2021-05-06
Cinque strade per il dopo quota 100. Lega e Cgil «alleate» anti Fornero
Il 31 dicembre addio alla norma: per evitare il maxi scalone a 67 anni partiti, sindacati e perfino Pasquale Tridico studiano nuovi scivoli. Ma la vera svolta, come dice la Uil, sarebbe separare previdenza e assistenza.Il cavallo di battaglia del governo gialloblù, quota 100, si avvia a finire la sua corsa. Sebbene nella versione definitiva del Def, documento di finanza pubblica, sia sparita la data di scadenza del 31 dicembre, il governo Draghi non porterà avanti il provvedimento che ha permesso a circa 320.000 persone di uscire in anticipo dal mondo del lavoro e che ha perso la sua attrattività. È servito soprattutto al settore bancario per gestire il turnover e ridurre i costi del personale recuperando in minima parte le batoste legate allo smaltimento delle sofferenze. Adesso le parti sociali e la politica sono impegnate a comprendere come attutire il mega scalone che si verrebbe a formare applicando in toto la riforma Fornero. In pratica, si passerebbe di colpo a 67 anni, creando sulla platea un impatto psicologico che nessuno al governo sembra disposto a gestire. Per questo ci sono ben cinque idee con altrettante vie d'uscita dalla Fornero.La prima vede il Mef coinvolto nello studio e nella definizione delle opzioni. Si tratterebbe di ridefinire una corsia preferenziale per le mansioni faticose cercando di allargarla il più possibile. Resterebbe dunque in piedi la possibilità di andare in pensione a 61 anni e 7 mesi con almeno 35 di contributi per i lavoratori dipendenti (un anno in più per gli autonomi). A questo perimetro il Mef penserebbe di aggiungere Opzione donna con un impianto stabile e strutturale (58 anni d'età e almeno 35 di contributi) e l'Ape sociale da destinare ai lavoratori in difficoltà (disoccupati di lungo corso o disabili) che abbiano però almeno 63 anni d'età. Dall'altra parte del tavolo ci sono sono invece le tre sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil, che spingono per affrontare il dopo quota 100 con un meccanismo flessibile e garantendo comunque la possibilità di uscita ai lavoratori al raggiungimento del quarantunesimo anno di contribuzione a prescindere dall'età anagrafica. Anche la Lega punta su quota 41 per tutti, come indicato dal sottosegretario all'Economia, Claudio Durigon. Non manca neppure nel Pd chi guarda nella stessa direzione del Carroccio e dei sindacati. Nelle scorse settimane l'ex capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio, aveva lanciato la proposta di uscite con quota 92 (62 anni di età e almeno 30 di contributi) per i soli lavoratori impegnati in mansioni usuranti. La terza idea ancora sul tavola piace soprattutto ai 5 stelle che la ereditano direttamente dal Conte bis. A ribadirlo è l'ex ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, che vorrebbe l'introduzione dall'inizio del 2022 di un sistema flessibile di uscite pensionistiche. Praticamente una quota 102: consentire l'uscita dal lavoro a 63 anni di età con 39 di contributi, oppure 64 d'età e 38 di contributi. L'altro ieri è arrivato anche il presidente dell'Inps a sparigliare le carte. In modo totalmente anomalo ha proposto la sua personale idee sul dopo quota 100. «Si permetterebbe a 62-63 anni di uscire dal lavoro con la parte contributiva mentre quella retributiva si otterrebbe al raggiungimento dei 67 anni», ha detto, spiegando che si «garantirebbe il principio della sostenibilità dei conti e si potrebbe legare anche a idee di permanenza sul lavoro a orario ridotto visto che il ministro Andrea Orlando ha parlato di staffetta generazionale». Tridico ha anche precisato la necessità di una maggiore attenzione ai soggetti fragili, proponendo di prevedere «una misura per gli immunodepressi oncologici. A 62-63 anni si potrebbe prevedere uno scivolo aggiuntivo rispetto all'Ape sociale».C'è infine la quinta opzione che piace soprattutto al Carroccio. Si chiama scivolo collegato al contratto di espansione. È rivolto alle imprese in crisi che intendano avviare modifiche organizzative e produttive finalizzate all'innovazione tecnologica, e che attraverso un piano di riorganizzazione stipulato in sede governativa con le rappresentanze sindacali possono contare su cassa integrazione straordinaria (se oltre i 500 dipendenti) e agevolazioni contributive per piani di assunzione contestuali alle uscite, volontarie, dei lavoratori più anziani (già dai 250 dipendenti). Lo scivolo pensionistico del contratto di espansione si applica ad aziende di qualsiasi settore con almeno 250 dipendenti ma il numero si può raggiungere anche con una rete di imprese. Spunta per la prima volta nel decreto Crescita del 2019. E la legge di bilancio del 2021 l'ha finanziato per l'intero anno in corso. L'obiettivo del centro destra sarebbe di rendere anche questa opzione strutturale spingendo più aziende ad aggregarsi per creare la massa di movimento. Personalmente riteniamo molto interessante la proposta avanzata ieri dal segretario generale della Uil, Paolo Bombardieri, lanciata ai microfoni di Radio Anch'io prima di incontrare il premier Mario Draghi sul tema pensioni e Recovery plan. «Vanno separati i dati sulla previdenza da quelli della assistenza, dovremmo partire da qui, questa è la prima richiesta», ha spiegato Bombardieri. Se si aprissero finalmente due bilanci separati scopriremmo che in Italia sarebbe sostenibile non solo il contributivo ma anche il retributivo. E finalmente la si smetterebbe di far pagare ai lavoratori l'assistenza sociale che è sacrosanta ma dovrebbe essere ben perimetrata e - come in Germania - una voce di spesa a carico della politica. Da noi da decenni si fa il contrario. Si usano spesso le pensioni d'assistenza per garantire alla politica un bacino elettorale, ma la voce di spesa (oltre 100 miliardi) sono tutti nel bilancio Inps. Purtroppo è una riforma di difficile realizzazione. Peccato perché sarebbe una svolta.
Jose Mourinho (Getty Images)