da settimane chiedeva un’auto blindata, e l’autista della 130. In via Fani si sparano 93 colpi, non un solo proiettile scalfisce Moro. È incontestabile. Questo attentato non può esser stato fatto solo dalle Br, perché non avevano esperienza di armi di quel tipo (mitra, ndr)».I sei del gruppo di fuoco indossavano divise da avieri perché i due professionisti non erano conosciuti da tutti? «Sì. Moretti avrebbe detto: “Voi vi occupate dell’Alfetta, alla 130 ci penso io, fine”. Quindi è evidente che i due professionisti avrebbero chiesto a Moretti di mettere tutti le divise, perché temevano il fuoco amico».Perché la nostra repubblica non riconosce queste verità suffragate da prove? «I brigatisti hanno barattato il silenzio con sconti di pena, sono tutti fuori, compreso Moretti, gente che ha avuto 4-5 ergastoli. È un atteggiamento ipocrita, perché tutti sanno che la verità ufficiale non coincide con quella storica. Fa comodo a tutti dire che sono stati loro, volevano fare la rivoluzione, hanno organizzato l’attacco di via Fani. Non è andata così. Le Br erano eterodirette».Con tale atteggiamento, lo Stato non mette in dubbio le basi democratiche su cui si fonda, in primis una giustizia convincente? «C’è una frase di Solone che ho messo nel film, e dice: “La giustizia è come la tela del ragno, trattiene gli insetti piccoli ma quelli grossi trafiggono la tela e volano via”». Se il caso Moro fosse riaperto, che succederebbe?«Non accadrà mai perché il fatto che Moretti e Morucci mentano è la loro assicurazione sulla vita e la polizza di quell’assicurazione è doppio tamponamento e spari da sinistra. Si possono far vedere a Moretti le foto e l’autopsia che dimostrano il contrario, ma lui dirà che non è così. Moretti, in carcere a Cuneo, vide che altri brigatisti avevano avuto trattamenti di favore, minacciava di parlare. Un detenuto comune, un pluriergastolano, lo aggredì con una lama staccandogli quasi un pollice. Fu un avvertimento. Se stai buono prima o poi ti facciamo uscire di galera e ti salvi la vita, altrimenti fai la fine del topo. Da quel momento Moretti non parlerà mai più di via Fani».Ma se qualcuno ci riprovasse sarebbe bloccato come, nel suo film, accade al giudice Rosario Saracini?«Sicuramente. Sarebbe immediatamente monitorato. Branco, interpretato da Marcello Giannini, il caposcorta di Saracini, era un agente “in sonno” dei servizi. Rosario Priore mi ha spiegato che se il giudice metteva le mani su un argomento pericoloso la guardia del corpo avvisava i piani superiori». In Esterno notte di Marco Bellocchio (2022), l’agguato di via Fani è inscenato, all’incirca, come nella versione fallace data dalle Br, lo stretto legame tra Moretti e i servizi non è sviluppato, Moro è sempre nel cubicolo di via Montalcini... L’ha visto il film? «Sì, e mi ha fatto molto arrabbiare… D’altra parte cosa ci si può aspettare da un regista che ha una formazione politica che tutti conosciamo? È evidente che un’analisi come quella che fa sul caso Moro è viziata dalla sua ideologia di fondo, quindi non andrà mai a cercare la verità, per lui i br sono stati ragazzi un po’ maldestri, che avrebbero anche liberato Moro se avessero potuto, insomma una cosa che fa rivoltare nella tomba quei poveri uomini della scorta… Francamente trovo sia stata un’operazione molto sporca». Il film di Bellocchio è stato mandato in onda in Rai in prima serata. Il suo, la Rai l’ha mai proposto in tv? «Nooo, se ne guarda bene… E nelle sale dei cinema è stato tenuto solo tre giorni».Ha avuto intimidazioni?«Alla sera ero andato a cena con Murray Abraham (l’attore che interpreta l’«Entità» di Hyperion nel film, ndr). La mattina mi sveglio e trovo il mio ufficio a Roma sottosopra, finestre forzate, sembrava fosse passato un tornado, il dvd del film per terra… Una specie di avvertimento, possiamo farti molto male, mi hanno fatto spaventare molto… E poi telefonate alle 3-4 di notte, con il respiro di qualcuno…».Nel film immagina che il giudice Saracini riceva il Super 8 dell’agguato in via Fani e l’originale del memoriale Moro dal passeggero dei servizi colluso con le Br seduto dietro sulla moto Honda, malato di cancro e con problemi di coscienza. Sei anni dopo il film la cosa è accaduta davvero. Un caso? «È la realtà che supera la fantasia di uno sceneggiatore, è stata una mia invenzione drammaturgica. Moretti e Morucci hanno sempre detto che non c’era nessuna moto Honda in via Fani. Dalla Honda è stato dato il via all’agguato. Poi arrivò a La Stampa una lettera del passeggero dietro, ma lui era già morto. Giunsero all’uomo che guidava la moto. Poi tutto si arenò».Ferdinando Imposimato ha detto a Maria Fida Moro che quel filmato forse davvero esiste. E il memoriale integrale mai trovato? Dove saranno?«Nel memoriale, Moro rivelava l’esistenza di Gladio. Alcune pagine non sono ancora note. Il super 8 sono quasi convinto che esista. Licio Gelli, che dopo il film insistette per incontrarmi a villa Wanda, mi disse: “Lei può pensare che dei maniaci della documentazione come le Br non si siano filmati il sequestro più clamoroso del secolo?”. Saranno in qualche cassaforte e chi li detiene ha un potere di ricatto enorme». Secondo lei, Moretti come ricevette l’ordine dell’esecuzione di Moro?«Dal falso comunicato numero 7 del lago della Duchessa, ne legga le ultime righe».«Comunichiamo l’avvenuta esecuzione del presidente della Dc Aldo Moro, mediante «suicidio». […] È soltanto l’inizio di una lunga serie di «suicidi»: il «suicidio» non deve essere soltanto una «prerogativa» del gruppo Baader Meinhof.«Gli stregoni mandano questo messaggio a Moretti: Moro deve morire, perché, se non muore, fate la fine di quei ragazzi tedeschi della Raf che rapirono Hanns-Martin Schleyer (1977, ndr), con la stessa tecnica di via Fani e il ritrovamento, dopo 60 giorni, del corpo sul pianale di un’auto, le prove generali del sequestro Moro. Tutti “suicidati” in carcere. Le Br eseguono la sentenza, Steve Pieczenik («consulente» Usa dei comitati di crisi istituiti da Cossiga, ndr) torna negli Stati Uniti, la missione è compiuta».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)