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Ecco gli stipendi (bonus compresi) di chi taglia le nostre pensioni

Ecco gli stipendi (bonus compresi) di chi taglia le nostre pensioni

Gli italiani fanno i conti con i tagli, noi facciamo chiarezza su quanto guadagna chi si appresta fisicamente a prendere in mano le forbici. Che siano sforbiciate relative agli anticipi pensionistici o quelle, come La Verità ha svelato ieri, che toccheranno gli assegni di reversibilità, la certezza futura è che l'importo del denaro incassato andrà a scendere. A differenza degli stipendi dei manager dell'istituto guidato da Tito Boeri. La prima linea guadagna infatti una media di 184.000 euro l'anno, mentre i circa 500 dirigenti di seconda fascia superano abbondantemente la soglia dei 100.000, salvo una manciata di eccezioni: infatti la media è di 123.000 euro. Non poco in momenti di crisi e nei quali l'attività frenetica del governo è mirata a trovare fondi pubblici.Queste ore sono estremamente delicate per la definizione della legge di Stabilità. Si rischiano ampi tagli alla sanità perché mancano coperture di spesa certe. Il tema è pubblico e presente sulle colonne dei principali quotidiani. Non altrettanto sbandierato è ciò che sta avvenendo all'Inps, dove si lavora tramite circolari interne dell'Istituto per modificare i criteri di assegnazione di una montagna di denaro. E di fatto recuperare risorse. Il totale delle pensioni destinate a vedove e vedovi ammonta infatti (dati del 2015) a 24,1 miliardi. Sarà qui che si andrà a limare per cercare di portare avanti le uscite anticipate.

Aver inserito, probabilmente su input politico del governo, nei criteri di assegnazione non solo il reddito Irpef, ma anche il patrimonio posseduto - dalle case, ai conti in banca fino al Tfr e i Btp - porterà inevitabilmente a un forte taglio della platea interessata. E non parliamo di uno sparuto gruppetto, ma addirittura di 3 milioni di italiani. Anche una sforbiciata media del 10 per cento varrebbe quasi due miliardi e mezzo, che sommati agli eventuali tagli alla sanità probabilmente consentiranno al governo di far quadrare, sebbene parzialmente, i conti. Non è detto, infatti nemmeno che sia così. Non dimentichiamo che all'interno del Documento economico finanziario c'è anche la stima riguardante le riforme. Ministero e palazzo Chigi ritengono che se i cambi nella Pubblica amministrazione e altri interventi di stimolo andassero in porto, il Paese guadagnerebbe dallo 0, 2 allo 0,4 per cento di Pil. All'incirca tra i 3 e i 6 miliardi. Ma si sa, le previsioni sbagliano quasi sempre. Andranno invece a colpo sicuro le prossime lettere che l'Inps manderà ai cittadini italiani.

buste paga

Ma quanto guadagnano i dirigenti che hanno pianificato tutto questo? In ossequio alle nuove norme sull'amministrazione trasparente le loro retribuzioni sono pubblicate online, anche se gli ultimi dati disponibili sono quelli del 2014. All'ufficio stampa dell'ente previdenziale ci hanno spiegato che «quelli riferiti al 2015 verranno pubblicati non appena conclusi i processi di formazione del bilancio consuntivo e del conto annuale del personale relativi allo stesso anno». Però hanno pure puntualizzato che «nel complesso il 2015 non potrà essere diverso dal 2014, visto il protrarsi dei blocchi della contrattazione e dei limiti retributivi che perdurano dal 2010». E allora scartabelliamo tra i dati del 2014.

Grazie ad essi apprendiamo che l'Inps ha in organico 47 dirigenti di prima fascia (in realtà uno, Marco Barbieri, ha terminato l'incarico) che guadagnano una media di 184.065 euro l'anno, mentre i 478 dirigenti di seconda fascia si devono accontentare di «soli» 123.166 euro. La somma degli stipendi dei primi è di 8.651.072,25 euro, mentre quella dei secondi è di 58.873.755,88 euro. Il totale fa 67.524.828,13 euro. Il che vuol dire che ognuno dei 47 primi dirigenti dell'Inps ha portato a casa in un anno l'equivalente di quasi 22 pensioni di lavoratori privati, che in media valgono 650 euro al mese. La regina di denari per i 12 mesi del 2014 è stata Daniela Becchini (214.222,79), responsabile dell'amministrazione del patrimonio da reddito, seguita da Vincenzo Caridi (212.178,36), direttore centrale della formazione, e da Michele Salomone (207.748,72), direttore regionale del Veneto. Becchini è una dei quattro dirigenti esterni del gruppo, e proviene come Maria Cozzolino dall'Inpdap. Il presidente Boeri ha appena varato la riforma che dovrebbe ridurre il numero di dirigenti con incarico specifico a 36; peccato che per non dover tagliare poltrone, comprese quelle dei quattro esterni, abbia ideato la figura del dirigente con incarichi di studio. Nella tabella con le retribuzioni del 2014 lo stipendio dei dirigenti risulta composto da una parte tabellare (quasi 56.000 euro), da una retribuzione di posizione che è per quasi tutti di 108.603, 56 euro (quella di Becchini ammonta a 138.500), da una retribuzione di risultato che oscilla tra i 10.000 e i 18.000 euro (anche in questo caso il record spetta a Becchini) e da una voce «altri emolumenti» che comprende premi ad personam, retribuzione individuale di anzianità, incentivo alla mobilità e rimborso dell'alloggio. Le ultime due voci possono far guadagnare oltre i 30.000 euro. Ma qualcosa sfugge alla tabella. Infatti nel 2012 gli stipendi di alcuni dirigenti sforavano anche i 300.000 euro e la parte più cospicua era rappresentata dalla retribuzione di risultato e da quella di posizione, fortemente ridotta dai governi Monti e Renzi.

super incentivi

Nei dati pubblicati online la retribuzione di risultato, come detto, è quasi ininfluente, mentre nei vecchi stipendi era una parte significativa della retribuzione. Infatti in quella voce era inserita la cosiddetta «spalmatura», un ulteriore incentivo fuori sacco prelevato da uno speciale fondo dirigenti. In passato è stato addirittura accreditato direttamente sul conto corrente dei beneficiari, senza passare dalla busta paga. Nel 2012 la «spalmatura» poteva valere anche più di 80.000 euro a testa. Nelle ultime tabelle dell'Inps non compare, visto che al momento è congelata, ma i dirigenti sono in attesa di riceverla e di vedere tornare i loro stipendi agli antichi fasti.

Agli stipendi dei dirigenti bisogna aggiungere quelli del presidente Boeri e del direttore generale Massimo Cioffi. Il primo ha un'indennità di carica di 104.000 euro, mentre il secondo incassa esattamente il massimo consentito dalla legge: 240.000 euro tondi tondi, di cui oltre 172.000 di retribuzione di posizione. Nel conto non è compreso il rimborso dell'affitto della casa romana. Quello i contribuenti lo pagano a parte. In attesa dei prossimi tagli alle loro pensioni.

L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.


Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.

Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.

Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.

Allarme Bce per i conti francesi e per «possibili incidenti» in Borsa
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.

A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.

Maggioranza Ursula abbattuta ancora. Ppe-destre cambiano la deforestazione
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».

La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.

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