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2018-05-14
Dall'export di armi lo Stato incassa quasi tre miliardi
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Non sarà certo il mercato più pubblicizzato e chiacchierato in Italia, ma quello delle armi per il Belpaese resta un grande affare. A dirlo è la relazione al Parlamento prevista dalla legge 185/90 e presentata dal sottosegretario Maria Elena Boschi alla presidenza del Consiglio il 4 aprile scorso. Secondo la relazione, nel 2017 il giro d'affari del settore è stato di 10,7 miliardi di euro. Un valore importante, anche se in calo del 35% circa rispetto all'anno precedente, quando, grazie a una maxi commessa di 28 Eurofighter per il Kuwait, il mercato aveva raggiunto i 15,6 miliardi di euro. Dominano le esportazioni, che per il nostro Paese nel 2017 hanno registrato un valore di 10,34 miliardi di euro (14,9 miliardi nel 2016). Molto inferiori, invece, le importazioni che l'anno scorso hanno raggiunto un valore di 386,8 milioni (712,4 nel 2016).
L'Italia si conferma quindi un grande produttore ed esportatore di armi, in grado di ottenere autorizzazioni di vendita da molti Paesi. In testa ai nostri clienti c'è il Qatar. Il piccolo Stato della penisola araba ha fruttato all'Italia nel 2017 4,2 miliardi di commesse in armamenti, in grande crescita rispetto al 2016, quando erano state di 341 milioni. Il secondo Paese in classifica è il Regno Unito, che ha garantito un fatturato di 1,5 miliardi nel 2017. Nel 2016 Sua Maestà aveva permesso commesse per 2,36 miliardi. Medaglia di bronzo alla Germania con 689,9 milioni (1 miliardi nel 2016). Seguono la Spagna (439,7 milioni, stesso valore di due anni fa), gli Stati Uniti (292,2 milioni, 380 nel 2016), la Turchia (266,1, il doppio rispetto a due anni fa), la Francia (251,2 nel 2017 e 574 nel 2016), il Kenya (207,5 l'anno scorso, solo 1,8 nel 2016), la Polonia (206,4 nel 2017 e solo 28,9 due anni fa) e il Pakistan (174,1 e 97,2).
Come spiega l'Agenzia delle dogane, nel 2017 il passaggio di armi ha fruttato 2,7 miliardi di euro in dazi. Non è un caso, infatti, che il 57% dei profitti arrivi da Paesi non appartenenti all'Unione europea o alla Nato (il 48% di questi proviene dai Paesi del Medioriente e del Nord Africa continuando una tendenza che ha visto salire significativamente tale quota storicamente attorno al 45% nel precedente decennio già dal 2016). Il merito è anche della globalizzazione. Il numero di Paesi che comprano armamenti made in Italy è in continua crescita, passando da 56 nel quinquennio 1991-95 a poco più di 60 nel quinquennio 2001-2005, per arrivare a 72 nel quinquennio 2011-2015. Nel 2016 abbiamo superato quota 80: 82 Stati nel 2016 e ben 86 nel 2017.
Secondo lo studio, la gran parte del fatturato arriva dalla produzione vera e propria (elicotteri, aerei, sistemi di controllo e molto altro). Nel 2017 l'Italia ha esportato «materiali», come vengono definiti dall'indagine governativa, per 7,45 miliardi. A questi si devono aggiungere licenze sulle tecnologie (200 milioni), servizi (166 milioni) e ricambi (1,7 miliardi).
Andando più nel dettaglio abbiamo costruito e venduto 237 caccia multiruolo Eurofighter (1,2 miliardi), 12 elicotteri Eh 101 (300 milioni), 5 caccia Tornado Al Yamamah (250 milioni), 45 velivoli multituolo Jsf (76 milioni), 41 sistemi di comando e controllo Mids (80 milioni), 94 elicotteri Nh 90 (62 milioni), 20 caccia Tornado (44 milioni) e 46 caccia multruolo Efa Al Salam (46 milioni). Questi sono solo i veicoli più significativi, ma la lista potrebbe essere ancora lunga.
Ma, noi italiani, non siamo bravi solo a produrre armi. Abbiamo anche capacità nell'intermediazione sul mercato. Una vera e propria esplosione riguarda, infatti, le autorizzazioni alle attività di intermediazione, cresciute del 1.300% a 531,8 milioni di euro dai 37,6 milioni del 2016. In poche parole si tratta delle attività legate alla negoziazione del trasferimento di beni militari, non solo da e verso l'Italia, ma anche tra Stati terzi. Praticamente, troviamo compratori per chi vuole cedere bene o servizi non più necessari oppure ne ha bisogno di nuovi.
Dalle tabelle governative, per esempio, si può notare come Mbda Italia (la parte legata al nostro Paese del principale consorzio europeo costruttore di missili e tecnologia per la difesa) abbia richiesto licenza di intermediazione per 178 milioni circa i missili Aster venduti al Qatar (verso cui probabilmente si indirizza anche l'intermediazione da 40 milioni per le corvette di Fincantieri). Lo stesso, stando al rapporto, ha fatto Leonardo per 171 milioni per i caccia Eurofighter venduti al Kuwait. Anche in questo caso, la lista è lunga.
In Italia, dunque, il mercato degli armamenti appare di dimensioni importanti e ad alimentarlo ci pensa la necessità di sicurezza scaturita dai vari conflitti in giro per il mondo. In particolar modo la nostra industria bellica sembra dare una grossa mano a tutte le guerre in Medioriente (e non solo).
Gianluca Baldini
Senato della Repubblica.pdf
Transazioni bancarie per 4,8 miliardi: Unicredit al primo posto
GiphySe c'è un argomento di cui le banche preferiscono non parlare sono i profitti che realizzano dall'industria bellica. Una fonte di ricavi tutt'altro che trascurabile se si dà uno sguardo alla relazione governativa sull'export italiano di armamenti prevista dalla legge 185/90, con dati riferiti al 2017. Per quanto riguarda gli istituti di credito che mettono a disposizione propri conti e sportelli per l'incasso dei pagamenti legati al settore degli armamenti va sottolineato che nel 2017 gli importi segnalati abbiano raggiunto la ragguardevole cifra di 4,8 miliardi di euro (gli incassi erano 3,7 miliardi nel 2016). Il che significa che l'anno scorso poco meno del 50% dei ricavi dell'intero settore (10,7 miliardi di euro in totale) è passato dai conti di istituti italiani.
Di tutti i soldi legati al settore transitati per le banche italiane, oltre la metà (2,8 miliardi di euro) è finita su conti del gruppo Unicredit. Un primato che la banca guidata dall'amministratore delegato Jean Pierre Mustier non ha perso nemmeno nel 2016, quando fece passare sui suoi canali circa 2 miliardi legati ai proventi del settore.
In seconda posizione troviamo l'exploit di Deutsche bank. Il colosso tedesco - che si distacca molto dal risultato dell'istituto di Piazza Gae Aulenti - ha visto transitare denaro per 712 milioni, decisamente di più rispetto ai 194 milioni del 2016. In terza posizione un altro grande gruppo straniero con interessi in Italia: Bnp Paribas. Anche il gruppo transalpino nel 2017 ha incrementato il fatturato legato alle armi rispetto a due anni fa. L'anno scorso il gruppo aveva visto passare denaro per 25 milioni di euro, oltre tre volte rispetto ai 74,8 milioni del 2016. Crescono pure Barclays Bank e la Banca Popolare di Sondrio. Sui conti italiani del gruppo inglese nel 2016 sono passati 174 milioni di euro, valore salito a 211 milioni nel 2017. L'istituto valtellinese ha fatto registrato un balzo significativo: dai 12,3 milioni del 2016, è passato ai 174 del 2017.
Nonostante le dimensioni di un gruppo come Intesa Sanpaolo (la seconda banca del Paese), l'istituto guidato dall'amministratore delegato Carlo Messina ha visto passare sui suoi conti non molto denaro: 63,3 milioni nel 2016 e 137,2 nel 2017. La lista è ancora lunga, ma questi sono gli istituti che hanno ottenuto più ricavi dal mondo delle armi. Quello che si può notare è che in quasi tutti i casi analizzati dal governo, le banche ogni anno cercano di incrementare la quantità di denaro che passa dai loro conti legata agli armamenti. A testimonianza di quanto il settore in Italia sia in ottima forma.
Gianluca Baldini
Raddoppia il mercato tricolore in Africa e la Cina si muove da partner

upload.wikimedia.org
L'export italiano di armi in Africa ha realizzato un importantissimo salto tra il 2016 e il 2016.Se due anni fa i valori si aggiravano intorno ai 97 milioni di euro (un cifra che è rimasta stabile rispetto al decennio precedente), l'anno scorso l'importo complessivo è salito a 253 milioni, segnando una linea di demarcazione che secondo gli esperti dovrebbe aver segnato una sorta di scollinamento. I rapporti con i Paesi dell'Africa subsahariana stanno migliorando e si preparano a a sostituire le opportunità perse dopo l'attacco franco-europeo alla Libia nel 2011. Kenya, Cameroon e Angola si dimostrano le tre nazioni di riferimento, ma presto nel paniere italiano potrebbero entrare anche nazioni filofrancesi come il mali, il Niger. Fino a quattro anni fa il panorama africano era ancora cristallizzato secondo i vecchi schemi. Non a caso un articolo di Repubblica del 2014 citando il report del Stockholm International Peace Research Institute descriveva una spartizione tradizionale.
I dati elaborati raccontavano che tra il 2010 e il 2014 l'89% del mercato mondiale è dominato da Stati Uniti (31%), Russia (27%), Cina (5%), Germania (5%), Francia (5%), Gran Bretagna (4%), Spagna (3%), Italia (3%), Ucraina (3%) e Israele (2%): questi i dieci Paesi che detengono la quasi totalità del mercato mondiale.
Nella sola Africa, in particolare nell'area nordafricana e subsahariana, un ruolo di primo piano tra il 2014 e il 2016 è stato rivestito dall'Ucraina, che ha coperto quasi 1/3 delle vendite totali dell'area, seguita da Francia, Cina e Russia (tutte con il 14%), nonché dall'Italia (con il 7%). Nella sola zona subsahariana, nell'Africa il maggior esportatore d'armi resta l'Ucraina (29%), seguita da Cina (10%) e Israele (4%). «Nell'analizzare uno tra i nuovi maggiori esportatori nel continente, si scopre che i clienti dell'Ucraina sono l'Algeria, la Repubblica Centroafricana, il Ciad, la Repubblica Democratica del Congo, l'Egitto, la Guinea Equatoriale, il Mali, il Marocco, il Mozambico, il Niger, la Nigeria, il Ruanda, il Sudan, la Tanzania, l'Uganda, lo Zambia, nonché un paese africano non identificato, col quale lo stato ucraino commercia in modo meno trasparente», scriveva il quotidiano Repubblica. «Un arsenale enorme di cui è possibile comprendere l'importanza strategica, motivo dello scontro in atto con la Russia di Putin, anch'essa grande acquirente delle fabbriche ucraine (nell'ultimo decennio, 264 motori, 34 aerei da trasporto, 100 missili terra-aria)».
Adesso i player sono cambiati. Silenziosamente è cresciuto e il ruolo italiano e con proporzioni diverse pure quello cinese che rappresenta oggi in alcuni Paesi come Sud Sudan, Zimbabwe un reale monopolio.
Si calcola che in Africa, da Alessandria a Città del Capo circolino circa 100 milioni di armi leggere. I Paesi produttori sono però soltanto 16 su 54 e i principali sono Sudafrica, Kenya, Zimbabwe ed Etiopia. Le mosse cinesi negli ultimi anni hanno virato nella direzione del cosiddetto «local content7. In pratica joint venture locali che permettono a nazioni come il mali di produrre armi leggere e munizioni direttamente in loco. È la nuova frontiera del business. Che rischia di rompere una volta per tutte gli equilibri precedenti. L'Italia dovràfare i conti con questo trend se vuole mantenere il proprio in crescita. Non è un caso se la delicata questione dell'intervento militare tricolore in Niger sia stato congelato dopo un brusco cambio di passo da parte della Francia. Secondo quanto risulta alla Verità, sarebbe stata Pechino a sostenere la nostra presenza in loco in modo da aprire una nuova possibilità di collaborazione (non solo militare ma anche energetica, visto che i cinesi detengono tre importanti miniere d'uranio in Niger) che sul medio termine potrebbe anche fornire un definitivo boost al nostro export di armi.
Claudio Antonelli
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Nel 2017 in diminuzione il giro d'affari degli armamenti, ma solo perchè il 2016 aveva registarto la maxi commessa da 7 miliardi al Kuwait per 28 caccia Eurofighter. Dominano le esportazioni: 10,3 miliardi (14,9 miliardi nel 2016). Inferiori le importazioni che l'anno scorso hanno raggiunto un valore di soli 386,8 milioni (712,4 nel 2016). Nelle casse pubbliche sono finiti in dazi oltre 2,7 miliardi di euro. Di tutti i soldi legati al settore transitati per le banche italiane, oltre la metà (2,8 miliardi di euro) è stata gestita da Unicredit. In seconda posizione, Deutsche bank e a seguire Bnp Paribas.Il mercato africano per l'Italia da solo vale 253 milioni. Sempre più le nazioni subsahariane dove si aprono interessi comuni con la CinaLo speciale contiene tre articoli.Non sarà certo il mercato più pubblicizzato e chiacchierato in Italia, ma quello delle armi per il Belpaese resta un grande affare. A dirlo è la relazione al Parlamento prevista dalla legge 185/90 e presentata dal sottosegretario Maria Elena Boschi alla presidenza del Consiglio il 4 aprile scorso. Secondo la relazione, nel 2017 il giro d'affari del settore è stato di 10,7 miliardi di euro. Un valore importante, anche se in calo del 35% circa rispetto all'anno precedente, quando, grazie a una maxi commessa di 28 Eurofighter per il Kuwait, il mercato aveva raggiunto i 15,6 miliardi di euro. Dominano le esportazioni, che per il nostro Paese nel 2017 hanno registrato un valore di 10,34 miliardi di euro (14,9 miliardi nel 2016). Molto inferiori, invece, le importazioni che l'anno scorso hanno raggiunto un valore di 386,8 milioni (712,4 nel 2016).L'Italia si conferma quindi un grande produttore ed esportatore di armi, in grado di ottenere autorizzazioni di vendita da molti Paesi. In testa ai nostri clienti c'è il Qatar. Il piccolo Stato della penisola araba ha fruttato all'Italia nel 2017 4,2 miliardi di commesse in armamenti, in grande crescita rispetto al 2016, quando erano state di 341 milioni. Il secondo Paese in classifica è il Regno Unito, che ha garantito un fatturato di 1,5 miliardi nel 2017. Nel 2016 Sua Maestà aveva permesso commesse per 2,36 miliardi. Medaglia di bronzo alla Germania con 689,9 milioni (1 miliardi nel 2016). Seguono la Spagna (439,7 milioni, stesso valore di due anni fa), gli Stati Uniti (292,2 milioni, 380 nel 2016), la Turchia (266,1, il doppio rispetto a due anni fa), la Francia (251,2 nel 2017 e 574 nel 2016), il Kenya (207,5 l'anno scorso, solo 1,8 nel 2016), la Polonia (206,4 nel 2017 e solo 28,9 due anni fa) e il Pakistan (174,1 e 97,2).Come spiega l'Agenzia delle dogane, nel 2017 il passaggio di armi ha fruttato 2,7 miliardi di euro in dazi. Non è un caso, infatti, che il 57% dei profitti arrivi da Paesi non appartenenti all'Unione europea o alla Nato (il 48% di questi proviene dai Paesi del Medioriente e del Nord Africa continuando una tendenza che ha visto salire significativamente tale quota storicamente attorno al 45% nel precedente decennio già dal 2016). Il merito è anche della globalizzazione. Il numero di Paesi che comprano armamenti made in Italy è in continua crescita, passando da 56 nel quinquennio 1991-95 a poco più di 60 nel quinquennio 2001-2005, per arrivare a 72 nel quinquennio 2011-2015. Nel 2016 abbiamo superato quota 80: 82 Stati nel 2016 e ben 86 nel 2017.Secondo lo studio, la gran parte del fatturato arriva dalla produzione vera e propria (elicotteri, aerei, sistemi di controllo e molto altro). Nel 2017 l'Italia ha esportato «materiali», come vengono definiti dall'indagine governativa, per 7,45 miliardi. A questi si devono aggiungere licenze sulle tecnologie (200 milioni), servizi (166 milioni) e ricambi (1,7 miliardi).Andando più nel dettaglio abbiamo costruito e venduto 237 caccia multiruolo Eurofighter (1,2 miliardi), 12 elicotteri Eh 101 (300 milioni), 5 caccia Tornado Al Yamamah (250 milioni), 45 velivoli multituolo Jsf (76 milioni), 41 sistemi di comando e controllo Mids (80 milioni), 94 elicotteri Nh 90 (62 milioni), 20 caccia Tornado (44 milioni) e 46 caccia multruolo Efa Al Salam (46 milioni). Questi sono solo i veicoli più significativi, ma la lista potrebbe essere ancora lunga. Ma, noi italiani, non siamo bravi solo a produrre armi. Abbiamo anche capacità nell'intermediazione sul mercato. Una vera e propria esplosione riguarda, infatti, le autorizzazioni alle attività di intermediazione, cresciute del 1.300% a 531,8 milioni di euro dai 37,6 milioni del 2016. In poche parole si tratta delle attività legate alla negoziazione del trasferimento di beni militari, non solo da e verso l'Italia, ma anche tra Stati terzi. Praticamente, troviamo compratori per chi vuole cedere bene o servizi non più necessari oppure ne ha bisogno di nuovi.Dalle tabelle governative, per esempio, si può notare come Mbda Italia (la parte legata al nostro Paese del principale consorzio europeo costruttore di missili e tecnologia per la difesa) abbia richiesto licenza di intermediazione per 178 milioni circa i missili Aster venduti al Qatar (verso cui probabilmente si indirizza anche l'intermediazione da 40 milioni per le corvette di Fincantieri). Lo stesso, stando al rapporto, ha fatto Leonardo per 171 milioni per i caccia Eurofighter venduti al Kuwait. Anche in questo caso, la lista è lunga. In Italia, dunque, il mercato degli armamenti appare di dimensioni importanti e ad alimentarlo ci pensa la necessità di sicurezza scaturita dai vari conflitti in giro per il mondo. In particolar modo la nostra industria bellica sembra dare una grossa mano a tutte le guerre in Medioriente (e non solo). 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Una fonte di ricavi tutt'altro che trascurabile se si dà uno sguardo alla relazione governativa sull'export italiano di armamenti prevista dalla legge 185/90, con dati riferiti al 2017. Per quanto riguarda gli istituti di credito che mettono a disposizione propri conti e sportelli per l'incasso dei pagamenti legati al settore degli armamenti va sottolineato che nel 2017 gli importi segnalati abbiano raggiunto la ragguardevole cifra di 4,8 miliardi di euro (gli incassi erano 3,7 miliardi nel 2016). Il che significa che l'anno scorso poco meno del 50% dei ricavi dell'intero settore (10,7 miliardi di euro in totale) è passato dai conti di istituti italiani.Di tutti i soldi legati al settore transitati per le banche italiane, oltre la metà (2,8 miliardi di euro) è finita su conti del gruppo Unicredit. Un primato che la banca guidata dall'amministratore delegato Jean Pierre Mustier non ha perso nemmeno nel 2016, quando fece passare sui suoi canali circa 2 miliardi legati ai proventi del settore.In seconda posizione troviamo l'exploit di Deutsche bank. Il colosso tedesco - che si distacca molto dal risultato dell'istituto di Piazza Gae Aulenti - ha visto transitare denaro per 712 milioni, decisamente di più rispetto ai 194 milioni del 2016. In terza posizione un altro grande gruppo straniero con interessi in Italia: Bnp Paribas. Anche il gruppo transalpino nel 2017 ha incrementato il fatturato legato alle armi rispetto a due anni fa. L'anno scorso il gruppo aveva visto passare denaro per 25 milioni di euro, oltre tre volte rispetto ai 74,8 milioni del 2016. Crescono pure Barclays Bank e la Banca Popolare di Sondrio. Sui conti italiani del gruppo inglese nel 2016 sono passati 174 milioni di euro, valore salito a 211 milioni nel 2017. L'istituto valtellinese ha fatto registrato un balzo significativo: dai 12,3 milioni del 2016, è passato ai 174 del 2017.Nonostante le dimensioni di un gruppo come Intesa Sanpaolo (la seconda banca del Paese), l'istituto guidato dall'amministratore delegato Carlo Messina ha visto passare sui suoi conti non molto denaro: 63,3 milioni nel 2016 e 137,2 nel 2017. La lista è ancora lunga, ma questi sono gli istituti che hanno ottenuto più ricavi dal mondo delle armi. Quello che si può notare è che in quasi tutti i casi analizzati dal governo, le banche ogni anno cercano di incrementare la quantità di denaro che passa dai loro conti legata agli armamenti. A testimonianza di quanto il settore in Italia sia in ottima forma.Gianluca Baldini <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/quanto-incassa-lostato-dalle-armi-2568146681.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="raddoppia-il-mercato-tricolore-in-africa-e-la-cina-si-muove-da-partner" data-post-id="2568146681" data-published-at="1766562095" data-use-pagination="False"> Raddoppia il mercato tricolore in Africa e la Cina si muove da partner upload.wikimedia.org L'export italiano di armi in Africa ha realizzato un importantissimo salto tra il 2016 e il 2016.Se due anni fa i valori si aggiravano intorno ai 97 milioni di euro (un cifra che è rimasta stabile rispetto al decennio precedente), l'anno scorso l'importo complessivo è salito a 253 milioni, segnando una linea di demarcazione che secondo gli esperti dovrebbe aver segnato una sorta di scollinamento. I rapporti con i Paesi dell'Africa subsahariana stanno migliorando e si preparano a a sostituire le opportunità perse dopo l'attacco franco-europeo alla Libia nel 2011. Kenya, Cameroon e Angola si dimostrano le tre nazioni di riferimento, ma presto nel paniere italiano potrebbero entrare anche nazioni filofrancesi come il mali, il Niger. Fino a quattro anni fa il panorama africano era ancora cristallizzato secondo i vecchi schemi. Non a caso un articolo di Repubblica del 2014 citando il report del Stockholm International Peace Research Institute descriveva una spartizione tradizionale. I dati elaborati raccontavano che tra il 2010 e il 2014 l'89% del mercato mondiale è dominato da Stati Uniti (31%), Russia (27%), Cina (5%), Germania (5%), Francia (5%), Gran Bretagna (4%), Spagna (3%), Italia (3%), Ucraina (3%) e Israele (2%): questi i dieci Paesi che detengono la quasi totalità del mercato mondiale. Nella sola Africa, in particolare nell'area nordafricana e subsahariana, un ruolo di primo piano tra il 2014 e il 2016 è stato rivestito dall'Ucraina, che ha coperto quasi 1/3 delle vendite totali dell'area, seguita da Francia, Cina e Russia (tutte con il 14%), nonché dall'Italia (con il 7%). Nella sola zona subsahariana, nell'Africa il maggior esportatore d'armi resta l'Ucraina (29%), seguita da Cina (10%) e Israele (4%). «Nell'analizzare uno tra i nuovi maggiori esportatori nel continente, si scopre che i clienti dell'Ucraina sono l'Algeria, la Repubblica Centroafricana, il Ciad, la Repubblica Democratica del Congo, l'Egitto, la Guinea Equatoriale, il Mali, il Marocco, il Mozambico, il Niger, la Nigeria, il Ruanda, il Sudan, la Tanzania, l'Uganda, lo Zambia, nonché un paese africano non identificato, col quale lo stato ucraino commercia in modo meno trasparente», scriveva il quotidiano Repubblica. «Un arsenale enorme di cui è possibile comprendere l'importanza strategica, motivo dello scontro in atto con la Russia di Putin, anch'essa grande acquirente delle fabbriche ucraine (nell'ultimo decennio, 264 motori, 34 aerei da trasporto, 100 missili terra-aria)».Adesso i player sono cambiati. Silenziosamente è cresciuto e il ruolo italiano e con proporzioni diverse pure quello cinese che rappresenta oggi in alcuni Paesi come Sud Sudan, Zimbabwe un reale monopolio. Si calcola che in Africa, da Alessandria a Città del Capo circolino circa 100 milioni di armi leggere. I Paesi produttori sono però soltanto 16 su 54 e i principali sono Sudafrica, Kenya, Zimbabwe ed Etiopia. Le mosse cinesi negli ultimi anni hanno virato nella direzione del cosiddetto «local content7. In pratica joint venture locali che permettono a nazioni come il mali di produrre armi leggere e munizioni direttamente in loco. È la nuova frontiera del business. Che rischia di rompere una volta per tutte gli equilibri precedenti. L'Italia dovràfare i conti con questo trend se vuole mantenere il proprio in crescita. Non è un caso se la delicata questione dell'intervento militare tricolore in Niger sia stato congelato dopo un brusco cambio di passo da parte della Francia. Secondo quanto risulta alla Verità, sarebbe stata Pechino a sostenere la nostra presenza in loco in modo da aprire una nuova possibilità di collaborazione (non solo militare ma anche energetica, visto che i cinesi detengono tre importanti miniere d'uranio in Niger) che sul medio termine potrebbe anche fornire un definitivo boost al nostro export di armi.Claudio Antonelli
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 24 dicembre con Carlo Cambi
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C’è un aneddoto che ogni scrittore gastronomiche si è sentito ripetere all’infinito e che viene poi adattata alla bisogna. Pare però che abbi aderenza al vero e si narra che Egidio Albornoz, potentissimo legato pontificio, giunto a Bologna - siamo nella prima metà del Trecento - dove fondò l’ancor oggi prestigiosissimo Collegio di Spagna saputo di questa minestra prelibatissima, i tortellini ne chiedesse alle suore benedettine che si occupavano della mensa di curia. Solo che era epoca di stretta vigilia e di quaresima e le buone sorelle si rifiutavano d’imbastire un pasto che contenesse le carni: erano sì i tortellorum ad Natale ma non si potevano servire fuori dai giorni di grasso. L’Albornoz - pare - impose la sua autorità e di fronte ai tortellini fumanti usò la formula: «ego te baptizo piscem». E la dieta di magro fu slava.
Questo battesimo per eliminare gli ostacoli è diventato un luogo comune e anche noi - diciamocela tuta la verità - approfittiamo della vigilia per buttarsi a capofitto nella paranza! Che non è una danza che si balla nella latitanza - come canta Daniele Silvestri - ma nel nostro caso è un modo gustoso per riempire la panza. Lasciamo perdere le ricette di tradizione (l’anguilla o il capitone non dovrebbe mancare in tavola perché mangiare il serpente a Natale significa sconfiggere il male o se volete poiché il serpente ha andamento circolare significa appropriarsi del ciclo eterno della vita e del resto il serpente è figura mitologica ambivalente altrimenti perché Esculapio l’avrebbe a simbolo!) noia abbiano pensato di dare qualche suggerimento dell’ultim’ora. Ecco dieci tuffi nella cucina di vigilia!
Tagliatelle sogliole e champagne con funghi
Ingredienti - 320 gr di tagliatelle o fettuccine all’uovo, 250 gr di filetti di sogliola, un mezzo bicchiere di Champagne, 20 gr di funghi porcini secchi, 1 spicchio d’aglio, un cipollotto fresco, un cucchiaio di prezzemolo tagliato fine, un bicchiere di panna da cucina, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe bianco di mulinello qb.
Procedimento - Ammollate i funghi in acqua calda. Nel frattempo fate una tartare con i filetti di sogliola e tritate finemente il cipollotto. Strizzate bene i funghi e in un padellino fate imbiondire lo spicchio d’aglio e poi saltate i funghi. Incoperchiate e portate a cottura. Cotti che siano i funghi eliminante l’aglio e aggiungete il prezzemolo. In una capace padella dove salterete anche la pasta fate imbiondire in due cucchiai di olio extravergine il cipollotto tritato e appena diviene trasparente aggiungete la sogliola e sfumate con lo Champagne. Ora aggiungete i funghi. Cuocete le fettuccine al dente in abbondante acqua salata. Aggiustate il condimento si sale e di pepe bianco, saltate in padella le tagliatelle con la panna e servite. Se necessario aggiungete ancora un po’ di prezzemolo tritato.
Cannelloni verdi con zucchine
Ingredienti - 12 quadrati di pasta secca verde, 1 kg di zucchine, i tuorli di due uova, 250 gr di ricotta fresca meglio se mista, 8 cucchiai di formaggio grattugiato, 500 ml di latte, 80 gr di burro, 4 cucchiai di farina 00, noce moscata, olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento - Lessate in acqua salata le zucchine tranne tre. Devono rimanere però croccanti, non disfarsi. Ora passatele al mixer per ottenere un passato grossolano che raccoglierete in una garza per pressarlo ad avere un passato asciutto. In una ciotola mescolate il passato ai due tuorli d’uovo, alla ricotta, a due cucchiai di foraggio grattugiato e aggiustate di pepe e sale. Lessate in acqua salata i fogli di pasta scolateli e stendeteli su di un canovaccio ad asciugare. Nel frattempo preparare la besciamella facendo fondere in un tegamino il burro incorporando la farina, poi aggiungete il latte tiepido a filo girando con una frusta ina modo che non si formino grumi. Aggiungete 4 cucchiai di formaggio e profumate di noce moscata aggiustando di sale. Ora su un lato lungo di ogni foglio di pasta ce avrete spolverizzato con un po’ di formaggio grattugiato adagiate un po’ di ripieno e formate i cannelloni. Tagliate con l’ausilio della mandolina le tre zucchine rimaste a rondelle sottili e fatele saltare in padella con poco olio extravergine, un pizzico di sale e una mainata di pepe. Fatele ben croccanti. Ora in una pirofila da forno che avrete imburrato stendete sul fondo un sottile strato di besciamella poi adagiatevi sopra i cannelloni e condite on la besciamella rimasta Adagiate sui cannelloni le rondelle di zucchine sovrapponendole leggermente l’una all’altra. Infornate per una decina di minuti a 180° avendo cura di passare al grill prima di servire per ottenere una perfetta duratura.
Risotto di Capodanno
Ingredienti - 360 gr di riso italiano Carnaroli, o Arborio o Vialone Nano, una cipolla, una carota, una costa di sedano, un pomodorino, due belle melegrane, due porri per circa 200 gr, 180 gr di Parmigiano Reggiano o Grana Padana grattugiato, 180 gr di burro salato, un bicchiere di vino rosato (noi abbiamo usato lo spumante), 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento - Per prima cosa preparate un brodo vegetale con carota, pomodorino, mezza cipolla, sedano e le parti verdi dei porri ben lavate che metterete a freddo in una pentola colma d’acqua. Ora sgranate le melegrane e tenete da parte i chicchi. In un padellino stufate i porri tagliati a rondelle fini in 50 gr di burro, olio extravergine e portateli a cottura aiutandovi con un po’ di brodo vegetale. Cotti che siano i porri frullateli aggiustando di sale e pepe con un paio di cucchiai di formaggio grattugiato e tenete la cremina di porro a parte Ora in una pentola fate soffriggere in 3 quarti del burro rimasto la cipolla fino a farla diventare trasparente, tostate in questa pentola il riso e poi bagnate con il vino rosato facendo sfumare tutto l’alcol. Aggiungete la cremina di porro e continuate la cottura del riso aggiungendo a poco a poco il brodo vegetale. Frullate tre quarti dei chicchi di melagrana (tenetene da parte un po’ per guarnizione) poi passateli al colino cinese in modo da estrarre il succo che aggiungerete mano a mano al riso. Assaggiate per evitare di aggiungere troppo suco e che il riso sia troppo aspro. Quando il riso è quasi cotto aggiustate di sale e pepe, togliete dal fuoco e mantecate per un minuto almeno col burro rimasto e tutto il formaggio residuo. Servite guarnendo con i chicchi di melagrana.
Spaghettone del pescatore
Ingredienti - 360 gr di spaghettoni di grano italiano, 6 cucchiai di olio extravergine di oliva, un mazzetto abbondante di prezzemolo, un peperoncino, due spicchi d’aglio, 8 mazzancolle (oppure gamberoni o scampi) due codine di rospo, due calamari di generose dimensioni, tre cucchiai di concentrato di pomodoro, mezzo bicchiere di vino bianco (facoltativo) sale qb.
Procedimento - Mettete subito a bollire l’acqua per la pasta nel frattempo tritate finemente l’aglio, separate le foglie del prezzemolo dai gambi e se ne avete voglia private le mazzancolle del carapace lasciando però la testa che dà sapore e togliendo i baffi. Pulite i calamari e fateli a striscioline, pulite le codine di rospo. Mettete a cuocere la pasta. In una capace padella – ci dovrete saltare gli spaghettoni dunque siate generosi nel diametro – scaldate 4 cucchiai di olio extravergine di oliva con l’aglio tritato, i gambi del prezzemolo e il peperoncino. Quando l’aglio si è ammorbidito passate in padella prima le code di rospo e i calamari e dopo cinque minuti mettete a cuocere le mazzancolle. A questo punto sfumate col vino bianco, aggiustate di sale e aggiungete il concentrato di pomodoro stemperato, se serve perché il vino è già evaporato, con po’ d’acqua di cottura della pasta. Tritate finemente il prezzemolo. Scolate gli spaghettoni, eliminate dal sugo il peperoncino, e saltateli in padella, dividete in 4 filetti le codine di rospo e adagiatene uno in ogni piatto servendo con un po’ di olio extravergine a crudo e una spolverata di prezzemolo tritato.
Sformatini ai pistacchi
Ingredienti - 350 gr di erbette miste (spinaci, bietoline, cimette di rapa), 125 ml di latte, 50 gr di farina, 50 gr di burro, 20 gr di formaggio grattugiato, gli albumi di due uova, 40 gr di pistacchi ridotti a granella fine, 4 fette di pane in cassetta, sale, pepe, noce moscata qb.
Procedimento - Lessate le erbette in abbondante acqua salata. Scolatele, strizzatele bene e poi passatele al mixer fino ad ottenere una crema liscia. In un tegamino sciogliete 2/3 del burro, unitevi la farina e fate tostare girando con un cucchiaio, unitevi ora la purea di erbette, aggiustate di sale, pepe e noce moscata e il late, portate ad ebollizione sempre girando con un cucchiaio di legno. Raggiunto il bollore spegnete il fuoco. Ora montate a neve i due albumi. Incorporateli insieme al formaggio alla purea di erbette. Imburrate bene degli stampini monoporzione e foderateli con la granella di pistacchio. Riempiteli con il composto e infornate a 180° per circa 10 minuti. Nel frattempo friggete nel burro le fette di pane in cassetta e una volta che gli sformatini saranno cotti, guarniteli con altro pistacchio e adagiateli sulle fette di pane per servire.
Stoccafisso con i peperoni
Ingredienti - 500 gr di stoccafisso ammollato, 2 peperoni rossi e 2 peperoni gialli, 300 gr di pomodori da salsa, 2 spicchi di aglio, 30 gr di olio extravergine di oliva, due cucchiai di olive nere, un’acciuga sotto sale, mezzo bicchiere di vino bianco secco di ottima qualità, un rametto di timo fresco e alcune foglie di basilico, pepe nero di mulinello, sale.
Procedimento - Mondate i peperoni e fateli a strisce sottili. Sbollentate i pomodori e sbucciateli. In una padella capace fate saltare i due spicchi d’aglio schiacciati nell’olio extravergine insieme all’acciuga che avrete sfilettato e dissalato oltre ad averla privata della lisca centrale. Fate in modo che la fiamma consenta all’aglio di dorare e all’acciuga di disfarsi, ma che non sia troppo violenta. Eliminate l’aglio e aggiungete lo stoccafisso che sfibrerete con le mani dopo averlo privato della pelle e delle lische residue. Fate prendere calore poi sfumate con il vino. Cuocete a fuoco dolce per un quarto d’ora. Trascorso questo tempo aggiungete i pomodori che avrete fatto a pezzettoni. Continuate a la cottura a fiamma moderata per 15 minuti poi aggiungete i peperoni e cuocete per circa 20 minuti a fuoco basso. Se avete passato i peperoni sulla fiamma per spellarli potete accorciare un po’ il tempo di cottura. Quando il pesce è quasi pronto profumate con il timo e il basilico. Aggiustate con il pepe e se necessario con il sale. Prima di servire fate un giro di olio extravergine a crudo.
Scorfani arrossati
Ingredienti - 4 scorfani di circa 350 gr cadauno, due filetti d’alici e due cucchiai di capperi sotto sale (facoltativi), 6 cucchiai di olive taggiasche e leccino in salamoia, due spicchi generosi di aglio rosso, almeno sei cucchiai di olio extravergine di oliva, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, 350 gr di pomodori ciliegini gialli e rossi, un mazzetto abbondante di prezzemolo, un peperoncino e sale qb.
Procedimento - Lavate bene gli scorfani e teneteli da parte. Tagliate a metà i pomodorini. Ora in una padella capiente fate imbiondire l’aglio e il peperoncino in olio extravergine di oliva, aggiungete i pomodorini e aggiustate di sale. Se volete potete far disciogliere nell’olio caldo i filetti di acciughe e aggiungete i capperi dissalati. Siate in quel caso parchi col sale. Appena i pomodori hanno preso calore togliete gli spicchi d’aglio e il peperoncino e aggiungete i pesci che farete rosolare da tutti i lati, poi abbassate la fiamma e irrorate con il concentrato di pomodoro che avrete disciolto in un po’ di acqua calda, incoperchiate e continuate la cottura per circa 10 minuti a fuoco dolce. Nel frattempo tritate finemente il prezzemolo. Ora aggiungete le olive dopo averle sciacquate e andate ancora per qualche minuto a cottura. Aggiustate di sale se serve e prima di servire irrorate con abbondante prezzemolo tritato e volendo con un giro di olio extravergine a crudo.
Rana pescatrice al tartufo
Ingredienti - Una rana pescatrice (o coda di rospo) di 1 kg, un tartufo nero pregiato da 40 gr, 4 o 5 foglioline di salvia, 6 cucchiai di farina tipo 1, 100 gr di burro di primo affioramento (noi abbiamo usato del burro al tartufo, ma è un per di più) sale e pepe qb.
Procedimento - Pulite, eviscerate la rana pescatrice e staccate dalla testa (tenetela da parte è ottima per fare il fumetto di pesce per un risotto!) il corpo che farete a tranci di circa 6/8 millimetri di spessore. Nel frattempo mondate bene il tartufo con l’aiuto di uno spazzolino duro e poi di un panno inumidito. Scaldate in una padella il burro con le foglie di salvia sì da aromatizzarlo. Quando il burro è fuso – ma non deve diventare nocciola – infarinate bene i tranci di pesce e fateli cuocere da tutti i lati in padella. Aggiustate di sale e generoso pepe. A un minuto dalla cottura slamellate senza risparmio il tartufo sul pesce. Fate prendere appena un po’ di calore, impiattate aggiungendo altro tartufo e servite.
Polpettone di tonno
Ingredienti - 300 gr di pane raffermo, 200 gr di tonno sott’olio, una quindicina di olive denocciolate, due cucchiai di capperi sotto sale, un mazzetto di prezzemolo, un uovo, 3 cucchiai di Parmigiano Reggiano o Grana Padano, sale e pepe qb. Maionese per guarnire (facoltativa).
Procedimento - Ammollate il pane e nel frattempo mettete a bollire una capace pentola colma per metà di acqua. Sbriciolate con una forchetta in una ciotola ampia il tonno poi aggiungete il pane ben strizzato. Lavoratelo con le mani impastando. Tritate finissimamente il prezzemolo e ¾ dei capperi che avrete cura di dissalare tenendoli a bagno e cambiando di quando in quando l’acqua. Aggiungeteli al pane e tonno continuando a impastare, ora mettete l’uovo e il formaggio grattugiato e impastate ancora. In ultimo aggiungete le olive tenendone se vi va da parte alcune per guarnizione. Aggiustate di sale e pepe. Stende un foglio di carta-forno sul piano di lavoro adagiatevi l’impasto e dategli la forma di polpettone (a salsicciotto per capirci). Arrotolatelo stretto nella carta-forno e con lo spago da cucina chiudete il rotolo bene alle estremità. Mettetelo in pentola e lasciate cuocere per circa 25 minuti. Trascorso il tempo di cottura scolatelo e lasciate raffreddare. Una volta freddo togliete il polpettone dalla carta forno e guarnite se vi va con maionese olive e capperi.
Pandolce alle noci
Ingredienti - 180 gr di gherigli di noci (vi serviranno circa 3 etti di noci), 200 gr di carote, 200 gr di farina tipo 2, 4 uova generose di dimensioni, 180 gr di zucchero, una bustina di lievito per dolci, 60 gr di olio di semi di girasole alto oleico o se lo trovate di olio di noci, 60 gr di gocce di cioccolata, 30 gr di burro, quattro o cinque cucchiai di zucchero a velo.
Procedimento - Sgusciate le noci ed estraete i gherigli, mondate le carote. Riducete le noci con il mixer in un trito grossolano, idem per le carote. Ora nella planetaria (o in una ciotola) montate le uova e lo zucchero a bianco. Aggiungete poi la farina, l’olio di semi di girasole (o di noci) e il lievito. Montate bene l’impasto lavorandolo a lungo con un mestolo o nella planetaria a velocità moderata e infine incorporate le noci, le carote e le gocce di cioccolato. Imburrate una tortiera a cerniera (o a ciambellone o da plumcake) e fate cuocere in forno a 180 gradi se ventilato 190 se statico per una mezz’ora. Comunque fate sempre la prova dello stecchino: bucate fino al centro la torta con uno stecchino, se emerge asciutto la torta è cotta. Lasciatela intiepidire poi cospargetela di zucchero a velo. Potete servirla così com’è, con una confettura di frutti rossi, una crema pasticcera o al cioccolato.
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La casa nel bosco a Palmoli dove viveva la famiglia Trevallion. Nel riquadro Nathan durante la firma del contratto della nuova casa (Ansa)
L’ordinanza dell’11 dicembre scorso del Tribunale dell’Aquila sembra un passo avanti verso la sottrazione dei bambini ai genitori. La legge prevede che questo provvedimento sia adottato quando il minore è in pericolo grave e immediato per la sua incolumità fisica o psichica, a causa di maltrattamenti, incuria, degrado familiare, dipendenze dei genitori (alcol, droghe) o violenza, e solo se il minore non può essere protetto in altro modo. Al termine dell’ordinanza di sei pagine, si legge che è necessaria una consulenza specialistica che compia «un’indagine personologica e psico-diagnostica del profilo di personalità di ciascun genitore dei minori per valutare: gli stili relazionali e comportamentali; le capacità e competenze genitoriali, nello specifico la capacità di riconoscimento dei bisogni psicologici del minore; l’attenzione progettuale alle esigenze di crescita». Andranno anche valutate le caratteristiche psichiche specifiche dei genitori e se le loro «capacità genitoriali siano recuperabili in tempi congrui», indicando «anche il percorso educativo che i genitori dovranno allo scopo intraprendere». Un compito da brividi, espresso anche con un linguaggio da brividi. La Ctu è stata affidata a Simona Ceccoli, psichiatra che opera presso Villa Letizia dell’Aquila, di proprietà del gruppo privato francese Almaviva Santé. Nella camera di consiglio, il presidente Cecilia Angrisano è stata affiancata dal giudice Roberto Ferrari e dai giudici onorari Simone Giovarruscio, psicologo abruzzese, e Alida Gabriela Alvaro, psicortereaputa teramana esperta di autismo e disturbi dell’apprendimento.
La casa «inidonea» resta un elemento chiave del tribunale nella tenere i bimbi in Istituto, nonostante una serie di offerte e concessioni da parte della famiglia e dei suoi legali. Nell’ultimo provvedimento si legge: «Non sono stati prodotti i documenti necessari previsti; non era stato prodotto il certificato di collaudo statico ed era pacifica l’assenza degli impianti elettrico, idrico e termico, dei quali non era quindi verificabile la conformità. Non erano state verificate le condizioni di salubrità dell’abitazione, con particolare riguardo all’umidità, incidente sullo sviluppo di patologie polmonari».
Anche il tema dell’educazione scolastica, man mano che i bambini stanno in istituto, sembra delinearsi in modo sempre più pesante, per i genitori. L’homeschooling in Italia è ammesso e perfettamente legale, ma è soggetto a precise verifiche scolastiche. Detta in soldoni, non parlare in italiano ai bambini, a casa o nel bosco, può diventare parecchio pericoloso per i genitori perché, poi, gli esami vertono innanzitutto su questo.
Il certificato di inidoneità alla terza classe della primaria per Utopia Rose (8 anni), presentato dai genitori ai servizi sociali, porta la firma della «Novalis Open School» di Brescia e non era stato contestato dai giudici. E lo stesso vale per un’attestazione della scuola pubblica di Castiglione Messer Marino (Chieti) sull’educazione parentale. L’ordinanza del 13 novembre non aveva contestato ai genitori alcuna lesione del diritto dei minori a ricevere un’educazione adeguata, ma si era focalizzata sulla mancanza di socialità. Il tribunale osserva ora che la carenza nell’educazione dei due bimbi sarebbe emersa una volta rinchiusi nella casa famiglia, a seguito di particolare osservazione.
Nell’ultima ordinanza viene anche segnalato come rilevante uno dei tanti comportamenti eccentrici della madre, la quale, dicono, «pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità, circostanza che fa dubitare dell’affermata volontà di cooperare stabilmente con gli operatori nell’interesse dei figli». Insomma, più questa donna si ribella agli assistenti sociali e più compromette il proprio diritto a essere madre.
Il Tribunale per i minorenni aquilano riferisce, poi, che i servizi sociali hanno trasmesso un certificato medico per ciascun minore, nel quale la pediatra evidenzia la necessità, «in considerazione della storia clinica e familiare», di effettuare una visita neuropsichiatrica infantile, «per una globale valutazione psicologica e comportamentale dei bambini», nonché esami del sangue «per una valutazione dello stato immunitario vaccinale». E qui i genitori, scrivono i giudici, «hanno di fatto rifiutato gli accertamenti indicati dalla pediatra, dichiarando che vi consentiranno solo se verrà loro corrisposto un compenso di 50.000 euro per ogni minore».
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