2024-07-29
Quella cerimonia è un attacco alla bellezza
L’ideatore della discussa messa in scena, Thomas Joly, assicura: «Nessun riferimento al cattolicesimo, era un baccanale». Ma in questa parodia di Dioniso c’è solo l’aspetto distruttivo. Alain Finkielkraut: «Spettacolo grottesco, dov’era il genio francese?».È stato, guarda il caso, un grande pensatore francese, Michel Maffesoli, a sostenere che sulla nostra (post) modernità si stesse allungando l’ombra di Dioniso. E dunque non avrebbe potuto esserci più clamorosa manifestazione dello spirito del tempo della cerimonia di apertura delle Olimpiadi. L’ideatore, Thomas Jolly, lo ha in effetti evocato, facendolo incarnare a un performer dipinto di blu ridicolmente adagiato su un vassoio al termine di una discutibile sarabanda queer. Ieri Jolly, cercando di rimediare alla figuraccia mondiale, ha tentato di spiegare che il suo intento non era quello di parodiare l’Ultima Cena, Gesù Cristo e gli apostoli. «Non era l’Ultima Cena la mia ispirazione», ha detto. «Credo fosse abbastanza chiaro che si trattava di Dioniso che arriva a tavola, è il dio della Festa, del vino e padre di Sequana, la dea legata al fiume. L’idea era quella di creare un grande banchetto pagano legato agli dei dell’Olimpo. Non troverete mai in me o nel mio lavoro il desiderio di deridere o denigrare qualcuno. Volevo fare una cerimonia che riparasse e riconciliasse… D’altra parte, se il nostro lavoro viene usato per generare nuovo odio e divisione…». Beh, forse il nostro dovrebbe farsi venire almeno il dubbio: avrebbe dovuto essere un filino più chiaro. In realtà, però, ai nostri occhi poco cambia. A prescindere da quali fossero le motivazioni del regista, non c’è dubbio che Dioniso fosse presente all’apertura olimpica. Che è stata, in fondo, una voluttuosa celebrazione del nostro tempo, un sensuale inchino al pensiero dominante e al finto paganesimo di ritorno. Dioniso, ambiguo dio dell’ebbrezza, è colui che oggi ci domina. Viene presentato come il dio della «liberazione» - o meglio dello scatenamento - soprattutto femminile. È un dio androgino, non a caso. Come scriveva Elemire Zolla, «la sua essenza è voluttà sconfinata, in cui estasi virile e femminile si confondono». Secondo Zolla, «Dioniso scaccia fuor di casa, fa abbandonare spola e telaio, fa scalpitare come puledre le sue seguaci che, balzando in deliquio, provano, come disse Euripide, “la gioia della carne divorata cruda”». Negli sfrenati cortei dionisiaci, gli uomini indossavano abiti femminili, essi - lo notava Julius Evola - si privano delle caratteristiche maschili e della virilità per celebrare il Femminino come massima espressione del sacro. Secondo alcune versioni del mito, non a caso, Dioniso è figlio di Semele, cioè della Grande Madre. Dioniso, in buona sostanza, è il dio adatto a quest’epoca perché è un dio delle masse agitate, è un sovvertitore: sotto la sua guida si invertono le leggi e i valori, il mondo si capovolge, i confini fra alto a basso si sfarinano. Dice Claudio Kulesko, uno dei più interessanti filosofi italiani, che «nell’epoca dell’iper-modernità, lo spirito dionisiaco sopravvive in tutte le espressioni della dismisura e dell’esagerazione». Dismisura, esagerazione, sfrenatezza: il dionisiaco travolge l’Europa. Non per nulla Dioniso è divinità ibrida, un dio del tramonto perfetto per il nostro declino. Basta riguardare l’inaugurazione delle Olimpiadi e il patetico spettacolo offerto: svanita è la celeste grandezza apollinea. Restano i bassi istinti, la libertà posticcia che è in realtà un rendersi schiavi delle passioni, e il grufolare selvaggio mascherato da rivincita della natura (quando in realtà molti dei partecipanti alla messa in scena queer, a partire dalla dj Barbara Butch ribadiscono con decisione la loro ostilità a quel che viene definito naturale). Ha pienamente ragione allora un altro filosofo francese, Alain Finkielkraut, il quale parlando col Figaro ha definito la cerimonia inaugurale «uno spettacolo grottesco, che, dalle drag queen [...] alla decapitazione di Maria Antonietta, ha svelato devotamente tutti gli stereotipi dell’epoca». A suo dire, nella rappresentazione «il genio francese brillava per la sua assenza. Non sto parlando di grandezza. Non mi interessa quanto è grande! No, tra le orribili coreografie di Lady Gaga e i dolorosi esibizionismi di Philippe Katerine, dov’erano finiti il gusto, la grazia, la leggerezza, la delicatezza, l’eleganza, addirittura la bellezza?». Dove era finito Apollo? Travolto da Dioniso nella sua versione peggiore. «La bellezza non esiste più», commenta rassegnato Finkielkraut. «Ora è il momento di lottare contro ogni discriminazione. [...] Perché la sfilata doveva essere così aggressivamente brutta? Thomas Jolly e Patrick Boucheron si autoapplaudono per la loro audacia trasgressiva pur essendo zelanti servitori della doxa. [...] La parola che involontariamente viene in mente di fronte a questo grandioso fiasco è decadenza. Cosa resta della Francia in Francia e dell’Europa in Europa? Cosa è successo al Vecchio Continente? La diversità del mondo viene gioiosamente inghiottita nel grande mix planetario. E non erano più gli atleti di tutti i Paesi a sfilare davanti agli occhi di un pubblico estasiato, ma i battelli fluviali con marinai emozionati sul ponte. Il diluvio che poi si è abbattuto sulla Città della Luce non può essere che un castigo divino. A qualcosa la sfortuna fa bene: dopo questa serata apocalittica, sono diventato credente». Non è un caso: i banchetti sfrenati di Dioniso si concludono spesso con brutali omicidi. In questo caso, l’omicidio della bellezza e della tradizione europea.