2023-02-02
La stampa anti Putin ammette il flop sanzioni
Mentre a settembre teorizzava il tracollo russo, ora pure «Repubblica» ammette che il Pil è in crescita. È l’ennesima smentita dopo quelle sullo sgretolamento dell’esercito e sulla potenza dei Leopard. Ma chi si oppone alla retorica è accusato di collaborazionismo.Un anno dopo, a quanto risulta, le sanzioni non hanno stroncato la Russia. Eppure praticamente tutti, dalle nostre parti, assicuravano che sarebbe finita così, che l’economia di Mosca sarebbe stata annichilita dalla pressione occidentale, e che il mostro putiniano sarebbe stato ridotto alla fame in breve tempo. Basta una rapida ricerca online per rintracciare una marea di entusiasti titoli di giornale celebrativi dei blocchi imposti alla Federazione. Purtroppo, a quasi 12 mesi di distanza dal fatale ingresso dei militari russi in territorio ucraino, la realtà ci consegna un quadro leggermente diverso. La dimostrazione plastica dell’eterogenesi dei fini (o della falsità del racconto prevalente) ce la consegna Repubblica, che alla fine di settembre gridava convinta «le sanzioni funzionano» e ieri ha dovuto ripiegare un po’ mestamente su un titolo accuratamente tenuto alla larga dalla prima pagina: «Chip e ricambi, a Mosca arriva di tutto. Con il flop delle sanzioni il Pil ora cresce». Due righe intense, sufficienti a suscitare drammatica confusione nel lettore più candido: ma come, adesso ci dite addirittura che la Russia, invece di collassare, cresce? Anche il nostro giornale, ieri, ha riportato la notizia: il Fondo monetario internazionale (citiamo da Repubblica a scanso di partigianeria) «stima ora che l’economia russa crescerà dello 0,3% nel corso dell’anno, invece della contrazione del 2,3% prevista in precedenza». A dirla tutta, che le sanzioni potessero rivelarsi un buco nell’acqua o, peggio, un clamoroso boomerang, più di un osservatore - soprattutto al di fuori dei nostri confini - lo aveva sostenuto fin dall’inizio. Ma, come noto, sin da subito è stata imposta la mobilitazione totale, e chiunque avanzasse dubbi veniva accusato di simpatie putiniane. Le previsioni errate sul piano economico, a ben vedere, non sono state le sole. Come abbiamo ampiamente ricordato, i valorosi esperti nostrani avevano preconizzato anche una rapidissima disfatta sul piano militare. Ricordate? Si descriveva l’esercito moscovita come una armata in pezzi, scarsamente motivata e prontissima al tradimento, guidata da incapaci, inefficiente e arrugginita. Eppure, 12 mesi sono passati e - pur con alterne fortune - i russi insistono, e nel Donbass sono pure riusciti ad avanzare. Altro giro di previsioni, altri fatti a smentirle. Più di recente si sono addirittura verificate retromarce fulminee a proposito della fornitura di mezzi corazzati da parte della Germania. Per un paio di giorni, sui quotidiani e nei talk show è stato ribadito che, grazie ai vigorosi Leopard, la sconfitta dell’odioso invasore sarebbe giunta in un batter d’occhi. Ma ecco che, lestamente, nell’arco di poche ore sono apparsi articoli di segno inverso: sì, i tedeschi forniranno i tank, ma non saranno comunque sufficienti. Al solito, a fornire l’analisi ardimentosa e quella contraria sono state le medesime testate, ormai fin troppo abituate alle giravolte. L’ultimo pronostico in ordine di tempo riguarda il cambio di regime. Da qualche giorno insider e osservatori di varia natura (giusto ieri, sempre su Repubblica, è toccato all’ex collaboratore del Cremlino Abbas Gallyamov) si dilettano a immaginare un golpe che destituirà Putin. Per la verità, di manovre di questo tipo si sente parlare da mesi, ma per adesso nulla è accaduto. Quanto alla possibilità di sommovimenti interni, è interessante ciò che scrive la più che autorevole Foreign Affairs in un articolo intitolato «Come i russi hanno imparato a smettere di preoccuparsi e ad amare la guerra». La rivista, certo non accusabile di vicinanza alla Russia, non ha certo nascosto l’esistenza di forme repressive interne anche piuttosto ruvide. Ma ha proposto un quadro singolare: «Invece di protestare, la maggior parte dei russi ha chiarito che preferisce adattarsi. Anche la fuga dal Paese non è necessariamente una forma di protesta: per molti è semplicemente una risposta pragmatica al problema di come evitare di essere uccisi o di diventare un assassino. È vero che la popolazione è più ansiosa che mai. Secondo i sondaggi di opinione, l’ansia tra i russi ha raggiunto nuove vette nel 2022, anche se è tornata a livelli più o meno tollerabili quando la minaccia di mobilitazione si è temporaneamente ritirata. Ma l’adattamento è diventato il tratto prevalente dei russi. Dove andrà a finire? Per il momento, sembra che non ci siano limiti». Se le cose stanno così, immaginare a una rivolta o a una deflagrazione nel cuore dell’impero non semplicissimo. E viene da sospettare che anche questo un po’ avventato vaticinio sia destinato a finire come i precedenti. A questo punto, intendiamoci. Qui non si tratta di iscriversi a un club oppure all’altro, o di esultare allo stadio come molti si sono dilettati a fare nel corso dell’ultimo anno. Semmai, l’irruzione del reale sulla scena a discapito dell’ideologia e delle costruzioni artificiali e artificiose dovrebbe suggerirci un cambiamento di linea, almeno nel dibattito pubblico. Dovrebbe invitarci a ragionare con maggiore lucidità su quanto sta davvero accadendo in Ucraina e soprattutto su ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi, continuando ad alimentare il conflitto. Purtroppo, non vediamo segni di ripensamento. Anzi, ci apprestiamo a osservare in religiosa venerazione l’icona di Volodymyr Zelensky che verrà esibita fra pochi giorni a Sanremo, in occasione del Festival della canzone. Amadeus, il conduttore, auspica che quello del presidente ucraino sia un invito alla pace. Noi, che siamo appena meno ottimisti, troviamo più credibile la possibilità che l’ex attore ripeta i consueti slogan, e magari rievochi qualcuna delle fantasie che abbiamo appena elencato e che la realtà si è già premurata di sbriciolare.