- Colpo di Stato nella sesta ex colonia in soli tre anni. I militari depongono il presidente Ali Bongo e sciolgono tutte le istituzioni. La Cina fa valere i propri interessi: «Ripristinate l’ordine nel più breve tempo possibile».
- In Niger alta tensione a Niamey: l’ambasciatore transalpino resta nonostante l’ultimatum scaduto. Basta un incidente per scatenare il caos. Josep Borrell: «Sanzioni alla giunta».
Colpo di Stato nella sesta ex colonia in soli tre anni. I militari depongono il presidente Ali Bongo e sciolgono tutte le istituzioni. La Cina fa valere i propri interessi: «Ripristinate l’ordine nel più breve tempo possibile».In Niger alta tensione a Niamey: l’ambasciatore transalpino resta nonostante l’ultimatum scaduto. Basta un incidente per scatenare il caos. Josep Borrell: «Sanzioni alla giunta».Lo speciale contiene due articoli.Dopo il golpe in Niger dello scorso 26 luglio, ieri nel Gabon è arrivato l’ottavo golpe in tre anni (tra riusciti e falliti) che interessa un’ex colonia francese. Prima ci sono stati quelli di Mali (2020 e 2021), Guinea (2021), Burkina Faso (gennaio e settembre 2022), Ciad e Niger (entrambi lo scorso luglio). È così anche il Gabon, che ha il secondo giacimento di manganese più grande al mondo, e ne è attualmente il terzo produttore mondiale, finisce sotto il controllo di un gruppo di militari e per la Francia è l’ennesima sconfitta. Tutto si è materializzato nella notte tra martedì, mercoledì e ieri mattina con un comunicato trasmesso dalla televisione Gabon 24: i militari hanno annunciato «l’annullamento delle elezioni, lo scioglimento di tutte le istituzioni della Repubblica e la fine del regime». Poi hanno proseguito affermando che «a fronte di un governo irresponsabile e imprevedibile le cui azioni si traducono in un deterioramento della coesione sociale, che rischia di portare il Paese nel caos, abbiamo deciso di difendere la pace ponendo fine all’attuale regime». Uno dei militari, che ha detto di parlare a nome del Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni, ha affermato: «Le elezioni generali del 26 agosto 2023 e i risultati sono annullati». Stesso copione di sempre quindi: frontiere chiuse fino a nuovo ordine. Inoltre «tutte le istituzioni della Repubblica sono sciolte: il governo, il Senato, l’Assemblea nazionale e la Corte costituzionale. Invitiamo la popolazione a rimanere calma e serena e riaffermiamo il nostro impegno a rispettare gli impegni del Gabon nei confronti della comunità internazionale». L’annuncio del colpo di Stato è arrivato subito dopo la pubblicazione dei risultati ufficiali delle elezioni presidenziali di sabato scorso che hanno visto il presidente in carica da 14 anni Ali Bongo Odimba (filoccidentale e molto vicino alla Francia, che proviene da una famiglia che governa il Paese da 55 anni) stravincere un terzo mandato con il 64,27% dei voti, mentre il suo principale rivale, Albert Ondo Ossa, ha ottenuto solo il 30,77% dei voti. Non appena è stato annunciato il risultato elettorale dalla televisione di Stato alle 3.30 (ora locale), in pieno coprifuoco, il principale rivale di Bongo, Albert Ondo Ossa, che ha ottenuto solo il 30,77% dei voti, ha denunciato «i brogli orchestrati dal campo di Bongo». Già sabato scorso, due ore prima della chiusura dei seggi, Ossa si era dichiarato vincitore, poi lunedì senza fornire nessun documento, aveva chiesto a Bongo «di organizzare, senza spargimento di sangue, il trasferimento dei poteri». Come detto il Gabon non è certo una landa desolata perché nel suo sottosuolo, come ci conferma l’ingegnere minerario Giovanni Brussato: «Il settore minerario figura tra i principali “percorsi di crescita” e per sostenere nuovi investimenti e attrarre nuovi operatori, il Paese ha modificato il suo codice minerario nel 2019. L’estrazione mineraria in Gabon ruota storicamente attorno al manganese poiché il Paese possiede alcuni dei più grandi giacimenti del mondo ed è uno dei primi tre produttori globali con Sud Africa e Cina. Qui la parte del leone la fa il gruppo minerario francese Eramet, così come è francese la TotalEnergies che opera in Niger, quarto produttore di petrolio dell’Africa subsahariana e membro dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio dal 2016. Il manganese è destinato a ricoprire un ruolo fondamentale nella futura produzione globale di batterie sia nella chimica catodica Lmfp, sia con quella basata sulla chimica del nichel, la Nmc: è quindi probabile che il metallo continuerà a dominare il panorama minerario». Ma non è tutto perché il minerale di ferro, le cui riserve nazionali sono stimate a 1,7 miliardi di tonnellate distribuite in più siti e l’oro, costituiscono altri due principali sottosettori su cui il Gabon punta per realizzare le sue ambizioni minerarie. A proposito dell’oro, Brussato fa notare che «le riserve sono molto interessante, i depositi però sono in parte localizzati all’interno di aree protette». Visto quanto sopra, oltre alla Francia anche la Cina è preoccupata per gli ultimi sviluppi, tanto che è stata la prima a reagire con una dichiarazione del portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin: «Chiediamo a tutte le parti nel Gabon di partire dagli interessi fondamentali del Paese e del popolo, di risolvere le differenze attraverso il dialogo e di ripristinare l’ordine normale il più presto possibile». La Commissione dell’Unione africana, in un comunicato, «condanna fermamente il tentativo di colpo di Stato in Gabon, che è una flagrante violazione dei principi dell’organizzazione continentale». Mentre il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, ha invitato «l’esercito nazionale e le forze di sicurezza ad attenersi rigorosamente alla loro vocazione repubblicana, per garantire l’integrità fisica del presidente della Repubblica,Ali Bongo Ondimba, dei membri della sua famiglia, nonché di quelli del suo governo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pure-gabon-salta-con-golpe-2664669912.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-in-niger-parigi-tira-ancora-la-corda" data-post-id="2664669912" data-published-at="1693436314" data-use-pagination="False"> E in Niger Parigi tira ancora la corda Tensione ai massimi livelli in Niger, dopo che è scaduto l’ultimatum di 48 ore comunicato questo fine settimana dal Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria all’ambasciatore francese, Sylvain Itté, 64 anni, per lasciare il Paese. Da verifiche svolte con fonti locali risulta che l’ambasciatore si trovi attualmente all’interno della base militare francese di Niamey e, almeno per il momento, non abbia ricevuto l’ordine di rientrare a Parigi visto che, come detto più volte, «la Francia non riconosce la giunta golpista come autorità legittimata a decretare l’espulsione del nostro diplomatico». Alcune persone sui social network scrivono che sono state sospese le forniture d’acqua e di elettricità all’ambasciata, dove la sicurezza è stata rafforzata. Tuttavia, a preoccupare sono i video circolati sul Web, che mostrano la folla inferocita nei pressi della base militare francese: potrebbe essere attaccata in qualsiasi momento. Sarebbe una strage, perché a quel punto i 1.500 militari presenti nella base se attaccati reagirebbero. Un aspetto interessante è quello che durante le proteste in Niger, nelle quali vengono sempre sventolate bandiere russe, la gente inveisce solo contro Parigi e non contro gli altri Paesi occidentali, come ad esempio Germania e Usa, che qui hanno stanziato 1.000 soldati, e nemmeno contro l’Italia, che prima del progressivo ritiro a causa del golpe aveva dispiegato 350 soldati. La situazione sta arrivando al punto di rottura, tanto che da tre giorni alcuni membri delle forze speciali francesi sono dispiegati in Nigeria nel caso l’ambasciata o la base francese dovessero essere oggetto di un attacco della folla sostenuta dai militari nigerini. Eventualità questa da non escludere, visto che se vi fosse una reazione armata dei francesi a quel punto ci sarebbe la controreazione nigerina. Da non dimenticare che Mali e Burkina Faso hanno ribadito a loro volta che i loro eserciti in caso di attacco interverranno a supporto del Niger. A quel punto l’Italia cosa farebbe? Fino a oggi Roma ha sempre invitato le parti a trovare una soluzione diplomatica, ma la situazione che sta peggiorando di ora in ora necessita di una nuova presa di posizione, tenuto conto che anche l’Ecowas, a fronte di un attacco contro la Francia, procederebbe con l’intervento armato. È quindi cruciale il vertice di due giorni iniziato ieri dei responsabili della Difesa e degli Esteri che si tiene a Toledo, sotto la presidenza spagnola dell’Ue. L’Unione europea ha sempre ribadito il suo sostegno a Bazoum, eletto democraticamente, che si trova ancora agli arresti domiciliari dopo il golpe. Inoltre, ha espresso «il suo pieno sostegno alle misure e alle sanzioni adottate dall’Ecowas», la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale contro i golpisti del Niger, che è diventato il quarto Paese della regione guidato da una giunta militare. Ieri, poco prima di iniziare i lavori, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell ha affermato: «Metterò sul tavolo l’opportunità di adottare un quadro giuridico per stabilire sanzioni contro i cospiratori del colpo di Stato in Niger. I ministri ne discuteranno». Qui è bene ricordare che lo scorso 9 agosto sul nostro giornale avevamo riportato le dichiarazioni di Emanuela Del Re rappresentante italiana dell’Ue per il Sahel in quota M5s (da sempre una fucina di talenti), che a proposito del Niger disse: «Sono più affamati di prima, mancano cibo, elettricità e medicinali, così indeboliamo la giunta militare». Dal 26 luglio, giorno del golpe a Niamey, la giunta con a capo il generale Abdourahamane Tiani ha continuato con le provocazioni e fino qualche giorno fa i golpisti puntavano tutto sull’aiuto dei mercenari della Wagner, ma con la morte di Prigozhin sono scomparse persino le bandiere della compagnia militare paramilitare. Da Emmanuel Macron nessun passo indietro, tanto che ieri ha affermato a Bfmtv: «L’ambasciatore in Niger Sylvain Itté continua la sua missione malgrado le pressioni, malgrado tutte le dichiarazioni delle autorità illegittime che hanno preso il potere a Niamey». Ma la corda sta davvero per rompersi.
Cosa ci dice il caso Garofani di ciò che avviene sul Colle? Ne discutono Giuseppe Cruciani e Massimo de' Manzoni.
Una scena dal film «Giovani madri»
Il film dei fratelli Dardenne segue i passi di cinque ragazze-mamme, tra sguardi e silenzi.
L’effetto speciale è la forza della realtà e della vita. Niente fronzoli, niente algoritmi, niente ideologie. Giovani madri è un film che sembra un documentario e racconta la vicenda - già dire «storia», saprebbe di artificio - di cinque ragazze madri minorenni. Non ci sono discorsi o insistenze pedagogiche. Solo gesti, sguardi e silenzi. E dialoghi secchi come fucilate. Non c’è nemmeno la colonna sonora, come d’abitudine nel cinema dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, autori anche della sceneggiatura, premiata all’ultimo Festival di Cannes.
«All Her Fault» (Sky Exclusive)
L’adattamento dal romanzo di Andrea Mara segue la scomparsa del piccolo Milo e il crollo delle certezze di Melissa Irvine, interpretata da Sarah Snook. Un thriller in otto episodi che svela segreti e fragilità di due famiglie e della loro comunità.
All her fault non è una serie originale, ma l'adattamento di un romanzo che Andrea Mara, scrittrice irlandese, ha pubblicato nel 2021, provando ad esorcizzare attraverso la carta l'incubo peggiore di ogni genitore. Il libro, come la serie che ne è stata tratta, una serie che su Sky farà il proprio debutto nella prima serata di domenica 23 novembre, è la cronaca di una scomparsa: quella di un bambino, che pare essersi volatilizzato nel nulla, sotto il naso di genitori troppo compresi nel proprio ruolo professionale per accorgersi dell'orrore che andava consumandosi.
Christine Lagarde (Ansa)
Madame Bce la fa fuori dal vaso partecipando alla battaglia politica contro l’unanimità. Che secondo lei frena i progressi dell’Unione. L’obiettivo? «Armonizzare le aliquote Iva». In altre parole, più tasse e meno sovranità nazionale degli Stati.
«L’Unione europea non funziona. Il suo modello di sviluppo è la causa della crisi. Io l’ho detto appena arrivata alla Banca centrale europea. Tanto che mi autocito. Il Consiglio europeo non dovrà più decidere all’unanimità. Ma a maggioranza qualificata. Insomma, ci vuole più Europa». Racchiudo fra virgolette con stile volutamente brutale la sintesi del discorso di Christine Lagarde all’European banking congress di Francoforte. Non ho esagerato, credetemi. Facciamo una doverosa premessa.






