
Il dibattito sul libro del generale Roberto Vannacci ha riportato il tema dell’uranio impoverito di nuovo sulle pagine dei giornali. In molti già sanno che si tratta di un metallo pesante utilizzato principalmente nella fabbricazione di armi e munizioni. I proiettili sono in grado di generare temperature fino a 3.000 °C, penetrando i carri armati e le installazioni in cui è presente l’amianto. Queste munizioni sono state utilizzate per la prima volta durante la Guerra del Golfo nel 1991, ma poi anche nei Balcani, dove avrebbero provocato morti e complicazioni nei soldati coinvolti, principalmente tumori. Si parla di almeno 366 militari italiani morti e di 7.500 nostri soldati ammalati dopo le missioni in Bosnia (1995) e in Kosovo (1999). Nel 2001 il capo del tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia Carla Del Ponte, affermò che l’uso di armi all’uranio impoverito da parte della Nato avrebbe potuto essere considerato un crimine di guerra. Da lì in poi non si è andati avanti e questo tipo di armi non è stato bandito, ma il suo utilizzo è considerato quanto meno controverso.
Quando se ne parla l’argomento suscita subito scalpore e sì, la mente ritorna subito alle guerre degli anni Novanta, ma la verità è che sono state utilizzate anche più avanti, e non solo in Iraq come denunciato dal generale Vannacci nel 2019.
Senza andare troppo lontani basti pensare al conflitto in Ucraina. Se ne era parlato per qualche settimana lo scorso marzo, quando, come già scritto da La Verità, la baronessa Annabel Goldie, viceministro della Difesa nel governo Tory di Rishi Sunak, durante un’audizione di secondaria importanza alla Camera non elettiva dei Lord, aveva detto che il Regno Unito aveva intenzione di voler fornire a Kiev munizioni con uranio impoverito. La notizia inizialmente passò sotto traccia fino a quando non venne rilanciata dalle stesse autorità ucraine. E quell’annuncio lì per lì fece molto scalpore, indignando i molti che non erano a conoscenza del fatto che queste armi purtroppo vengono utilizzate ancora a livello diffuso. Presto venne fuori che molto probabilmente anche la Russia le stava utilizzando già da qualche tempo, anche se il presidente russo Vladimir Putin ha sempre negato. E anzi, utilizzò questa notizia per alzare ancora la tensione del conflitto: «Il Paese sarà costretto a reagire se verranno trasferite munizioni britanniche all’uranio impoverito in Ucraina». E più avanti aggiunse: «La Russia risponderà per le munizioni all’uranio impoverito. Mosca ha molte di queste armi, ma non le ha ancora usate». Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov in quell’occasione disse: «Se la Gran Bretagna dovesse fornire munizioni all’uranio impoverito all’Ucraina, non c’è dubbio che finirà male per Londra». Eppure nel 2020 Mosca si vantava dei suoi carri armati T80BV con proiettili all’uranio impoverito: «Non viola nessun trattato» dicevano. A maggio di quest’anno il segretario del Consiglio di sicurezza di Mosca, Nikolai Patrushev, denunciò lo sprigionamento di una nuvola radioattiva per effetto di un attacco russo che aveva distrutto i proiettili a uranio impoverito consegnati dalla Nato.
La questione non finì là, più avanti la questione venne fuori perché a giugno il Wall Street Journal, citando funzionari americani, scrisse che l'amministrazione Biden avrebbe potuto fornire all’Ucraina munizioni all’uranio impoverito, di nuovo ci fu la levata di scudi delle autorità russe. Poi nulla di fatto. Nessuna prova, nessuna nuova notizia. Segno che parlarne poco, probabilmente interessa a tutti.






