
Il cancelliere tedesco striglia l’Europarlamento: «Errore fatale mantenere la norma sulla due diligence. Inaccettabile ignorare la competitività». Meloni vede Ursula per chiedere sostegno all’auto. E i leader europei premono per spostare gli obiettivi al 2040.Le geometrie variabili sono una costante delle dinamiche politiche nazionali e internazionali: soprattutto in Europa, le alleanze si costruiscono e si disfano intorno a temi ben determinati. Capita così che tra Roma e Berlino ci sia una convergenza di vedute sul Green deal e sulle direttive più controproducenti che l’ideologia di sinistra partorisce e mette in campo. Ieri a Bruxelles, in occasione del Consiglio europeo, il premier, Giorgia Meloni, fa sapere Palazzo Chigi, ha incontrato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Al centro del colloquio le priorità italiane, a partire da competitività, transizione climatica e semplificazione. La Meloni ha inoltre ribadito la necessità di urgenti provvedimenti a sostegno del settore automobilistico e delle industrie ad alto consumo energetico, in particolare sul fronte della riduzione dei prezzi dell’elettricità. Cosa pensi la Meloni del furore ideologico green è ben noto: è il modo più veloce di mettere in ginocchio le imprese europee, costringendole ad autoflagellarsi con normative stringenti e in qualche caso deliranti, danneggiandone in maniera irreparabile la competitività sui mercati internazionali. Dicevamo di Berlino: ieri il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha lanciato un allarme, utilizzando parole forti, in relazione alla bocciatura di due giorni fa, da parte del Parlamento europeo, di un pacchetto omnibus che contiene anche la semplificazione della direttiva Csddd sugli obblighi di due diligence. Le parole impronunciabili nascondono sempre trabocchetti: noi della Verità abbiamo denunciato già tempo fa che questa direttiva, che dovrebbe entrare in vigore nel 2026, rappresenta il colpo di grazia per le imprese europee. Essa infatti, emanazione degli Accordi di Parigi prima e del Green deal europeo, utilizza strumentalmente un principio nobile per affossare le grandi aziende, obbligandole a un lavoro di identificazione e prevenzione rispetto agli impatti negativi sui diritti umani, ad esempio lo sfruttamento del lavoro minorile, e sull’ambiente nelle proprie attività e lungo l’intera catena di fornitura. Principio nobile lo ripetiamo, ma applicato in maniera che definire maldestra è un eufemismo: come possono le aziende europee verificare se un fornitore di una località sperduta di un Paese asiatico o africano rispetta tutte le norme sul lavoro e sull’ambiente quando produce un componente di un loro prodotto? Si tratta di una direttiva la cui applicazione non è difficile ma sostanzialmente impossibile, che quindi vanifica anche l’obiettivo che si prefigge. Una follia che rischia di scompaginare il mercato globale: come abbiamo scritto, i ministri dell’Energia di Stati Uniti e Qatar, Chris Wright e Sherida Al-Kaabi, hanno scritto una lettera all’Europa attraverso la quale avvertono Bruxelles: se si va avanti su questa strada, si complicano gli affari con noi. Il rischio è che Usa e Qatar ci chiudano i rubinetti del gas, ma a quanto pare il Parlamento europeo se ne frega altamente di questo scenario e, per una serie di agguati incrociati tra socialisti, ha bocciato il provvedimento che prevedeva un’attenuazione e una semplificazione di questa direttiva. Merz è andato su tutte le furie: ieri ha sottolineato che la decisione dell’Europarlamento di non procedere almeno per il momento con la riforma della direttiva «è inaccettabile. È un errore fatale e deve essere corretto. Ora dobbiamo discutere di nuovo con i gruppi politici del Parlamento su come procedere», ha aggiunto Merz, «ma le cose non possono rimanere così. Ho appena appreso che una grande azienda tedesca con una filiale in Belgio ha annunciato il taglio di 600 posti di lavoro». I parlamentari europei torneranno a esprimersi su questo argomento nella plenaria del 13 novembre prossimo.In serata, il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha fatto orecchie da mercante, ribadendo «l’impegno nei confronti dell’Accordo di Parigi. Garantire che funzioni per le persone, protegga il nostro pianeta e promuova la nostra prosperità». E in effetti le conclusioni del Consiglio europeo sono chiarissime: il Green deal va profondamente rivisto. «Il Consiglio europeo», si legge nelle conclusioni sulla competitività e transizione, «accoglie con favore l’intenzione della Commissione di portare avanti la revisione prevista dal regolamento sui livelli di emissioni di CO2 per autovetture e furgoni, che prevede lo stop nel 2035 alle vendita di nuovi veicoli a benzina e diesel, e chiedono «la rapida presentazione della proposta tenendo conto della neutralità tecnologica». «Il Consiglio europeo», recitano ancora le conclusioni, «sottolinea che occorre prestare particolare attenzione alle industrie tradizionali, in particolare all’industria automobilistica, navale e aeronautica, nonché alle industrie ad alta intensità energetica, come l’acciaio e i metalli, la chimica, il cemento, il vetro e la ceramica, la cellulosa e la carta, affinché rimangano resilienti e competitive in un mercato globale e in un contesto geopolitico difficile. Sono inoltre necessari ulteriori sforzi per rafforzare l’innovazione e il vantaggio competitivo dell’Unione nelle tecnologie pulite e digitali, nonché nell’innovazione all’avanguardia».
Roberto Cingolani, ad di Leonardo (Getty Images)
Leonardo, Thales e Airbus lanciano la sfida a Musk. Starlink però è lontana anni luce.
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
I burocrati dell’Unione pianificano la ricostruzione del palazzo Lipsius. Per rispettare le norme energetiche scritte da loro.
Ansa
La Casa Bianca, dopo aver disdetto il summit a Budapest, apre uno spiraglio: «Non è escluso completamente». Ma The Donald usa il pugno duro e mette nella lista nera i colossi Rosneft e Lukoil. Il Cremlino: «Atto ostile».
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Sganciato il 19° pacchetto, focalizzato sul Gnl. La replica: «Autodistruttivo». Sui beni il Belgio chiede chiarezza.






