2020-02-03
Alessandra Tarquini: «Quell’antisemitismo rosso che nasce prima di Israele»
Parla la storica, autrice di un saggio sull'odio per gli ebrei nella sinistra italiana: «L'intolleranza risale a fine Ottocento, il sionismo ha solamente aggravato le cose».L'autorappresentazione ideologica della sinistra, come si sa, si basa su coordinate semplici: esiste un lato giusto della storia e un lato sbagliato. Loro, neanche a dirlo, sono da quello giusto e lì sostengono di essere sempre stati. Si tratta, come è ovvio, di una lettura consolatoria e partigiana della storia delle idee. Prendiamo l'antisemitismo, argomento oggi agitato come una clava non solo per condannare, come è sacrosanto, gli atti di discriminazione reale, ma anche per marchiare a fuoco tutto uno spirito del tempo scaturito, si dice, dalle alchimie politiche degli apprendisti stregoni sovranisti. Ma siamo sicuri che la sinistra abbia le carte in regola per dare lezioni sull'argomento? In tal senso, una lettura imprescindibile appare La sinistra italiana e gli ebrei, saggio appena uscito per i tipi del Mulino e scritto da Alessandra Tarquini, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma e già messasi in mostra con una notevole Storia della cultura fascista.Professoressa, esiste una difficoltà tutta marxista nel relazionarsi con le specifiche problematiche del popolo ebraico? «Sì, esiste un problema nella cultura di matrice marxista con la questione ebraica. Innanzitutto perché parliamo di una cultura fortemente assimilazionista. Secondo i marxisti gli ebrei devono assimilarsi ai loro concittadini nelle società nazionali nelle quali vivono. Possiamo dire che una visione rigidamente classista non aiuta a comprendere la questione ebraica. Questo non significa che le ideologie marxiste sono responsabili dei grandi drammi del Novecento, perché ad esserlo sono sempre gli uomini, le loro scelte, e le loro azioni politiche. E poi il marxismo è stato tante cose diverse, così come del resto il socialismo e il comunismo». La stessa difficoltà la incontriamo quando la sinistra deve mettere a fuoco il tema dell'antisemitismo degli anni Trenta, che sulla stampa militante dell'epoca non sembra essere una priorità...«Non vi è alcun dubbio che la sinistra italiana degli anni Trenta non percepisca l'antisemitismo come un problema prioritario. In generale direi che l'antisemitismo finisce nel grande calderone della “violenza fascista" e gli ebrei in quello dei nemici del fascismo e del nazismo. Il che è anche paradossale perché la stragrande maggioranza degli ebrei, come di tutti gli italiani, negli anni Venti e Trenta era fascista. Dunque, non è vero che gli ebrei sono antifascisti per natura, né del resto, che l'antifascismo è stato sensibile alla causa degli ebrei».È da queste contraddizioni che nascono dissidi come quelli che vediamo, ogni anno, durante la parata del 25 aprile, con la brigata ebraica contestata dai centri sociali?«Chi ritiene che sia importante festeggiare il 25 aprile dovrebbe ricordare e accogliere la brigata ebraica che scelse di combattere dalla parte degli antifascisti. A differenza degli arabi che consideravano le potenze dell'Asse un punto di riferimento, gli ebrei che vivevano in Palestina arrivarono nell'Italia del Sud per dare il proprio contributo. Enzo Sereni, uno di loro, venne catturato fra Firenze e Bologna per morire poi in campo di concentramento a Dachau nel 1944».La nascita dello Stato di Israele complica ulteriormente le cose. La sua tesi, tuttavia, è che i problemi tra sinistra ed ebrei non sorgano come d'incanto nel 1948, giusto? «Esatto, la tesi del mio libro è che le difficoltà tra la sinistra e gli ebrei non nascono con la nascita di Israele, bensì alla fine dell'Ottocento. Sicuramente il 1948 ha cambiato la storia e ricordiamo che l'Urss è stato il primo Paese a riconoscere Israele. Ma i primi problemi tra sinistra e il nuovo Stato nascono subito, già negli anni Cinquanta, anche perché sulla questione israeliana si riflettono anche problematiche tutte italiane: Ben Gurion, per esempio, viene attaccato duramente sulla stampa di sinistra, in quanto socialdemocratico, in un'epoca in cui in Italia il Psdi governa con la Dc e socialisti e comunisti sono all'opposizione. Dopo la guerra dei sei giorni, nel 1967, le posizioni anti israeliane della sinistra si radicalizzano ulteriormente». La guerra dei sei giorni è veramente lo spartiacque che ci è stato a lungo raccontato? «La guerra dei sei giorni del 1967 è spesso ricordata come una cesura perché, secondo molti, segna l'inizio del divorzio fra la sinistra italiana ed internazionale e gli ebrei. In realtà ho cercato di evidenziare che i problemi sono nati molto prima. È vero che da allora cambiò l'immagine di Israele che da piccolo paese nel cuore del Medio Oriente divenne, agli occhi di molti, una potenza capace di difendersi e di passare al contrattacco, ma non è vero che tutto iniziò nel 1967. Ben prima e ben dopo una parte della sinistra mostrò la propria intolleranza. Del resto, non si può generalizzare: proprio nel 1967 il Psi di Nenni era un partito molto vicino a Israele. Proprio su questo matura un grosso scontro nella compagine governativa fra Nenni e Fanfani, ministro degli Esteri, mediato da Aldo Moro».Ma qual è l'esatto legame tra antisemitismo e antisionismo? Israele è forse l'unico Stato che è illegittimo criticare?«Non c'è alcun dubbio che alcune forme di antisionismo abbiano veicolato retaggi antisemiti. Il confine tra queste due realtà è labile. Dopodiché, come è ovvio, si può essere critici nei confronti della classe dirigente israeliana senza essere antisemiti. Diverso è il caso in cui si neghi il diritto all'esistenza di Israele o si addossino a tutti gli ebrei indiscriminatamente le colpe di alcune scelte sbagliate dei dirigenti israeliani».Il problema è reso complicato dall'opinione, diffusa nei Paesi arabi ma anche in Occidente, che Israele sia in ultima istanza uno Stato coloniale.«Non credo che sia corretto definire Israele un Paese coloniale, altra cosa è ovviamente ragionare sulle politiche di alcuni governi di Tel Aviv circa gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi. Questo è comunque un vecchio dibattito e ricordo che la sinistra italiana, ma soprattutto francese, degli anni Settanta ha in effetti parlato di Israele come Stato coloniale (un fait colonial, diceva nel 1967 Maxime Rodinson). È stata una tesi molto diffusa, ma io penso che sia falsa».Come giudica gli allarmi per un presunto ritorno dell'antisemitismo nelle nostre società? «L'antisemitismo è sempre esistito, fa parte del tessuto culturale di noi europei. Ogni tanto è più evidente ai nostri occhi. Gli atti antisemiti sono in effetti in crescita ma non penso che questo sia legato al ritorno del fascismo, come si dice, a cui non credo. Credo si tratti della ricerca del capro espiatorio che avviene nei periodi di crisi».I sovranisti non sono le nuove camicie nere che stanno per marciare sulle società liberali, quindi?«A me sembra che la nuova destra sia più vicina al populismo piuttosto che al fascismo. Il fascismo è stato un regime totalitario e iperpolitico, in cui la politica dava un senso alla vita delle persone. La nuova destra è più una forma di paura rispetto alla globalizzazione. I fascisti avevano un'idea modernizzatrice della società e certo non avevano paura di essere invasi, perché ritenevano di essere loro destinati a portare un messaggio universale nel mondo. È sbagliato immaginare ogni forma di nuova destra come un'espressione di fascismo».Ma fra fascismo e antisemitismo c'è un legame necessario o contingente? Gli storici ne hanno discusso molto, da Renzo De Felice in poi... «L'antisemitismo non è una componente essenziale dell'ideologia fascista. Il razzismo invece sì. I fascisti immaginavano di creare un uomo nuovo, una nuova razza italiana».La famosa «rivoluzione antropologica» di cui parla Emilio Gentile.«Esatto. Ma non si tratta di un razzismo strettamente biologico, alla tedesca, è un razzismo politico volto a trasformare gli italiani anche con educazione, pedagogia eccetera».Recentemente c'è chi ha voluto rintracciare tracce di antisemitismo fin nel Mussolini socialista, cosa che invece Renzo De Felice aveva risolutamente negato. Lei che ne pensa?«Francamente io questo Mussolini razzista ante litteram non l'ho incontrato: anzi, dal dicembre del 1912 alla fine del 1914, quando il futuro capo del fascismo diresse l'Avanti, il quotidiano del Psi fu un'importante voce di denuncia dell'antisemitismo nel mondo».In conclusione, teme che il suo libro verrà interpretato come un atto di accusa nei confronti della sinistra?«Questo è un libro di storia, non deve fare piacere alla destra o alla sinistra. Deve, se ci riesce, porre alcune questioni. Una di queste è che essere di sinistra non vaccina automaticamente contro le forme di intolleranza. Io non credo che la sinistra sia tout court antisemita. Sostenere questo sarebbe falso. Credo, tuttavia, che domandarci chi siamo non ci farà male».
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