2023-11-05
L’ipercapitalismo non vuole iperstati ma paradisi fiscali senza democrazia
Lo skyline di Hong Kong (IStock)
Lo storico Quinn Slobodian individua nelle «zone economiche speciali» il vero obiettivo degli ideologi «libertarian». Che sognano aree prive di regole e welfare. Peccato che alla fine si trovino a negoziare con i capi delle nazioni.Come «pensa» il capitale nella sua forma più pura e integralista? Normalmente l’armamentario ideologico associato al capitalismo suona uno spartito globale: un unico mercato, un unico sistema regolatorio, ove possibile uno solo Stato e una moneta unica. Una straordinaria ricostruzione di Quinn Slobodian, giovane e affermato storico con spiccata predilezione per i temi economici, suggerisce una chiave controintuitiva ma di grande efficacia, che va in direzione ostinata e contraria. Il capitalismo della frammentazione (Einaudi, 376 pagine, 20 euro) è un godibilissimo racconto dell’evoluzione storica dell’elemento che, secondo l’autore, è il vero protagonista della spinta pratica delle forze del capitalismo: la «zona». Col termine si intende il vario ma preciso insieme delle «aree economiche speciali» che gli Stati scelgono di creare al proprio interno (o ai propri confini) per attrarre investimenti e generare sviluppo offrendo in cambio condizioni privilegiate agli investitori: meno (o zero) tasse, meno controlli, meno garanzie per i lavoratori fino, nei casi estremi, nessuna legge che non sia frutto di un negoziato economico con i creditori nella parte della «maggioranza». Il paradiso anarco-capitalista, teorizzato a più riprese da Milton Friedman, Friedrich von Hayek, Peter Thiel e vari più o meno credibili epigoni (dal modello Hong Kong a quello Singapore, dalle enclave africane a Dubai, al Liechtenstein fino al cloud, nazione-non nazione in purezza), non è il macro Stato ma la polverizzazione dei Paesi in minuscoli Stati d’eccezione che generino spazi di vitalismo della ricchezza a scapito di regole, welfare e fisco. A scapito, in sostanza, della democrazia, anche qui esplicitamente indicata come ostacolo alla libertà antropologica: è il sogno di migliaia di governi-cda, dove il voto sia il denaro, nella scommessa che ciò allochi le risorse meglio di qualunque consorzio umano. Il libro di Slobodian, di cui per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto, non ha una vera «conclusione» ma due tracce di grande presa. La prima: non sono i cosiddetti «populisti» a costituire la minaccia per la tenuta dell’ordine democratico che tanta preoccupazione desta oggi, ma un’accolita di straricchi (i cui alleati politici «oggettivi», sia detto per inciso, sembrano oggi stare più a sinistra, in genere). La seconda: l’illusione di prosperare sulle «eccezioni» (le zone economiche speciali, appunto) ai danni della «regola» degli Stati è fatalmente destinata a breve durata. Tant’è che, come documenta questo stralcio, spesso i grandi teorici degli «strappi» contro la sovranità nazionale finiscono a negoziare trattamenti di favore con i rappresentanti «tradizionali» di quest’ultima.Hong Kong e Singapore, Londra e il Liechtenstein, la Somalia e Dubai: quella cui assistiamo non è l’unione di capitalismo e democrazia ma la loro crescente divergenza. Le performance delle diverse nazioni nei primi anni del XXI secolo non hanno fatto che rendere ancor più evidente questo copione. Il capitalismo non democratico è il marchio vincente. Le manifestazioni di ammirazione per i governi autoritari asiatici da parte dei libertarians si fanno sempre più frequenti. In una conversazione con un giovane guru del Bitcoin, appena trasferitosi dall’Australia a Dubai per sfuggire al lockdown dovuto al Covid, il presidente del Mises Institute ha elogiato l’efficienza di luoghi come gli Emirati o Singapore. A suo parere, la lezione della pandemia era che le libertà erano provvisorie ovunque e potevano essere revocate con il minimo preavviso. «Singapore, le cose funzionano. In Dubai le cose funzionano», ha detto. «Se è vero che in Occidente stiamo diventando sempre più autoritari, si può essere autoritari senza che niente funzioni oppure autoritari facendo funzionare le cose».Guardandosi intorno nel mondo, si vedono zone ovunque. Durante la pandemia, la Cina ha portato avanti progetti per trasformare l’isola di Hainan in una zona economica speciale, con periodi di non imposizione fiscale per gli investitori, negozi duty-free e regole meno restrittive sulle procedure farmaceutiche e mediche. Come strategia di sviluppo in Africa, le zone sono «in un trend di rapida espansione, con una previsione di proliferazione nella grande maggioranza dei Paesi». Il Sudafrica post-apartheid è una galassia di enclavi a proprietà e gestione private. Il governo del primo ministro indiano Narendra Modi,spesso descritto unicamente dal punto di vista del suo esasperato nazionalismo indù, ha incrementato fortemente le zone economiche speciali. «Molte aziende si trasferiranno qui da Singapore e Dubai, grazie a questi incentivi», dice il rappresentante del governo responsabile del progetto. L’Ungheria si è dedicata a una forma più nazionalista di sviluppo economico, ma al tempo stesso ha aperto nuove zone economiche speciali per gli investitori coreani. La City di Londra sta tornando alle sue origini del xx secolo, cercando di reinventarsi come mercato offshore per l’attività bancaria legata alle criptovalute, puntando ancor più forte sull’unica cosa che sapeva fare bene: incassare compensi per spostare il denaro da un punto all’altro a beneficio di uno strato minuscolo di ricchi. Il «grattacielo-matita» più alto costruito fin qui è stato inaugurato a Manhattan nel 2022: l’altezza e ventiquattro volte la larghezza. I prezzi per un appartamento andavano dagli 8 ai 66 milioni di dollari. «Non è un edificio di alloggi», ha sottolineato un sociologo. «Non serve ad alcuno scopo sociale. E un bene di lusso, simile a uno yacht terrestre». Il settore immobiliare di Dubai ha ricevuto una spinta dalla pandemia, con vendite da record. Tra i nuovi proprietari di case c’erano «signori della guerra afghani e membri delle élite politiche di Paesi come Nigeria, Siria e Libano, tutti in cerca di un posto sicuro in cui parcheggiare i propri risparmi».Le zone sono ovunque, ma contrariamente alla retorica dei loro propugnatori, non sembrano creare isole di liberazione dallo Stato. Piuttosto, gli Stati le usano come strumenti per perseguire i loro scopi. Neom ne e un esempio eloquente. L’Arabia Saudita, un’economia posseduta e gestita da una famiglia reale, sta contrattando con la cinese Huawei per cablare il suo agglomerato nel deserto facendone una «smart city». Come ha ammesso un consulente, le zone hanno potuto avanzare tramite confische rese possibili dal governo, calpestando tutti i basilari principi libertarian sul diritto di proprietà. La creazione di un mercato fondiario nella Cina rurale, per esempio, secondo le proiezioni potrebbe lasciare 110 milioni di abitanti dei villaggi senza terra entro il 2030. Le zone non stanno trasformando il mondo in un patchwork con un migliaio di entità politiche private in competizione dinamica tra loro. Stanno rafforzando la posizione di una manciata di superpotenze capitaliste di Stato.In una nuova prefazione a The Sovereign Individual, scritta nel 2020, Peter Thiel ha affermato che l’ascesa della Cina era l’unico megatrend che fosse sfuggito al libro. Ma, chiedeva, la Cina era poi così diversa, in fin dei conti? Nonostante il fatto che il partito al potere avesse ancora la parola «comunista» nel nome, mostrava ben poco interesse per l’uguaglianza redistributiva. Stava invece giocando felicemente al gioco del capitalismo «chi vince piglia tutto» e della «concorrenza giurisdizionale», consentendo agli investitori di fare shopping tra i territori in cerca delle leggi che meglio si attagliassero loro. Lo stesso Thiel aveva riconsiderato la propria antipatia verso il governo. Dopo aver sostenuto il presidente Trump e contribuito a fornirgli consulenze, la sua azienda Palantir ha iniziato ad assicurarsi importanti appalti con l’Immigration and Customs Enforcement (l’agenzia per la sicurezza delle frontiere e il controllo dell’immigrazione) e l’esercito americano. Nel 2022, Palantir era tra le papabili per iniziare a gestire il fiore all’occhiello del welfare state britannico, l’Nhs, il sistema sanitario nazionale. Lo scrittore di fantascienza e avvocato internazionale China Mieville una volta ha sostenuto che l’«exit» è per i perdenti. I bravi capitalisti sanno che il gioco vero è impadronirsi dello Stato esistente, non sobbarcarsi la scocciatura di crearne uno nuovo.Thiel sembrava concordare sul fatto che un mondo di mille nuovi appalti pubblici fosse preferibile a uno di mille nazioni. Inoltre, gli stessi Stati Uniti somigliano sempre più a una zona. Nel 2022 hanno superato la Svizzera, Singapore e le isole Cayman, conquistando il primo posto in un indice di segretezza finanziaria, incoronati come il miglior luogo al mondo per nascondere o riciclare proventi illegali. Lo status stesso di democrazia degli Stati Uniti è stato messo in discussione. Per un breve periodo, sono stati declassati da un indice molto stimato a una cosiddetta «anocrazia», un sistema che mescola tratti dei governi democratici e di quelli autoritari. Ben presto gli americani potrebbero non aver più bisogno di andare altrove, per realizzare la zona perfetta. Quello che uno studioso chiama «effetto boomerang» potrebbe riportare le politiche delle zone sul territorio nazionale.© 2023 Quinn Slobodian. All rights reserved © 2023 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
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