True
2020-05-04
Protezione inCivile. Così spende i soldi
Angelo Borrelli (Ansa)
L'annuncio viene fatto più volte al giorno, soprattutto su radio e televisioni. Un appello quasi sempre molto scarno: «Aiuta la Protezione civile a sostenere il sistema sanitario nella lotta al coronavirus». Seguono le coordinate bancarie, non viene indicato il nome dell'istituto di credito, nemmeno quale causale si debba mettere. Per saperne di più occorre andare sul sito della Protezione, cliccare sulla voce donazioni e qualche informazione compare. Per esempio, che gli italiani contribuiscono con i loro soldi ad alimentare un «Fondo per l'acquisizione di dispositivi di protezione individuali e attrezzature sanitarie», quindi mascherine, respiratori, ventilatori ma anche «allestimenti per stanze di terapia intensiva».
I bonifici arrivano su un conto corrente presso la banca Intesa Sanpaolo intestato alla presidenza del Consiglio, dipartimento Protezione civile. La cifra raccolta, al 30 aprile, è di 142.314.276 euro: ne sono già stati spesi 117.526.541 in acquisto di ventilatori (9.420.736 euro), in Dpi, ovvero i dispositivi di protezione individuale (107.836.805 euro), e per le spese di trasporto (269.000 euro). «Sono alcuni dei costi sostenuti per trasportare i Dpi dall'estero all'Italia», fanno sapere dal dipartimento diretto da Angelo Borrelli. Non si sa quanto durerà la raccolta fondi, i tempi non sono stati indicati, però sappiamo che «circa un terzo dei presìdi è finanziato grazie alle donazioni, il resto sono soldi messi dallo Stato», è stato spiegato alla Verità.
Il costo medio sostenuto dalla Protezione civile per l'acquisto di mascherine, occhiali, ventilatori si può vedere sempre online, nella sezione «Contratti attivati» nell'emergenza coronavirus. A oggi sono 52 i capitolati, per una spesa complessiva di 356.621.685 euro, un terzo della quale è stata finanziata grazie al generoso contributo degli italiani. Con gli oltre 356 milioni di euro sono state comprate soprattutto mascherine (354.250.895 pezzi), guanti (7.250.000) tute (107.766) e ventilatori polmonari (2.560). Le mascherine Ffp2/Ffp3 ed equivalenti hanno rappresentato la spesa più alta, quasi 266 milioni di euro (1,81 euro il costo medio per ciascuna), le mascherine chirurgiche 60,5 milioni di euro (una media di 34 centesimi l'una), quelle non sanitarie sono costate circa 2,2 milioni di euro (8 centesimi il prezzo medio). Altre voci di spesa importanti sono stati i 2.560 ventilatori polmonari acquistati per quasi 26 milioni euro (più di 10.000 euro l'uno). Anche in questo caso, un terzo dei costi è stato coperto dalle donazioni degli italiani. Poi ci sono 761.116 euro per quasi 108.000 tute (costo medio 7 euro), 197.500 euro per 100.000 occhiali (1,94 euro di media), 296.000 euro per 7,2 milioni di guanti (4 centesimi l'uno).
I fornitori della Protezione civile sono 30, dei quali 21 italiani e 9 esteri. Tra quelli non nazionali vale la pena ricordare Byd (acronimo di Build your dreams, ovvero costruisci i tuoi sogni), settimo costruttore automobilistico cinese specializzato nelle auto elettriche. L'azienda ha riconvertito la sua produzione diventando il primo produttore al mondo di mascherine contro il Covid-19. La nostra Protezione civile, il 13 e il 22 marzo, ha acquistato dalla Byd 144.900 mascherine chirurgiche al costo di 30 centesimi l'una, per un totale di 43,2 milioni di euro. Nelle stesse date ha pagato alla Byd altri 91,4 milioni di euro per quelle Ffp2/Ffp3 ed equivalenti, quindi complessivi 135 milioni di euro, ma è interessante soffermarsi su quei 30 centesimi per ogni mascherina chirurgica. Il commissario straordinario per l'emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, vuole che i fornitori italiani mantengano così bassi i costi di produzione per garantire il prezzo «politico» di 50 centesimi e ci rimettano non avendo la manodopera sottopagata e i costi di filiera del Dragone, ma alla Cina non aveva strappato grandi cifre. E per le mascherine chirurgiche comprate dall'azienda tedesca Imstec Gmbh, la Protezione civile pagò 89 centesimi a unità (400.500 euro per un ordine di 450.000 pezzi), addirittura 1,67 euro per quelle acquistate dalla giapponese Tokyo medical consulting (fornitura di 260.000 pezzi con un costo di 435.000 euro).
Stiamo parlando solo di quelle chirurgiche, ripetiamo, visto che sono la grande preoccupazione del commissario Arcuri, convinto che mezzo euro sia un prezzo «10 volte superiore al costo di produzione». Su quelle Ffp2/Ffp3 ed equivalenti, basti solo ricordare le 620.000 arrivate dalla Cina e distribuite da Domenico Arcuri all'Ordine dei medici anche se non erano «dispositivi autorizzati per l'uso sanitario».
La Protezione civile riceve i contributi pure per un altro fondo, denominato «Sempre con noi» e riservato ai congiunti di medici e infermieri che hanno perso la vita in servizio nella lotta al Covid-19. I primi 5 milioni di euro sono stati stanziati dalla famiglia dell'imprenditore Diego Della Valle, che ha promosso l'iniziativa, l'amministrazione delle donazioni è stata affidata alla Protezione civile su un conto corrente diverso ma comunque sempre di Banca Intesa Sanpaolo e intestato al dipartimento di Borrelli. In questo caso bisogna indicare «Vittime Sa». Al 30 aprile la somma raccolta era pari a 6.310.815 euro, quindi più di 1,3 milioni di euro sono frutto di altri gesti di generosità degli italiani. Sul sito della Protezione è pubblicata da pochi giorni la risoluzione delle Agenzie delle entrate che chiarisce le agevolazioni fiscali per le erogazioni liberali, ma nulla si conosce sulle modalità di distribuzione dei sostegni economici.
«Manca il relativo decreto ministeriale o un decreto legge», confermano dalla Protezione civile. «Bisognerà tararlo sul numero di vittime complessive, poi verranno individuante le modalità di gestione delle predette risorse, nonché le modalità di individuazione dei beneficiari e di erogazione delle somme». Quindi intanto si raccolgono contributi, poi ci auguriamo che gli italiani possano conoscere gli importi destinati a ciascun nucleo familiare dei deceduti in prima linea contro il coronavirus. Serve assoluta trasparenza, perché oltre a indicare il responsabile della raccolta fondi, le finalità e quanto della donazione erogata sia indirizzata alla realizzazione delle cause annunciate, è fondamentale garantire accessibilità alle informazioni consentendo un riscontro, per esempio attraverso un numero di telefono dedicato o via email.
I 34 milioni donati via sms dopo i terremoti non erano per l’emergenza
Nelle tre diverse campagne avviate fra l'agosto 2016 e il febbraio 2017, in seguito agli eventi sismici che colpirono Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, oltre 17 milioni di italiani donarono quasi 34,5 milioni di euro. Via sms da 2 euro l'uno sul numero solidale 45500 arrivarono 23.210.667 euro. Il sistema, che era già stato usato anche dopo il terremoto dell'Abruzzo e quello dell'Emilia, prevedeva il trasferimento gratuito dei fondi su un conto infruttifero aperto presso la tesoreria centrale dello Stato in favore della Protezione civile.
Attraverso il conto corrente bancario e il conto di tesoreria aperto in una prima fase dell'emergenza, arrivarono altri 11.757.167 euro. Anche allora la raccolta fondi fu gestita dal dipartimento oggi diretto da Angelo Borrelli, che poi istituì un comitato di garanti per approvare i progetti da finanziare. Le polemiche furono infinite, non perché i soldi degli sms erano spariti ma per i ritardi nel far partire la ricostruzione affidata a un commissario straordinario, malgrado la prontezza della risposta di tanti cittadini.
«Si trattava di una raccolta fondi classica, avevamo una convenzione stipulata con i gestori di telefonia mobile perché allora le donazioni arrivavano attraverso sms solidali», precisa Roberto Giarola, all'epoca direttore dell'ufficio volontariato e risorse del servizio nazionale della Protezione civile. Giarola, attuale responsabile dell'Agenzia dei beni confiscati alla mafia di Milano, parla di accordo formalizzato sulla gestione delle risorse, conteggiate in base alle tariffazioni e su come venivano utilizzate.
«La polemica, inappropriata, riguardava la destinazione dei fondi per progetti molto legati al rilancio dei territori, alla ricostruzione e per nulla all'emergenza. Ma l'emergenza è coperta da fondi statali appositi», sottolinea. La campagna di sms non faceva però riferimento alla ricostruzione, il messaggio era: «Terremoto Centro Italia, dona». Le persone che in quel momento donavano pensavano che il loro contributo fosse proprio per un aiuto immediato, oltre che per la ricostruzione.
«Sul sito le informazioni c'erano tutte», precisa ancora una volta Giarola, «erano fondi per i territori, non per la gestione emergenziale. Non erano per pagare la spesa alimentare della tendopoli. Era poi spiegato che c'era un comitato di garanti che riceveva delle proposte filtrate dalle quattro Regioni, le esaminava, approvava e finanziava. L'attività di cooperazione non è per dare materialmente il cibo. Il problema di comunicazione è più generale», conviene Giarola, «perché chiaramente l'attenzione e la volontà del donatore è pronta nel momento dell'emergenza. Importante, però, è che l'utilizzo delle risorse sia chiarito e rendicontato con assoluta precisione. La Protezione civile lo ha sempre fatto».
Gli italiani sono generosi, non si tirano indietro nei momenti di difficoltà e rispondono agli appelli. Se le spese dell'emergenza sono «interamente coperte dai fondi pubblici», forse i cittadini dovrebbero saperlo. Invece nel protocollo d'intesa con gli operatori della comunicazione e della telefonia, firmato il 27 giugno 2014 dall'allora capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, si legge chiaramente «che il territorio italiano è periodicamente colpito da eventi calamitosi» ai quali «consegue anche la naturale mobilitazione della società civile, che si traduce anche in raccolte di fondi da destinare alla realizzazione di specifici interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi stessi». Se non c'è trasparenza nella comunicazione, anche la persona più solidale si sente presa in giro.
Continua a leggereRiduci
Macché mascherine (italiane) a 50 centesimi: l'ente guidato da Angelo Borrelli ne ha pagati 30 per le cinesi ma 89 per le tedesche e 1,89 euro per le giapponesi. Un fondo speciale è bloccato: manca ancora un decreto attuativo del governo.I 34 milioni donati via sms dopo i terremoti non erano per l'emergenza. Le scosse del 2016 e '17 hanno indotto 17 milioni di italiani a mettere mano al portafogli. Ma i fondi raccolti con appelli ambigui non sono stati impiegati per i bisogni immediati.Lo speciale comprende due articoli. L'annuncio viene fatto più volte al giorno, soprattutto su radio e televisioni. Un appello quasi sempre molto scarno: «Aiuta la Protezione civile a sostenere il sistema sanitario nella lotta al coronavirus». Seguono le coordinate bancarie, non viene indicato il nome dell'istituto di credito, nemmeno quale causale si debba mettere. Per saperne di più occorre andare sul sito della Protezione, cliccare sulla voce donazioni e qualche informazione compare. Per esempio, che gli italiani contribuiscono con i loro soldi ad alimentare un «Fondo per l'acquisizione di dispositivi di protezione individuali e attrezzature sanitarie», quindi mascherine, respiratori, ventilatori ma anche «allestimenti per stanze di terapia intensiva». I bonifici arrivano su un conto corrente presso la banca Intesa Sanpaolo intestato alla presidenza del Consiglio, dipartimento Protezione civile. La cifra raccolta, al 30 aprile, è di 142.314.276 euro: ne sono già stati spesi 117.526.541 in acquisto di ventilatori (9.420.736 euro), in Dpi, ovvero i dispositivi di protezione individuale (107.836.805 euro), e per le spese di trasporto (269.000 euro). «Sono alcuni dei costi sostenuti per trasportare i Dpi dall'estero all'Italia», fanno sapere dal dipartimento diretto da Angelo Borrelli. Non si sa quanto durerà la raccolta fondi, i tempi non sono stati indicati, però sappiamo che «circa un terzo dei presìdi è finanziato grazie alle donazioni, il resto sono soldi messi dallo Stato», è stato spiegato alla Verità. Il costo medio sostenuto dalla Protezione civile per l'acquisto di mascherine, occhiali, ventilatori si può vedere sempre online, nella sezione «Contratti attivati» nell'emergenza coronavirus. A oggi sono 52 i capitolati, per una spesa complessiva di 356.621.685 euro, un terzo della quale è stata finanziata grazie al generoso contributo degli italiani. Con gli oltre 356 milioni di euro sono state comprate soprattutto mascherine (354.250.895 pezzi), guanti (7.250.000) tute (107.766) e ventilatori polmonari (2.560). Le mascherine Ffp2/Ffp3 ed equivalenti hanno rappresentato la spesa più alta, quasi 266 milioni di euro (1,81 euro il costo medio per ciascuna), le mascherine chirurgiche 60,5 milioni di euro (una media di 34 centesimi l'una), quelle non sanitarie sono costate circa 2,2 milioni di euro (8 centesimi il prezzo medio). Altre voci di spesa importanti sono stati i 2.560 ventilatori polmonari acquistati per quasi 26 milioni euro (più di 10.000 euro l'uno). Anche in questo caso, un terzo dei costi è stato coperto dalle donazioni degli italiani. Poi ci sono 761.116 euro per quasi 108.000 tute (costo medio 7 euro), 197.500 euro per 100.000 occhiali (1,94 euro di media), 296.000 euro per 7,2 milioni di guanti (4 centesimi l'uno). I fornitori della Protezione civile sono 30, dei quali 21 italiani e 9 esteri. Tra quelli non nazionali vale la pena ricordare Byd (acronimo di Build your dreams, ovvero costruisci i tuoi sogni), settimo costruttore automobilistico cinese specializzato nelle auto elettriche. L'azienda ha riconvertito la sua produzione diventando il primo produttore al mondo di mascherine contro il Covid-19. La nostra Protezione civile, il 13 e il 22 marzo, ha acquistato dalla Byd 144.900 mascherine chirurgiche al costo di 30 centesimi l'una, per un totale di 43,2 milioni di euro. Nelle stesse date ha pagato alla Byd altri 91,4 milioni di euro per quelle Ffp2/Ffp3 ed equivalenti, quindi complessivi 135 milioni di euro, ma è interessante soffermarsi su quei 30 centesimi per ogni mascherina chirurgica. Il commissario straordinario per l'emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, vuole che i fornitori italiani mantengano così bassi i costi di produzione per garantire il prezzo «politico» di 50 centesimi e ci rimettano non avendo la manodopera sottopagata e i costi di filiera del Dragone, ma alla Cina non aveva strappato grandi cifre. E per le mascherine chirurgiche comprate dall'azienda tedesca Imstec Gmbh, la Protezione civile pagò 89 centesimi a unità (400.500 euro per un ordine di 450.000 pezzi), addirittura 1,67 euro per quelle acquistate dalla giapponese Tokyo medical consulting (fornitura di 260.000 pezzi con un costo di 435.000 euro). Stiamo parlando solo di quelle chirurgiche, ripetiamo, visto che sono la grande preoccupazione del commissario Arcuri, convinto che mezzo euro sia un prezzo «10 volte superiore al costo di produzione». Su quelle Ffp2/Ffp3 ed equivalenti, basti solo ricordare le 620.000 arrivate dalla Cina e distribuite da Domenico Arcuri all'Ordine dei medici anche se non erano «dispositivi autorizzati per l'uso sanitario».La Protezione civile riceve i contributi pure per un altro fondo, denominato «Sempre con noi» e riservato ai congiunti di medici e infermieri che hanno perso la vita in servizio nella lotta al Covid-19. I primi 5 milioni di euro sono stati stanziati dalla famiglia dell'imprenditore Diego Della Valle, che ha promosso l'iniziativa, l'amministrazione delle donazioni è stata affidata alla Protezione civile su un conto corrente diverso ma comunque sempre di Banca Intesa Sanpaolo e intestato al dipartimento di Borrelli. In questo caso bisogna indicare «Vittime Sa». Al 30 aprile la somma raccolta era pari a 6.310.815 euro, quindi più di 1,3 milioni di euro sono frutto di altri gesti di generosità degli italiani. Sul sito della Protezione è pubblicata da pochi giorni la risoluzione delle Agenzie delle entrate che chiarisce le agevolazioni fiscali per le erogazioni liberali, ma nulla si conosce sulle modalità di distribuzione dei sostegni economici. «Manca il relativo decreto ministeriale o un decreto legge», confermano dalla Protezione civile. «Bisognerà tararlo sul numero di vittime complessive, poi verranno individuante le modalità di gestione delle predette risorse, nonché le modalità di individuazione dei beneficiari e di erogazione delle somme». Quindi intanto si raccolgono contributi, poi ci auguriamo che gli italiani possano conoscere gli importi destinati a ciascun nucleo familiare dei deceduti in prima linea contro il coronavirus. Serve assoluta trasparenza, perché oltre a indicare il responsabile della raccolta fondi, le finalità e quanto della donazione erogata sia indirizzata alla realizzazione delle cause annunciate, è fondamentale garantire accessibilità alle informazioni consentendo un riscontro, per esempio attraverso un numero di telefono dedicato o via email.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/protezione-incivile-cosi-spende-i-soldi-2645908277.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-34-milioni-donati-via-sms-dopo-i-terremoti-non-erano-per-lemergenza" data-post-id="2645908277" data-published-at="1588531509" data-use-pagination="False"> I 34 milioni donati via sms dopo i terremoti non erano per l’emergenza Nelle tre diverse campagne avviate fra l'agosto 2016 e il febbraio 2017, in seguito agli eventi sismici che colpirono Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, oltre 17 milioni di italiani donarono quasi 34,5 milioni di euro. Via sms da 2 euro l'uno sul numero solidale 45500 arrivarono 23.210.667 euro. Il sistema, che era già stato usato anche dopo il terremoto dell'Abruzzo e quello dell'Emilia, prevedeva il trasferimento gratuito dei fondi su un conto infruttifero aperto presso la tesoreria centrale dello Stato in favore della Protezione civile. Attraverso il conto corrente bancario e il conto di tesoreria aperto in una prima fase dell'emergenza, arrivarono altri 11.757.167 euro. Anche allora la raccolta fondi fu gestita dal dipartimento oggi diretto da Angelo Borrelli, che poi istituì un comitato di garanti per approvare i progetti da finanziare. Le polemiche furono infinite, non perché i soldi degli sms erano spariti ma per i ritardi nel far partire la ricostruzione affidata a un commissario straordinario, malgrado la prontezza della risposta di tanti cittadini. «Si trattava di una raccolta fondi classica, avevamo una convenzione stipulata con i gestori di telefonia mobile perché allora le donazioni arrivavano attraverso sms solidali», precisa Roberto Giarola, all'epoca direttore dell'ufficio volontariato e risorse del servizio nazionale della Protezione civile. Giarola, attuale responsabile dell'Agenzia dei beni confiscati alla mafia di Milano, parla di accordo formalizzato sulla gestione delle risorse, conteggiate in base alle tariffazioni e su come venivano utilizzate. «La polemica, inappropriata, riguardava la destinazione dei fondi per progetti molto legati al rilancio dei territori, alla ricostruzione e per nulla all'emergenza. Ma l'emergenza è coperta da fondi statali appositi», sottolinea. La campagna di sms non faceva però riferimento alla ricostruzione, il messaggio era: «Terremoto Centro Italia, dona». Le persone che in quel momento donavano pensavano che il loro contributo fosse proprio per un aiuto immediato, oltre che per la ricostruzione. «Sul sito le informazioni c'erano tutte», precisa ancora una volta Giarola, «erano fondi per i territori, non per la gestione emergenziale. Non erano per pagare la spesa alimentare della tendopoli. Era poi spiegato che c'era un comitato di garanti che riceveva delle proposte filtrate dalle quattro Regioni, le esaminava, approvava e finanziava. L'attività di cooperazione non è per dare materialmente il cibo. Il problema di comunicazione è più generale», conviene Giarola, «perché chiaramente l'attenzione e la volontà del donatore è pronta nel momento dell'emergenza. Importante, però, è che l'utilizzo delle risorse sia chiarito e rendicontato con assoluta precisione. La Protezione civile lo ha sempre fatto». Gli italiani sono generosi, non si tirano indietro nei momenti di difficoltà e rispondono agli appelli. Se le spese dell'emergenza sono «interamente coperte dai fondi pubblici», forse i cittadini dovrebbero saperlo. Invece nel protocollo d'intesa con gli operatori della comunicazione e della telefonia, firmato il 27 giugno 2014 dall'allora capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, si legge chiaramente «che il territorio italiano è periodicamente colpito da eventi calamitosi» ai quali «consegue anche la naturale mobilitazione della società civile, che si traduce anche in raccolte di fondi da destinare alla realizzazione di specifici interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi stessi». Se non c'è trasparenza nella comunicazione, anche la persona più solidale si sente presa in giro.
Nel riquadro, l'attivista Blm Tashella Sheri Amore Dickerson (Ansa)
Tashella Sheri Amore Dickerson, 52 anni, storica leader di Black lives matter a Oklaoma City è stata accusata da un Gran giurì federale di frode telematica e riciclaggio di denaro. Secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Fbi di Oklahoma City e dall’Irs-Criminal Investigation e affidata procuratori aggiunti degli Stati Uniti Matt Dillon e Jessica L. Perry, Dickerson si sarebbe appropriata di oltre 3 milioni di dollari di fondi raccolti e destinati al pagamento delle cauzioni degli attivisti arrestati e li avrebbe investiti in immobili e spesi per vacanze e spese personali. Il 3 dicembre 2025, un Gran giurì federale ha emesso nei confronti dell’attivista un atto d’accusa di 25 capi, di cui 20 di frode telematica e cinque di riciclaggio di denaro. Per ogni accusa di frode telematica, Dickerson rischia fino a 20 anni di carcere federale e una multa fino a 250.000 dollari. Per ogni accusa di riciclaggio di denaro, l’attivista rischia fino a dieci anni di carcere e una multa fino a 250.000 dollari o il doppio dell’importo della proprietà di derivazione penale coinvolta nella transazione. Secondo gli inquirenti, a partire almeno dal 2016, Dickerson è stata direttore esecutivo di Black lives matter Okc (Blmokc). Grazie a quel ruolo Dickerson aveva accesso ai conti bancari, PayPal e Cash App di Blmokc.
L’atto d’accusa, la cui sintesi è stata resa nota dalle autorità federali, sostiene che, sebbene Blmokc non fosse un’organizzazione esente da imposte registrata ai sensi della sezione 501(c)(3) dell’Internal revenue code (la legge tributaria federale americana), accettava donazioni di beneficenza attraverso la sua affiliazione con l’Alliance for global justice (Afgj), con sede in Arizona. L’Afgj fungeva da sponsor fiscale per Blmokc, alla quale imponeva di utilizzare i suoi fondi solo nei limiti consentiti dalla sezione 501(c)(3). L’Afgj richiedeva inoltre a Blmokc di rendere conto, su richiesta, dell’erogazione di tutti i fondi ricevuti e vietava a Blmokc di utilizzare i suoi fondi per acquistare immobili senza il consenso dell’Afgj.
A partire dalla tarda primavera del 2020, Blmokc ha raccolto fondi per sostenere la sua presunta missione di giustizia sociale da donatori online e da fondi nazionali per le cauzioni. In totale, Blmokc ha raccolto oltre 5,6 milioni di dollari, inclusi finanziamenti da fondi nazionali per le cauzioni, tra cui il Community Justice Exchange, il Massachusetts Bail Fund e il Minnesota Freedom Fund. La maggior parte di questi fondi è stata indirizzata a Blmokc tramite Afgj, in qualità di sponsor fiscale.
Secondo l’atto d’accusa, il Blmokc avrebbe dovuto utilizzare queste sovvenzioni del fondo nazionale per le cauzioni per pagare la cauzione preventiva per le persone arrestate in relazione alle proteste per la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd. Quando i fondi per le cauzioni venivano restituiti al Blmokc, i fondi nazionali per le cauzioni talvolta consentivano al Blmokc di trattenere tutto o parte del finanziamento della sovvenzione per istituire un fondo rotativo per le cauzioni, o per la missione di giustizia sociale del Blmokc, come consentito dalla Sezione 501(c)(3).
Nonostante lo scopo dichiarato del denaro raccolto e i termini e le condizioni delle sovvenzioni, l’atto d’accusa sostiene che a partire da giugno 2020 e almeno fino a ottobre 2025, Dickerson si è appropriata di fondi dai conti di Blmokc a proprio vantaggio personale. L’atto d’accusa sostiene che Dickerson abbia depositato almeno 3,15 milioni di dollari in assegni di cauzione restituiti sui suoi conti personali, anziché sui conti di Blmokc. Tra le altre cose, Dickerson avrebbe poi utilizzato questi fondi per pagare: viaggi ricreativi in Giamaica e nella Repubblica Dominicana per sé e i suoi soci; decine di migliaia di dollari in acquisti al dettaglio; almeno 50.000 dollari in consegne di cibo e generi alimentari per sé e i suoi figli; un veicolo personale registrato a suo nome; sei proprietà immobiliari a Oklahoma City intestate a suo nome o a nome di Equity International, Llc, un’entità da lei controllata in esclusiva. L’atto d’accusa sostiene inoltre che Dickerson abbia utilizzato comunicazioni interstatali via cavo per presentare due false relazioni annuali all’Afgj per conto del Blmokc. Dickerson ha dichiarato di aver utilizzato i fondi del Blmokc solo per scopi esenti da imposte. Non ha rivelato di aver utilizzato i fondi per il proprio tornaconto personale.
Tre anni fa una vicenda simile aveva travolto la cofondatrice di Black lives matter Patrisse Cullors, anche lei accusata di aver utilizzato i fondi donati per beneficenza al movimento per pagare incredibili somme di denaro a suo fratello e al padre di suo figlio per vari «servizi». Secondo le ricostruzioni del 2022, Paul Cullors, fratello di Patrisse, ha ricevuto 840.000 dollari sul suo conto corrente per aver presumibilmente fornito servizi di sicurezza al movimento, secondo i documenti fiscali visionati dal New York Post. Nel frattempo, l’organizzazione ha pagato una società di proprietà di Damon Turner, padre del figlio di Patrisse Cullors, quasi 970.000 dollari per aiutare a «produrre eventi dal vivo» e altri «servizi creativi». Notizie che, all’epoca, avevano provocato non pochi malumori, alimentate anche dal fatto che la Cullors si professava marxista e sosteneva di combattere per gli oppressi e le ingiustizie sociali.
Continua a leggereRiduci
Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
Continua a leggereRiduci
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
Continua a leggereRiduci