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2023-02-15
Qatargate, alla Ong fondata dalla Bonino bonifici per quasi 5 milioni dall’Europa
Emma Bonino (Imagoeconomica)
La Ong No Peace without justice ha sempre professato la sua estraneità al Qatargate, l’inchiesta per una presunta corruzione che ha scosso le fondamenta delle istituzioni europee. Anche quando il suo segretario generale Nicolò Figà Talamanca era stato arrestato su mandato del giudice istruttore belga Michel Claise, con l’accusa di essere uno dei sodali dell’ex europedutato Pier Antonio Panzeri, considerato dagli inquirenti di Bruxelles il deus ex machina delle attività a favore del Marocco e del Qatar.
Nei giorni scorsi Figà Talamanca è stato liberato «senza condizioni», ma questo non ha spento i riflettori che il Parlamento europeo ha acceso sul mondo delle Ong, in particolare quelle citate negli atti dell’inchiesta sulla corruzione. Un documento interno firmato dal commissario europeo Johannes Hahn che La Verità ha potuto visionare ricostruire infatti il flusso di denaro che la Ong fondata da Emma Bonino ha ricevuto dalle istituzioni europee a partire dal 2006. Complessivamente, i 7 progetti finanziati (su 9 presentati) hanno portato nelle casse di No Peace without justice la bella cifra di «non più di4,62 milioni di euro». Ma tre dei progetti portati a termine avevano più «beneficiari» facendo salire il totale delle somme uscite dalle casse dell’Ue a circa 5 milioni di euro. Ma non basta. Secondo il documento che Hann ha inviato alla presidente della Commissione per il controllo dei bilanci Monika Hohlmeier, al momento dell’esplosione del Qatargate aveva in corso progetti per un valore di circa 2,7 milioni di euro, in parte già erogati. I restanti 1,37 milioni di euro non ancora erogati dalla Commissione, spiega il documento, «sono ora sospesi in via cautelare». Ma su cosa vertevano i progetti finanziati con fondi comunitari? Secondo il documento, hanno perseguito vari obiettivi tra cui «il rafforzamento del sistema di giustizia penale internazionale, la promozione e la protezione dei diritti umani dei bambini e dei giovani in Siria e il miglioramento della capacità di segnalazione del governo libico e della società civile in materia di diritti umani».
Anche la Ong Droit au droit (Diritto ai diritti), che condivide con No peace without justice lo stesso indirizzo a Buxelles, ha beneficiato di fondi comunitari. La Commissione ha concesso sovvenzioni a un totale di sette progetti che vedono coinvolta la Ong di cui è direttore esecutivo Nicola Giovannini che è anche coordinatore degli affari istituzionali di No peace without justice. Somme erogate con fondi gestiti direttamente dalla Commissione, dal 2006 al 2018. Tutti i progetti sono stati completati e alla Ong è andata una cifra «non superiore» a 526.000 euro, su un totale di 1,09 milioni. Nello stesso palazzo ha sede anche la Ong Fight for impunity, fondata da Panzeri nel 2019, che però non ha ricevuto «alcun sostegno finanziario dai fondi dell’Ue gestiti direttamente dalla Commissione». Una ricostruzione che rafforza l’ipotesi che la costituzione della Ong fosse funzionale alla gestione dei rapporti che Panzeri intratteneva con Qatar e Marocco. E proprio sull’ex eurodeputato sono tornati ad abbattersi gli strali di Maxim Töller, difensore di un altro indagato, il parlamentare europeo italo-belga Marc Tarabella, arrestato sabato scorso.
In un’intervista al quotidiano Le Soir Töller ha dichiarato che Panzeri «accusa Tarabella nel modo più infame, quello in cui è impossibile dimostrare che non è vero». Per poi sostenere che dopo aver «chiesto a un revisore di analizzare i conti del mio cliente negli ultimi sei anni, non è stata rilevata alcuna traccia di frode o arricchimento sospetto». Poi l’attacco al sistema giudiziario belga: «Sulla base delle dichiarazioni di un uomo di cui è nota la capacità di vendersi (in Mauritania, Marocco, Qatar e ora alla Procura federale), qualcuno viene posto in carcerazione preventiva». Giovedì la Camera di consiglio del tribunale di Bruxelles dovrà decidere se convalidare il carcere per Tarabella, accusato di associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio. Töller forte anche del fatto che durante le perquisizioni a carico del suo assistito non sarebbe stato sequestrato nulla, annuncia battaglia: «In questo procedimento la carcerazione preventiva sembra essere un mezzo di pressione (in particolare la privazione di un minore, l’arresto di parenti in Italia, ecc.). Ripeto: capisco la posizione del giudice ma non la aderisco. Mi rammarico che la giustizia non mostri più moderazione in un’indagine di tale importanza».
I giudici belgi torneranno sempre giovedì mattina a riesaminare anche la custodia cautelare dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, detenuta dal 9 dicembre scorso nella prigione di Haren. L’eurodeputata greca sarà difesa in aula dal fidato avvocato ellenico Michalis Dimitrakopuolos, affiancato per la prima volta dal penalista Sven Mary, celebre per aver difeso il terrorista Salah Abdeslam, che nelle ultime ore ha preso il posto del legale André Risopoulos. I due difensori ribadiranno per Kaili la richiesta degli arresti domiciliari, fin qui sempre negati. A doversi presentare davanti alla Camera di consiglio giovedì mattina sarà poi anche Panzeri, che ha patteggiato con la giustizia belga un anno di carcere. Nonostante la firma dell’accordo da pentito, il diritto penale belga prevede un riesame periodico delle misure cautelari anche nei suoi confronti. L’avvocato di Panzeri, Laurent Kennes, ha riferito all’Ansa che non avanzerà alcuna richiesta per un regime di sorveglianza elettronica.
Mazzette al Miur, la Boda punta allo sconto di pena
L’ex capo dipartimento del ministero dell’Istruzione, Giovanna Boda, ha chiesto ieri di essere giudicata con il rito abbreviato (che prevede lo sconto di un terzo della pena) nel processo che la vede imputata insieme ad altri per presunti episodi di corruzione in appalti affidarti dal dicastero di viale Trastevere. Con lei altri tre imputati (in totale le persone ancora coinvolte sono 13) durante l’udienza preliminare di ieri hanno chiesto di essere giudicati con lo stesso tipo di procedimento. Tra loro anche Fabio Condoleo, l’autista messo a disposizione della dirigente del ministero dall’imprenditore Federico Bianchi di Castelbianco, imputato nel procedimento. Secondo le accuse sarebbe infatti stato Castelbianco a erogare alla Boda tra utilità e promesse, 3,2 milioni di euro, di cui 3 effettivamente andati a suo beneficio. Le utilità dirette ammontano a 1,17 milioni di euro, poco di più di quella per i collaboratori e le assunzioni fatte da Castelbianco attraverso le sue società su richiesta della Boda, costate all’imprenditore 1,15 milioni di euro. Le una tantum versate a soggetti indicati dalla dirigente ammontano a 175.455 euro, mentre le somme versate agli 11 componenti del «gruppo ministero» ammontano a 546.058 euro. Tra le utilità dirette, oltre a 50.000 euro ricevuti in contanti, ci sono anche le spese fatte con una carta di credito prepagata intestata a Castelbianco e ricaricata con 38.756 euro. Per questo all’ex capo dipartimento del ministero e a Bianchi di Castelbianco i magistrati di piazzale Clodio contestano i reati di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione per l’esercizio della funzione, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio. Durante le indagini Castelbianco è stato raggiunto da due ordinanze di custodia cautelare. Con la prima che, nel settembre di due anni fa, lo aveva fatto finire prima nel carcere romano di Regina Coeli e poi ai domiciliari. La stessa misura prevista dalla seconda ordinanza, risalente a marzo 2022. Va detto che durante l’interrogatorio del 6 luglio scorso, nel corso la ex capo dirigente del ministero dell’Istruzione aveva già ammesso davanti sostituto procuratore Carlo Villani gli addebiti che le contesta la Procura di Roma. Mentre altre sei persone coinvolte hanno già chiesto il patteggiamento con pene che vanno dai 4 mesi e due anni di reclusione. Se era pressoché scontata la richiesta di costituirsi parte civile l’Avvocatura dello Stato per il Miur e la Presidenza del Consiglio, ieri è arrivata a sorpresa anche quella dei giornalisti dell’agenzia di stampa Dire, all’epoca dei fatti controllata da Castelbianco. La decisione di avanzare la richiesta di costituzione di parte civile è stata deliberata al dall’assemblea dei giornalisti dell’agenzia. La richiesta è stata presentata formalmente da tre giornalisti in rappresentanza del corpo redazionale. Nel dicembre scorso i lavoratori avevano proclamato lo stato di agitazione sindacale a seguito dell’annuncio da parte del nuovo editore della Dire di interrompere il percorso di ammortizzatori sociali e di voler procedere con un piano di esuberi pari a circa il 30% della forza lavoro. In un comunicato i dipendenti avevano denunciato come «l’attuale situazione finanziaria aziendale» fosse «addebitabile in gran parte alla catena di errori e di illeciti della precedente proprietà contestati dall’autorità giudiziaria». L’udienza è stata rinviata il 30 maggio, quando verrà presa la decisione sia sulle richieste di rito abbreviato e di costituzione di parte civile (se confermate), sia sui rinvii a giudizio.
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L’Ue solo ora avvia la verifica dei finanziamenti dati agli enti spuntati nell’inchiesta. E il legale di Marc Tarabella attacca i giudici.L’ex super dirigente del ministero ha scelto il rito abbreviato: per i pm avrebbe pilotato le gare per favorire l’editore Federico Bianchi di Castelbianco.Lo speciale contiene due articoliLa Ong No Peace without justice ha sempre professato la sua estraneità al Qatargate, l’inchiesta per una presunta corruzione che ha scosso le fondamenta delle istituzioni europee. Anche quando il suo segretario generale Nicolò Figà Talamanca era stato arrestato su mandato del giudice istruttore belga Michel Claise, con l’accusa di essere uno dei sodali dell’ex europedutato Pier Antonio Panzeri, considerato dagli inquirenti di Bruxelles il deus ex machina delle attività a favore del Marocco e del Qatar. Nei giorni scorsi Figà Talamanca è stato liberato «senza condizioni», ma questo non ha spento i riflettori che il Parlamento europeo ha acceso sul mondo delle Ong, in particolare quelle citate negli atti dell’inchiesta sulla corruzione. Un documento interno firmato dal commissario europeo Johannes Hahn che La Verità ha potuto visionare ricostruire infatti il flusso di denaro che la Ong fondata da Emma Bonino ha ricevuto dalle istituzioni europee a partire dal 2006. Complessivamente, i 7 progetti finanziati (su 9 presentati) hanno portato nelle casse di No Peace without justice la bella cifra di «non più di4,62 milioni di euro». Ma tre dei progetti portati a termine avevano più «beneficiari» facendo salire il totale delle somme uscite dalle casse dell’Ue a circa 5 milioni di euro. Ma non basta. Secondo il documento che Hann ha inviato alla presidente della Commissione per il controllo dei bilanci Monika Hohlmeier, al momento dell’esplosione del Qatargate aveva in corso progetti per un valore di circa 2,7 milioni di euro, in parte già erogati. I restanti 1,37 milioni di euro non ancora erogati dalla Commissione, spiega il documento, «sono ora sospesi in via cautelare». Ma su cosa vertevano i progetti finanziati con fondi comunitari? Secondo il documento, hanno perseguito vari obiettivi tra cui «il rafforzamento del sistema di giustizia penale internazionale, la promozione e la protezione dei diritti umani dei bambini e dei giovani in Siria e il miglioramento della capacità di segnalazione del governo libico e della società civile in materia di diritti umani». Anche la Ong Droit au droit (Diritto ai diritti), che condivide con No peace without justice lo stesso indirizzo a Buxelles, ha beneficiato di fondi comunitari. La Commissione ha concesso sovvenzioni a un totale di sette progetti che vedono coinvolta la Ong di cui è direttore esecutivo Nicola Giovannini che è anche coordinatore degli affari istituzionali di No peace without justice. Somme erogate con fondi gestiti direttamente dalla Commissione, dal 2006 al 2018. Tutti i progetti sono stati completati e alla Ong è andata una cifra «non superiore» a 526.000 euro, su un totale di 1,09 milioni. Nello stesso palazzo ha sede anche la Ong Fight for impunity, fondata da Panzeri nel 2019, che però non ha ricevuto «alcun sostegno finanziario dai fondi dell’Ue gestiti direttamente dalla Commissione». Una ricostruzione che rafforza l’ipotesi che la costituzione della Ong fosse funzionale alla gestione dei rapporti che Panzeri intratteneva con Qatar e Marocco. E proprio sull’ex eurodeputato sono tornati ad abbattersi gli strali di Maxim Töller, difensore di un altro indagato, il parlamentare europeo italo-belga Marc Tarabella, arrestato sabato scorso. In un’intervista al quotidiano Le Soir Töller ha dichiarato che Panzeri «accusa Tarabella nel modo più infame, quello in cui è impossibile dimostrare che non è vero». Per poi sostenere che dopo aver «chiesto a un revisore di analizzare i conti del mio cliente negli ultimi sei anni, non è stata rilevata alcuna traccia di frode o arricchimento sospetto». Poi l’attacco al sistema giudiziario belga: «Sulla base delle dichiarazioni di un uomo di cui è nota la capacità di vendersi (in Mauritania, Marocco, Qatar e ora alla Procura federale), qualcuno viene posto in carcerazione preventiva». Giovedì la Camera di consiglio del tribunale di Bruxelles dovrà decidere se convalidare il carcere per Tarabella, accusato di associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio. Töller forte anche del fatto che durante le perquisizioni a carico del suo assistito non sarebbe stato sequestrato nulla, annuncia battaglia: «In questo procedimento la carcerazione preventiva sembra essere un mezzo di pressione (in particolare la privazione di un minore, l’arresto di parenti in Italia, ecc.). Ripeto: capisco la posizione del giudice ma non la aderisco. Mi rammarico che la giustizia non mostri più moderazione in un’indagine di tale importanza».I giudici belgi torneranno sempre giovedì mattina a riesaminare anche la custodia cautelare dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, detenuta dal 9 dicembre scorso nella prigione di Haren. L’eurodeputata greca sarà difesa in aula dal fidato avvocato ellenico Michalis Dimitrakopuolos, affiancato per la prima volta dal penalista Sven Mary, celebre per aver difeso il terrorista Salah Abdeslam, che nelle ultime ore ha preso il posto del legale André Risopoulos. I due difensori ribadiranno per Kaili la richiesta degli arresti domiciliari, fin qui sempre negati. A doversi presentare davanti alla Camera di consiglio giovedì mattina sarà poi anche Panzeri, che ha patteggiato con la giustizia belga un anno di carcere. Nonostante la firma dell’accordo da pentito, il diritto penale belga prevede un riesame periodico delle misure cautelari anche nei suoi confronti. L’avvocato di Panzeri, Laurent Kennes, ha riferito all’Ansa che non avanzerà alcuna richiesta per un regime di sorveglianza elettronica.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/qatargate-bonino-bonifici-5milioni-dalleuropa-2659419717.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mazzette-al-miur-la-boda-punta-allo-sconto-di-pena" data-post-id="2659419717" data-published-at="1676465096" data-use-pagination="False"> Mazzette al Miur, la Boda punta allo sconto di pena L’ex capo dipartimento del ministero dell’Istruzione, Giovanna Boda, ha chiesto ieri di essere giudicata con il rito abbreviato (che prevede lo sconto di un terzo della pena) nel processo che la vede imputata insieme ad altri per presunti episodi di corruzione in appalti affidarti dal dicastero di viale Trastevere. Con lei altri tre imputati (in totale le persone ancora coinvolte sono 13) durante l’udienza preliminare di ieri hanno chiesto di essere giudicati con lo stesso tipo di procedimento. Tra loro anche Fabio Condoleo, l’autista messo a disposizione della dirigente del ministero dall’imprenditore Federico Bianchi di Castelbianco, imputato nel procedimento. Secondo le accuse sarebbe infatti stato Castelbianco a erogare alla Boda tra utilità e promesse, 3,2 milioni di euro, di cui 3 effettivamente andati a suo beneficio. Le utilità dirette ammontano a 1,17 milioni di euro, poco di più di quella per i collaboratori e le assunzioni fatte da Castelbianco attraverso le sue società su richiesta della Boda, costate all’imprenditore 1,15 milioni di euro. Le una tantum versate a soggetti indicati dalla dirigente ammontano a 175.455 euro, mentre le somme versate agli 11 componenti del «gruppo ministero» ammontano a 546.058 euro. Tra le utilità dirette, oltre a 50.000 euro ricevuti in contanti, ci sono anche le spese fatte con una carta di credito prepagata intestata a Castelbianco e ricaricata con 38.756 euro. Per questo all’ex capo dipartimento del ministero e a Bianchi di Castelbianco i magistrati di piazzale Clodio contestano i reati di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione per l’esercizio della funzione, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio. Durante le indagini Castelbianco è stato raggiunto da due ordinanze di custodia cautelare. Con la prima che, nel settembre di due anni fa, lo aveva fatto finire prima nel carcere romano di Regina Coeli e poi ai domiciliari. La stessa misura prevista dalla seconda ordinanza, risalente a marzo 2022. Va detto che durante l’interrogatorio del 6 luglio scorso, nel corso la ex capo dirigente del ministero dell’Istruzione aveva già ammesso davanti sostituto procuratore Carlo Villani gli addebiti che le contesta la Procura di Roma. Mentre altre sei persone coinvolte hanno già chiesto il patteggiamento con pene che vanno dai 4 mesi e due anni di reclusione. Se era pressoché scontata la richiesta di costituirsi parte civile l’Avvocatura dello Stato per il Miur e la Presidenza del Consiglio, ieri è arrivata a sorpresa anche quella dei giornalisti dell’agenzia di stampa Dire, all’epoca dei fatti controllata da Castelbianco. La decisione di avanzare la richiesta di costituzione di parte civile è stata deliberata al dall’assemblea dei giornalisti dell’agenzia. La richiesta è stata presentata formalmente da tre giornalisti in rappresentanza del corpo redazionale. Nel dicembre scorso i lavoratori avevano proclamato lo stato di agitazione sindacale a seguito dell’annuncio da parte del nuovo editore della Dire di interrompere il percorso di ammortizzatori sociali e di voler procedere con un piano di esuberi pari a circa il 30% della forza lavoro. In un comunicato i dipendenti avevano denunciato come «l’attuale situazione finanziaria aziendale» fosse «addebitabile in gran parte alla catena di errori e di illeciti della precedente proprietà contestati dall’autorità giudiziaria». L’udienza è stata rinviata il 30 maggio, quando verrà presa la decisione sia sulle richieste di rito abbreviato e di costituzione di parte civile (se confermate), sia sui rinvii a giudizio.
Kennedy Jr (Ansa)
D’ora in avanti, le donne che risultano negative al test per l’epatite B potranno decidere, consultando il proprio medico, se vaccinare o no alla nascita il proprio bambino. I membri che hanno votato a favore delle nuove raccomandazioni hanno sostenuto che il rischio di contrarre il virus è basso, e che i vaccini dovrebbero essere personalizzati.
Il gruppo di lavoro dell’Acip, rinnovato dallo scorso giugno dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. ha suggerito di attendere almeno i 2 mesi di età per la prima dose. La vaccinazione continuerà a essere somministrata ai neonati di madri che risultano positive, o il cui stato di salute è sconosciuto. Il direttore facente funzioni dei Cdc, Jim O’Neill, ora dovrà decidere se adottare o meno queste raccomandazioni.
La commissione ha inoltre votato a favore della consultazione dei genitori con gli operatori sanitari, per sottoporre i figli a test sulla ricerca degli anticorpi contro l’epatite B prima di decidere se sia necessario somministrare altre dosi del vaccino. Attualmente, dopo la prima i bambini ricevono la seconda a 1-2 mesi di età e la terza tra i 6 e i 18 mesi.
Kennedy ha già limitato l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e raccomandato che i neonati vengano vaccinati separatamente contro la varicella. Susan Kressly, presidente dell’American academy of pediatrics, ha affermato che il cambiamento apportato dall’Acip renderà i bambini americani meno sicuri. «Esorto i genitori a parlare con il pediatra e a vaccinarsi contro l’epatite B alla nascita, indipendentemente dallo stato di salute della madre», è stato il suo appello.
Il presidente Donald Trump, invece, ha commentato soddisfatto l’esito della votazione. Con un post su Truth, venerdì sera aveva definito «un’ottima decisione porre fine alla raccomandazione sul vaccino contro l’epatite B per i neonati, la stragrande maggioranza dei quali non corre alcun rischio di contrarre una malattia che si trasmette principalmente per via sessuale o tramite aghi infetti. Il calendario vaccinale infantile americano richiedeva da tempo 72 “iniezioni” per bambini perfettamente sani, molto più di qualsiasi altro Paese al mondo e molto più del necessario. In effetti, è ridicolo! Molti genitori e scienziati hanno messo in dubbio, così come me, l’efficacia di questo “programma”».
Trump ha poi annunciato di avere appena firmato «un memorandum presidenziale che ordina al dipartimento della Salute e dei Servizi Umani di “accelerare” una valutazione completa dei calendari vaccinali di altri Paesi del mondo e di allineare meglio quello statunitense, in modo che sia finalmente radicato nel Gold Standard della scienza e del buon senso», ha concluso il presidente.
Prima del voto, questa settimana dodici ex dirigenti della Fda avevano contestato sul The New England journal of medicine la proposta di revisione delle approvazioni dei vaccini da parte dell’agenzia, sostenendo che i cambiamenti minacciano gli standard basati sulle prove, indeboliscono le pratiche di immunobridging (strategia scientifica e normativa che confronta i marcatori della risposta immunitaria indotti da un vaccino in diverse situazioni per stimare l’efficacia del vaccino) e rischiano di erodere la fiducia del pubblico.
A proposito della nota interna di Vinay Prasad, direttore della divisione vaccini della Food and drug administration (Fda), che dieci giorni ha sostenuto che «non meno di 10» dei 96 decessi infantili segnalati tra il 2021 e il 2024 al Vaers, il sistema federale di segnalazione degli eventi avversi da vaccino, erano «correlati» alle somministrazioni di dosi contro il Covid, i dodici si affannano a criticarla. «Prove sostanziali dimostrano che la vaccinazione può ridurre il rischio di malattie gravi e di ospedalizzazione in molti bambini e adolescenti», dichiarano. Dati che non risultano confermati da nessuno studio o revisione paritaria.
Sul continuo attacco alle scelte operate nel campo delle vaccinazioni dalla nuova amministrazione americana interviene il professor Francesco Cetta, ordinario di Chirurgia e docente di Intelligenza artificiale umanizzata presso lo Iassp (Istituto di alti studi strategici e politici). «Trump non è contro la scienza, come urla ad alta voce la sinistra nostrana», commenta. «Al contrario, pragmaticamente, per i problemi che non conosce, ha insediato nuove commissioni indipendenti di esperti, in grado di acclarare in tempi brevi, per quanto possibile, la verità su due argomenti particolarmente sensibili come le vaccinazioni e gli effetti dei cambiamenti climatici. E su che cosa si può fare in concreto per controllarli. Con quali costi e benefici per la comunità».
Il professore aggiunge: «Bisogna evitare le terapie a tappeto, indistintamente uguali per tutti, ma adattare ad ogni malato il suo trattamento come un “abito su misura”. In particolare, per alcune categorie come i bambini e le donne in gravidanza, bisogna valutare con attenzione vantaggi e svantaggi della somministrazione di ogni farmaco, incluso i vaccini, che determinano una perturbazione delle difese immunitarie individuali».
Considerazioni che dovrebbero essere fatte anche dal nostro ministero della Salute e dalle varie associazioni mediche che non ammettono revisioni dei metodi vaccinali.
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Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
L’attuale governo sta mostrando la consapevolezza di dover sostenere, con una politica estera molto attiva sul piano globale, il modello economico italiano basato sull’export che è messo a rischio - gestibile, ma comunque problematico per parecchi settori sul piano dei margini finanziari - dai dazi statunitensi, dalla crisi autoinflitta per irrealismo ambientalista ed eccessi burocratici dell’Ue, dai costi eccessivi dell’energia e, in generale, dal cambio di mondo in atto senza dimenticare la crisi demografica. Vedremo dopo le soluzioni interne, ma qui va sottolineato che l’Italia non può trasformare il proprio modello economico dipendente dall’export senza perdere ricchezza. La consapevolezza di questo punto è provata dalla riforma del ministero degli Esteri: accanto alla Direzione politica, verrà creata nel prossimo gennaio una Direzione economica con la missione di sostenere l’internazionalizzazione e l’export delle imprese italiane in tutto il mondo. Non è una novità totale, ma mostra una concentrazione di risorse e capacità geoeconomiche e geopolitiche finalmente adeguate alla missione di un’Italia globale, per inciso titolo del mio libro pubblicato nell’autunno 2023 (Rubbettino editore). Con quale meccanismo di moltiplicazione del potere negoziale italiano? Tradizionalmente, via la duplice convergenza con Ue e Stati Uniti pur sempre più complicata, ma con più autonomia per siglare partenariati bilaterali strategici di cooperazione economica-industriale (i trattati doganali sono competenza dell’Ue, condizione necessaria per un mercato unico europeo essenziale per l’Italia) a livello mondiale.
E con un metodo al momento solo italiano: partenariati bilaterali con reciproco vantaggio, cioè non asimmetrici. Con priorità l’Africa (al momento, 14 nazioni) ed il progetto di «Via del cotone» (Imec) tra Indo-Pacifico, Mediterraneo ed Atlantico settentrionale via penisola arabica. La nuova (in realtà vecchia perché elaborata dal Partito repubblicano nel 2000) dottrina di sicurezza nazionale statunitense è di ostacolo ad un Italia globale? No, perché, pur essendo divergente con l’Ue, non lo è con le singole nazioni europee, con qualche eccezione. Soprattutto, le chiama a un maggiore attivismo per la loro sicurezza, lasciando di fatto in cambio spazio geopolitico. Come potrà Roma usarlo? Aumentando i suoi bilaterali strategici e approfondendoli con Giappone, India, nazioni arabe sunnite, Asia centrale (rilevante l’accordo con la Mongolia se riuscisse) ecc. Quale nuovo sforzo? Necessariamente integrare una politica mercantilista con i requisiti di schieramento geopolitico. E con un riarmo non solo concentrato contro la minaccia russa, ma mirato a novità tecnologiche utili per scambiare strumenti di sicurezza con partner compatibili. Ovviamente è oggetto di studio, ma l’Italia ha il potenziale per farlo via progetti condivisi con America, europei e giapponesi nonché capacità proprie. Considerazione che ci porta a valutare la modernizzazione interna dell’Italia perché c’è una relazione stretta tra potenziale esterno e interno.
Obiettivi interni
La priorità è ridurre il costo del debito pubblico per aumentare lo spazio di bilancio utile per investimenti e detassazione stimolativi. Ciò implica la sostituzione del Pnrr, che finirà nel 2026, con un programma nazionale stimolativo (non condizionato dall’esterno) di dedebitazione: valorizzare e cedere dai 250 a 150 miliardi di patrimonio statale disponibile, forse di più (sui 600-700 teorici) in 15 anni. Se ben strutturata, tale operazione «patrimonio pubblico contro debito» potrà dare benefici anticipativi via aumento del voto di affidabilità del debito italiano riducendone il costo di servizio che oggi è di 80-90 miliardi anno. Già tale costo è stato un po’ ridotto dal giusto rigore della politica di bilancio per il 2026. Con il nuovo programma qui ipotizzato, da avviare nel 2027 per sua complessità, lo sarà molto di più dando all’Italia più risorse per spesa sociale, di investimenti competitivi e minori tasse.
Stimo dai 10 ai 18 miliardi anno di risparmio sul costo del debito e un aumento di investimenti esteri in Italia perché con voto di affidabilità (rating) crescente. Senza tale programma, l’Italia sarebbe condizionabile dalla concorrenza intraeuropea e senza i soldi sufficienti per la politica globale detta sopra. Ci sono tante altre priorità tecniche sia per invertire più decisamente il lento declino economico dell’Italia, causato da governi di sinistra e/o dissipativi, sia per rendere più globalmente competitiva l’economia italiana. Ma sono fattibili via un nuovo clima di cultura politica che crei fiducia ed ottimismo sul potenziale globale dell’Italia. Come? Più ordine interno, investimenti sulla qualificazione cognitiva di massa, sulla rivoluzione tecnologica, in sintesi su un’Italia futurizzante. L’obiettivo è attrarre più capitale e competenze dall’estero, comunicando credibilmente al mondo che l’Italia è terra di libertà, sicurezza, opportunità e progresso. Non può farlo solo la politica, ma ci vuole il contributo dei privati entro un concetto di «nazione attiva», aperta al mondo e non chiusa. Ritroviamo il vento, gli oceani.
www.carlopelanda.com
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Lando Norris (Getty Images)
Nell’ultimo GP stagionale di Abu Dhabi, Lando Norris si laurea campione del mondo per la prima volta grazie al terzo posto sul circuito di Yas Marina. Nonostante la vittoria in gara, Max Verstappen non riesce a difendere il titolo, interrompendo il suo ciclo di quattro mondiali consecutivi.
Lando Norris è campione del mondo. Dopo quattro anni di dominio incontrastato di Max Verstappen, il pilota britannico centra il titolo iridato al termine di una stagione in cui ha saputo coniugare costanza, precisione e lucidità nei momenti decisivi. La vittoria ad Abu Dhabi, conquistata con una gara solida e senza errori, suggella un percorso iniziato con un Mondiale che sembrava già scritto a favore dell’olandese.
La stagione ha visto Norris prendere il comando delle operazioni già nelle prime gare, approfittando di alcuni passaggi a vuoto di Verstappen e di una gestione impeccabile del suo team. Il britannico ha messo in mostra una costanza rara, evitando rischi inutili e capitalizzando ogni occasione: punti preziosi accumulati gara dopo gara che hanno costruito un vantaggio psicologico e tecnico difficile da colmare per chiunque, ma non per Verstappen, che nelle ultime gare ha tentato il tutto per tutto per costruirsi una chance di rimonta. Una rimonta sfumata per appena due punti, visto che il pilota della McLaren ha chiuso il Mondiale a quota 423 punti, davanti ai 421 del rivale della RedBull e che se avessero chiuso a pari punti il titolo sarebbe andato a Verstappen in virtù del numero di gran premi vinti in stagione: otto contro i sette di Norris. Inevitabile per l'olandese non pensare alla gara della scorsa settimana in Qatar, dove Norris ha recuperato proprio due punti sfruttando un errore di Kimi Antonelli all'inizio dell'ultimo giro.
La gara di Abu Dhabi ha rappresentato la sintesi perfetta della stagione di Norris: partenza accorta, gestione dei pit stop e mantenimento della concentrazione fino alla bandiera a scacchi. L’olandese, pur vincendo la corsa, non è riuscito a recuperare il distacco, confermando che i quattro anni di dominio sono stati interrotti da un talento giovane e capace di gestire la pressione del momento clou.
Alle spalle dei due contendenti, la stagione è stata amara per Ferrari e altri protagonisti attesi al vertice. Charles Leclerc e Lewis Hamilton non hanno mai realmente impensierito i leader della classifica, incapaci di inserirsi nella lotta per il titolo o di ottenere risultati significativi in gran parte del campionato. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, delle difficoltà del Cavallino Rosso nel trovare una combinazione di macchina e strategia competitiva.
Il Mondiale 2025 si chiude quindi con un volto nuovo sul gradino più alto del podio e con alcune conferme sullo stato della Formula 1: Norris dimostra che la gestione mentale, l’attenzione ai dettagli e la capacità di evitare errori critici contano quanto la velocità pura. Verstappen, pur da vincitore di tante gare, dovrà riflettere sulle occasioni perdute, mentre la Ferrari è chiamata a ripensare, ancora una volta, strategie e sviluppo per la stagione successiva.
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