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2019-08-10
Proprio ora che al Forteto non ci sono più orchi la Toscana vuole 5 milioni
Ansa
Invece di chiedere scusa, pretendono un risarcimento. E non parliamo di pochi spiccioli, ma di oltre 5 milioni di euro. Tanto hanno chiesto la Città metropolitana di Firenze e, soprattutto, la Regione Toscana guidata da Enrico Rossi del Pd al Forteto, la cooperativa di Vicchio (Firenze) divenuta il terrificante simbolo del malfunzionamento del sistema di gestione dei minori in Italia. Fondato nel 1977 da Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi, nel corso degli anni il Forteto ha collezionato denunce e condanne per abusi e maltrattamenti su minori. Bambini che erano affidati ai sedicenti professionisti dopo essere stati tolti alle famiglie.
Nonostante ciò, ha sempre goduto del supporto delle istituzioni locali e della sinistra intellettuale. Gli affidi di minorenni al Forteto sono cessati nel 2012, e nel 2017 Fiesoli è finito in carcere con una condanna pesantissima (condanne anche per alcuni degli altri 9 imputati, pure se per alcuni di loro è intervenuta la prescrizione, come nel caso di Goffredi).
Nel 2018, finalmente, la cooperativa il Forteto è stata commissariata. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha inviato Jacopo Marzetti, già Garante dei minori del Lazio, il quale in poco tempo ha picconato il sistema malato ed è riuscito a riportare un po' di luce in quel di Vicchio.
Ora, però, accade qualcosa che ha dell'incredibile. «Mi è arrivata una richiesta di risarcimento danni da più di 5 milioni di euro dalla Regione Toscana e dalla Città metropolitana di Firenze per danno di immagine. Questa richiesta metterebbe in crisi l'attività produttiva della azienda, quindi di tutti i dipendenti, e non darebbe la possibilità di risarcire le vittime, che è uno dei motivi del commissariamento», ha detto Marzetti lunedì. Surreale: proprio ora che sul Forteto si cominciano a dissipare le ombre e che la cooperativa, grazie al commissariamento, ha ripreso a funzionare in modo corretto, le istituzioni locali vogliono soldi. E a chiederli sono esponenti del Partito democratico, erede di quella sinistra che ha sempre cullato, supportato e finanziato il Forteto e i suoi carnefici. Tra l'altro, giova ricordare che nel 2014, quando Deborah Bergamini di Forza Italia presentò una mozione per chiedere il commissariamento della comunità, il Partito democratico fu l'unico a votare contro. E adesso invece i dem vogliono battere cassa?
«Come commissario non mi aspettavo da parte della Regione una richiesta simile proprio ora che stiamo cercando di cacciare tutti quanti i coinvolti nel procedimento e fare un'azione a tutela delle vittime e dei lavoratori», dice Marzetti alla Verità. «Oltretutto la richiesta è totalmente infondata, in quanto la Regione non è stata riconosciuta parte civile nei confronti della cooperativa. Mi chiedo come mai questa azione avvenga proprio quando il Forteto ha avuto da poco dei fondi da parte di Legacoop e Confcooperative, proprio per il supporto all'attività imprenditoriale. E mi chiedo perché la stessa azione non sia stata fatta nei confronti dei condannati penalmente per gli abusi».
Ieri la Regione Toscana ha tentato una specie di retromarcia. «La Regione aspetta l'esito del processo penale sulla vicenda del Forteto, per poi intentare come parte lesa una causa civile. Ma è pronta eventualmente anche a soprassedere alla richiesta dei danni: ma è necessaria una risposta formale del commissario governativo», ha detto il governatore Rossi.
Secondo il presidente della Toscana, «la Regione, nella vicenda, si è sempre considerata parte lesa, è al fianco delle vittime e difende i lavoratori della cooperativa con determinazione. Per queste ragioni si è costituita parte civile in sede penale e, al termine del processo penale, come disposto dallo stesso giudice, ha comunicato formalmente la volontà di intentare una causa civile, l'unica sede deputata a quantificare il danno subito come parte lesa». Rossi dunque chiede a Marzetti di produrre «una risposta solenne e formale alla lettera della Regione Toscana. Solo in questo modo noi potremo prendere le nostre determinazioni e essere pronti a soprassedere alla richiesta danni con atti formali e conseguenti».
È facile immaginare che Marzetti, in qualità di commissario, invierà la lettera richiesta da Rossi. Resta che tutta la faccenda è davvero incredibile, anche perché sull'atteggiamento della Regione Toscana ci sarebbe molto da discutere.
«Ma quali vittime, la Regione e la Città metropolitana hanno delle responsabilità gravissime», dice Giovanni Donzelli, di Fratelli d'Italia. «Nel 2000 la Corte di Strasburgo condannò l'Italia per gli abusi del Forteto. Il governo di allora chiese spiegazioni alla Regione, e un funzionario regionale rispose nero su bianco che andava tutto bene, che al Forteto c'era un clima meraviglioso. Abbiamo le carte. Io, negli anni successivi, ho chiesto che questo dirigente fosse licenziato o sanzionato, ma ancora due anni fa Rossi e la giunta regionale lo hanno difeso, fino a che non è andato in pensione con il massimo di premi di produzione. Non solo: dopo l'arresto di Fiesoli, la Regione ha continuato a finanziare progetti al Forteto, altro che vittime».
Secondo Donzelli «questa causa intentata dalla Regione sembra la ritorsione di chi non ha gradito il commissariamento del Forteto. Soldi o non soldi, danneggia il nuovo corso della cooperativa, che finalmente non è più in mano agli orchi. Quindi viene il sospetto che ci sia ancora l'interesse, da parte di Regione e Pd, a difendere l'indifendibile».
Donzelli fa notare un altro particolare non irrilevante: «Quando noi, negli anni passati, abbiamo chiesto il commissariamento del Forteto, da sinistra ci hanno sempre risposto che non si poteva perché bisognava tutelare i lavoratori della cooperativa e l'indotto. E adesso che la coop non è più in mano agli orchi la vogliono danneggiare chiedendo i danni?».
Intanto, dopo lunga attesa, si è finalmente insediata la commissione parlamentare che dovrà fare chiarezza su quanto accaduto nella comunità degli orrori. La prima riunione ufficiale dovrebbe essere il 4 settembre (scossoni politici permettendo). A quanto pare, sugli orchi toscani c'è ancora molto da indagare.
«Siamo disposti a intervenire anche sugli affidi in Liguria»
Nei giorni scorsi abbiamo raccontato quanto sta accadendo in Liguria sulla scia dell'inchiesta «Angeli e demoni» esplosa a Bibbiano e dintorni. In quel di Genova non ci sono inchieste giudiziarie, ma ci sono state indagini giornalistiche e interventi di alcuni politici che hanno sollevato l'attenzione sul sistema di gestione dei minori.
Che in Liguria ci sia qualcosa da approfondire lo dimostrano i dati pubblicati dal Sole 24 Ore, secondo cui «le regioni dove gli affidamenti sono più frequenti sono la Liguria (con il 5,8 per mille dei ragazzi e bambini coinvolti) e il Molise (dove l'affido riguarda il 3,9 mille dei minori)». Significa che in Liguria i bambini in affido sono quasi il doppio rispetto alla media nazionale. Stiamo parlando di 1.244 minorenni, di cui 685 affidati a famiglie e 559 che si trovano in centri, comunità, case famiglia eccetera. Cifre che, nel corso degli anni, hanno messo in allerta anche il Garante regionale per l'infanzia, Francesco Lalla. Un paio di giorni fa lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato che «a partire dal 2013 molte persone ci hanno contattato per raccontarci le loro vicende. E ci eravamo convinti che il sistema dell'affidamento e dell'allontanamento non fosse proprio quello corretto, in base anche alla Convenzione di New York che, per gli allontanamenti parla di “necessità". Vuol dire che si fanno soltanto quando si è già fatto tutto il resto e non si può più fare altro». A quanto risulta - e nessuno ha smentito - i casi segnalati al Garante regionale sono circa 260, non pochi.
Un'inchiesta del giornalista Diego Pistacchi, poi, ha fatto venire alla luce i rapporti che il giro di Claudio Foti e del Centro Hansel e Gretel intratteneva con le istituzioni liguri.
Dall'inizio del 2016 al 2018 gli incarichi conferiti a Foti in Liguria sono stati almeno nove, tutti per affidamento diretto. «Il totale dei compensi», ha scritto Pistacchi, «supera i 13.000 euro». L'ultimo incarico è stato conferito il 2 ottobre del 2018. Al terapeuta piemontese è sempre stato richiesto di formare gli assistenti sociali del territorio: «Praticamente nei Municipi Centro Est, Levante e Medio Levante la formazione del personale dei servizi sociali veniva sempre affidata allo stesso professionista». Insomma, come abbiamo spiegato da quelle parti c'è qualcosa che non torna. Il Comune di Genova ha annunciato che si occuperà della faccenda, e nel frattempo è stato cancellato dal Web il sito Internet del «Progetto Arianna», un programma contro l'abuso di minori realizzato a partire dal 2001 con la collaborazione di Foti.
La situazione è delicata, certo, e l'attuale amministrazione genovese (oltre che l'amministrazione regionale) non è certo responsabile di eventuali malfunzionamenti del sistema di gestione dei minori. Tuttavia sarebbe opportuno che ogni ombra venisse fugata. Ecco perché, anche in Liguria e non solo in Emilia Romagna, sarebbe opportuno un intervento delle istituzioni.
Nei giorni scorsi è diventata operativa la «task force» voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per indagare sui fatti di Bibbiano. Tra i componenti c'è Jacopo Marzetti, Garante per l'infanzia della Regione Lazio nonché commissario del Forteto. Proprio il lavoro fatto nella comunità toscana dovrebbe servire da esempio: anche in Val d'Enza e in tutti gli altri luoghi in cui ci siano sospetti di affidi facili e abusi bisognerebbe agire con la stessa determinazione.
Ecco perché abbiamo chiesto a Marzetti se non sia il caso che la «task force» di cui fa parte non si interessi anche al caso ligure. La risposta è stata positiva: «La mia disponibilità per il bene dei nostri ragazzi è sempre totale», ci ha detto. «Per questo, riguardo alla Liguria, chiederò alle autorità competenti se necessitano di un supporto al fine di ottenere la massima tutela dei minori».
Insomma, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, la squadra speciale che indaga su Bibbiano è pronta a occuparsi anche di Genova. In Liguria, per altro, il lavoro dovrebbe essere ancora più facile, dato che nella regione il vento politico è cambiato: un'occasione in più per demolire tutte le impalcature ideologiche del vecchio sistema.
Certo, lo ripetiamo: a Genova non ci sono stati arresti né si ha notizia di inchieste. Resta il fatto, però, che i dati emersi nei giorni scorsi (nonché gli appelli di associazioni come quella dei padri separati liguri) non lasciano tranquilli. Anzi, fanno sospettare che il meccanismo visto all'opera in Emilia abbia funzionato anche altrove. Ecco perché urge verificare il prima possibile che, nel passato, non ci siano stati abusi.
In Val d’Enza sbarca Zingaretti «Su Bibbiano aggressione oscena»
Un'occasione persa per fare chiarezza. Anzi, l'ennesima utilizzata per costruire plasticamente una difesa politica degli orrori di Bibbiano, provando a ribaltare quello che non è un punto di vista ma il dato di fatto emerso dagli atti dell'inchiesta giudiziaria. A farlo è il segretario nazionale dei democratici, Nicola Zingaretti. Sì lui, l'uomo simbolo del partito finito al centro della vicenda sugli affidi che proprio nella città emiliana parla di strumentalizzazione del caso, di «battaglia politica vergognosa», puntando il dito contro stampa e società civile che da mesi pretendono verità su chi ha strappato figli ai loro genitori, su chi ha devastato l'innocenza di minori e sulle coperture politiche di un business immorale.
«Siamo vicini a Bibbiano in questa faccenda grave dove non c'è stata tensione bensì una aggressione oscena», ha dichiarato il segretario nazionale del Pd al parco la Manara di Bibbiano nell'ambito della festa dei circoli del Partito democratico.
Zingaretti con voce ferma da comizio parla di azione «ben pianificata dalla politica, che ha strumentalizzato tutta l'inchiesta. Si tratta di un'indagine delicata», dice ai cronisti, «ma ciò nonostante si è scatenata una battaglia politica vergognosa: chi ha strumentalizzato i fatti deve vergognarsi». Già, la vergogna. Un sentimento che in alcuni casi sarebbe opportuno associare al silenzio, cosa che sembra non avvenire durante la festa Pd.
Accade così che il segretario piddino di Bibbiano, Stefano Marazzi, scriva un lungo post sulla sua pagina Facebook in cui si augura quanto prima il ritorno di un «volontario speciale». Il riferimento, con tanto di foto a corredo di una maglietta, è a Andrea Carletti, il sindaco di Bibbiano attualmente agli arresti domiciliari. «Forse la voglia di festeggiare non è quella consueta ma abbiamo una gran voglia di stringerci e “tenerci insieme". Grazie di cuore ai tanti volontari che hanno dedicato il loro tempo per la preparazione di questa festa», si legge nel post. «Permettetemi di pubblicare la foto di una maglietta dei nostri volontari, lo faccio perché quest'anno mancherà qualcuno, non un volontario qualunque ma un volontario speciale, quella maglietta nella foto è la sua ed è qui ad aspettarlo come tutta la nostra comunità lo sta aspettando». Sette giorni fa il giudice per le indagini preliminari di Reggio Emilia, Luca Ramponi, ha confermato la misura di custodia cautelare per Carletti, la cui carica è stata sospesa su decisione della Prefettura.
Carletti, che si è autosospeso dal Partito democratico, è accusato di abuso d'ufficio e falso ideologico e si trova agli arresti domiciliari dal 27 giugno scorso. Già dopo il lungo interrogatorio di garanzia per il sindaco erano stati confermati i domiciliari. Il suo avvocato difensore, Giovanni Tarquini, nei giorni scorsi aveva presentato una corposa memoria difensiva chiedendone la liberazione, spiegando come per gli incarichi alla Onlus di Torino Hansel e Gretel (al centro delle contestazioni) Carletti si fosse rifatto a leggi regionali e avesse agito sempre nella legalità. Il giudice per le indagini preliminari ha però confermato per lui gli arresti domiciliari. Dal Pd, che nelle parole di Zingaretti viene descritto come il partito che «da sempre mostra grande sensibilità al tema dei minori» non una sola parola sul presunto ruolo di copertura politica attribuito a Carletti. Uniti e schierati, i democratici parlano di campagna politica «per raccogliere voti» e di strumentalizzazione. E così le storie dei bambini strappati ai genitori si riducono ad oggetto di schermaglie politiche salvo poi invocare la vergogna. Già, la vergogna.
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La Regione rossa per anni ha difeso la comunità degli abusi sui bambini. Adesso che, grazie al commissario, è iniziato il nuovo corso chiede i danni.«Siamo disposti a intervenire anche sugli affidi in Liguria». Jacopo Marzetti, Garante dei minori del Lazio e membro della task force ministeriale, risponde all'articolo della Verità: «Chiederò alle autorità competenti di poter agire».In Val d'Enza sbarca Nicola Zingaretti: «Su Bibbiano aggressione oscena». I dirigenti locali dem continuano a difendere Andrea Carletti, il sindaco agli arresti domiciliari. Il segretario in visita ai militanti: «La politica ha pianificato l'attacco contro di voi».Lo speciale comprende tre articoli. Invece di chiedere scusa, pretendono un risarcimento. E non parliamo di pochi spiccioli, ma di oltre 5 milioni di euro. Tanto hanno chiesto la Città metropolitana di Firenze e, soprattutto, la Regione Toscana guidata da Enrico Rossi del Pd al Forteto, la cooperativa di Vicchio (Firenze) divenuta il terrificante simbolo del malfunzionamento del sistema di gestione dei minori in Italia. Fondato nel 1977 da Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi, nel corso degli anni il Forteto ha collezionato denunce e condanne per abusi e maltrattamenti su minori. Bambini che erano affidati ai sedicenti professionisti dopo essere stati tolti alle famiglie. Nonostante ciò, ha sempre goduto del supporto delle istituzioni locali e della sinistra intellettuale. Gli affidi di minorenni al Forteto sono cessati nel 2012, e nel 2017 Fiesoli è finito in carcere con una condanna pesantissima (condanne anche per alcuni degli altri 9 imputati, pure se per alcuni di loro è intervenuta la prescrizione, come nel caso di Goffredi). Nel 2018, finalmente, la cooperativa il Forteto è stata commissariata. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha inviato Jacopo Marzetti, già Garante dei minori del Lazio, il quale in poco tempo ha picconato il sistema malato ed è riuscito a riportare un po' di luce in quel di Vicchio. Ora, però, accade qualcosa che ha dell'incredibile. «Mi è arrivata una richiesta di risarcimento danni da più di 5 milioni di euro dalla Regione Toscana e dalla Città metropolitana di Firenze per danno di immagine. Questa richiesta metterebbe in crisi l'attività produttiva della azienda, quindi di tutti i dipendenti, e non darebbe la possibilità di risarcire le vittime, che è uno dei motivi del commissariamento», ha detto Marzetti lunedì. Surreale: proprio ora che sul Forteto si cominciano a dissipare le ombre e che la cooperativa, grazie al commissariamento, ha ripreso a funzionare in modo corretto, le istituzioni locali vogliono soldi. E a chiederli sono esponenti del Partito democratico, erede di quella sinistra che ha sempre cullato, supportato e finanziato il Forteto e i suoi carnefici. Tra l'altro, giova ricordare che nel 2014, quando Deborah Bergamini di Forza Italia presentò una mozione per chiedere il commissariamento della comunità, il Partito democratico fu l'unico a votare contro. E adesso invece i dem vogliono battere cassa? «Come commissario non mi aspettavo da parte della Regione una richiesta simile proprio ora che stiamo cercando di cacciare tutti quanti i coinvolti nel procedimento e fare un'azione a tutela delle vittime e dei lavoratori», dice Marzetti alla Verità. «Oltretutto la richiesta è totalmente infondata, in quanto la Regione non è stata riconosciuta parte civile nei confronti della cooperativa. Mi chiedo come mai questa azione avvenga proprio quando il Forteto ha avuto da poco dei fondi da parte di Legacoop e Confcooperative, proprio per il supporto all'attività imprenditoriale. E mi chiedo perché la stessa azione non sia stata fatta nei confronti dei condannati penalmente per gli abusi».Ieri la Regione Toscana ha tentato una specie di retromarcia. «La Regione aspetta l'esito del processo penale sulla vicenda del Forteto, per poi intentare come parte lesa una causa civile. Ma è pronta eventualmente anche a soprassedere alla richiesta dei danni: ma è necessaria una risposta formale del commissario governativo», ha detto il governatore Rossi. Secondo il presidente della Toscana, «la Regione, nella vicenda, si è sempre considerata parte lesa, è al fianco delle vittime e difende i lavoratori della cooperativa con determinazione. Per queste ragioni si è costituita parte civile in sede penale e, al termine del processo penale, come disposto dallo stesso giudice, ha comunicato formalmente la volontà di intentare una causa civile, l'unica sede deputata a quantificare il danno subito come parte lesa». Rossi dunque chiede a Marzetti di produrre «una risposta solenne e formale alla lettera della Regione Toscana. Solo in questo modo noi potremo prendere le nostre determinazioni e essere pronti a soprassedere alla richiesta danni con atti formali e conseguenti». È facile immaginare che Marzetti, in qualità di commissario, invierà la lettera richiesta da Rossi. Resta che tutta la faccenda è davvero incredibile, anche perché sull'atteggiamento della Regione Toscana ci sarebbe molto da discutere. «Ma quali vittime, la Regione e la Città metropolitana hanno delle responsabilità gravissime», dice Giovanni Donzelli, di Fratelli d'Italia. «Nel 2000 la Corte di Strasburgo condannò l'Italia per gli abusi del Forteto. Il governo di allora chiese spiegazioni alla Regione, e un funzionario regionale rispose nero su bianco che andava tutto bene, che al Forteto c'era un clima meraviglioso. Abbiamo le carte. Io, negli anni successivi, ho chiesto che questo dirigente fosse licenziato o sanzionato, ma ancora due anni fa Rossi e la giunta regionale lo hanno difeso, fino a che non è andato in pensione con il massimo di premi di produzione. Non solo: dopo l'arresto di Fiesoli, la Regione ha continuato a finanziare progetti al Forteto, altro che vittime». Secondo Donzelli «questa causa intentata dalla Regione sembra la ritorsione di chi non ha gradito il commissariamento del Forteto. Soldi o non soldi, danneggia il nuovo corso della cooperativa, che finalmente non è più in mano agli orchi. Quindi viene il sospetto che ci sia ancora l'interesse, da parte di Regione e Pd, a difendere l'indifendibile». Donzelli fa notare un altro particolare non irrilevante: «Quando noi, negli anni passati, abbiamo chiesto il commissariamento del Forteto, da sinistra ci hanno sempre risposto che non si poteva perché bisognava tutelare i lavoratori della cooperativa e l'indotto. E adesso che la coop non è più in mano agli orchi la vogliono danneggiare chiedendo i danni?». Intanto, dopo lunga attesa, si è finalmente insediata la commissione parlamentare che dovrà fare chiarezza su quanto accaduto nella comunità degli orrori. La prima riunione ufficiale dovrebbe essere il 4 settembre (scossoni politici permettendo). A quanto pare, sugli orchi toscani c'è ancora molto da indagare.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/proprio-ora-che-al-forteto-non-ci-sono-piu-orchi-la-toscana-vuole-5-milioni-2639745319.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="siamo-disposti-a-intervenire-anche-sugli-affidi-in-liguria" data-post-id="2639745319" data-published-at="1765296287" data-use-pagination="False"> «Siamo disposti a intervenire anche sugli affidi in Liguria» Nei giorni scorsi abbiamo raccontato quanto sta accadendo in Liguria sulla scia dell'inchiesta «Angeli e demoni» esplosa a Bibbiano e dintorni. In quel di Genova non ci sono inchieste giudiziarie, ma ci sono state indagini giornalistiche e interventi di alcuni politici che hanno sollevato l'attenzione sul sistema di gestione dei minori. Che in Liguria ci sia qualcosa da approfondire lo dimostrano i dati pubblicati dal Sole 24 Ore, secondo cui «le regioni dove gli affidamenti sono più frequenti sono la Liguria (con il 5,8 per mille dei ragazzi e bambini coinvolti) e il Molise (dove l'affido riguarda il 3,9 mille dei minori)». Significa che in Liguria i bambini in affido sono quasi il doppio rispetto alla media nazionale. Stiamo parlando di 1.244 minorenni, di cui 685 affidati a famiglie e 559 che si trovano in centri, comunità, case famiglia eccetera. Cifre che, nel corso degli anni, hanno messo in allerta anche il Garante regionale per l'infanzia, Francesco Lalla. Un paio di giorni fa lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato che «a partire dal 2013 molte persone ci hanno contattato per raccontarci le loro vicende. E ci eravamo convinti che il sistema dell'affidamento e dell'allontanamento non fosse proprio quello corretto, in base anche alla Convenzione di New York che, per gli allontanamenti parla di “necessità". Vuol dire che si fanno soltanto quando si è già fatto tutto il resto e non si può più fare altro». A quanto risulta - e nessuno ha smentito - i casi segnalati al Garante regionale sono circa 260, non pochi. Un'inchiesta del giornalista Diego Pistacchi, poi, ha fatto venire alla luce i rapporti che il giro di Claudio Foti e del Centro Hansel e Gretel intratteneva con le istituzioni liguri. Dall'inizio del 2016 al 2018 gli incarichi conferiti a Foti in Liguria sono stati almeno nove, tutti per affidamento diretto. «Il totale dei compensi», ha scritto Pistacchi, «supera i 13.000 euro». L'ultimo incarico è stato conferito il 2 ottobre del 2018. Al terapeuta piemontese è sempre stato richiesto di formare gli assistenti sociali del territorio: «Praticamente nei Municipi Centro Est, Levante e Medio Levante la formazione del personale dei servizi sociali veniva sempre affidata allo stesso professionista». Insomma, come abbiamo spiegato da quelle parti c'è qualcosa che non torna. Il Comune di Genova ha annunciato che si occuperà della faccenda, e nel frattempo è stato cancellato dal Web il sito Internet del «Progetto Arianna», un programma contro l'abuso di minori realizzato a partire dal 2001 con la collaborazione di Foti. La situazione è delicata, certo, e l'attuale amministrazione genovese (oltre che l'amministrazione regionale) non è certo responsabile di eventuali malfunzionamenti del sistema di gestione dei minori. Tuttavia sarebbe opportuno che ogni ombra venisse fugata. Ecco perché, anche in Liguria e non solo in Emilia Romagna, sarebbe opportuno un intervento delle istituzioni. Nei giorni scorsi è diventata operativa la «task force» voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per indagare sui fatti di Bibbiano. Tra i componenti c'è Jacopo Marzetti, Garante per l'infanzia della Regione Lazio nonché commissario del Forteto. Proprio il lavoro fatto nella comunità toscana dovrebbe servire da esempio: anche in Val d'Enza e in tutti gli altri luoghi in cui ci siano sospetti di affidi facili e abusi bisognerebbe agire con la stessa determinazione. Ecco perché abbiamo chiesto a Marzetti se non sia il caso che la «task force» di cui fa parte non si interessi anche al caso ligure. La risposta è stata positiva: «La mia disponibilità per il bene dei nostri ragazzi è sempre totale», ci ha detto. «Per questo, riguardo alla Liguria, chiederò alle autorità competenti se necessitano di un supporto al fine di ottenere la massima tutela dei minori». Insomma, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, la squadra speciale che indaga su Bibbiano è pronta a occuparsi anche di Genova. In Liguria, per altro, il lavoro dovrebbe essere ancora più facile, dato che nella regione il vento politico è cambiato: un'occasione in più per demolire tutte le impalcature ideologiche del vecchio sistema. Certo, lo ripetiamo: a Genova non ci sono stati arresti né si ha notizia di inchieste. Resta il fatto, però, che i dati emersi nei giorni scorsi (nonché gli appelli di associazioni come quella dei padri separati liguri) non lasciano tranquilli. Anzi, fanno sospettare che il meccanismo visto all'opera in Emilia abbia funzionato anche altrove. Ecco perché urge verificare il prima possibile che, nel passato, non ci siano stati abusi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/proprio-ora-che-al-forteto-non-ci-sono-piu-orchi-la-toscana-vuole-5-milioni-2639745319.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-val-denza-sbarca-zingaretti-su-bibbiano-aggressione-oscena" data-post-id="2639745319" data-published-at="1765296287" data-use-pagination="False"> In Val d’Enza sbarca Zingaretti «Su Bibbiano aggressione oscena» Un'occasione persa per fare chiarezza. Anzi, l'ennesima utilizzata per costruire plasticamente una difesa politica degli orrori di Bibbiano, provando a ribaltare quello che non è un punto di vista ma il dato di fatto emerso dagli atti dell'inchiesta giudiziaria. A farlo è il segretario nazionale dei democratici, Nicola Zingaretti. Sì lui, l'uomo simbolo del partito finito al centro della vicenda sugli affidi che proprio nella città emiliana parla di strumentalizzazione del caso, di «battaglia politica vergognosa», puntando il dito contro stampa e società civile che da mesi pretendono verità su chi ha strappato figli ai loro genitori, su chi ha devastato l'innocenza di minori e sulle coperture politiche di un business immorale. «Siamo vicini a Bibbiano in questa faccenda grave dove non c'è stata tensione bensì una aggressione oscena», ha dichiarato il segretario nazionale del Pd al parco la Manara di Bibbiano nell'ambito della festa dei circoli del Partito democratico. Zingaretti con voce ferma da comizio parla di azione «ben pianificata dalla politica, che ha strumentalizzato tutta l'inchiesta. Si tratta di un'indagine delicata», dice ai cronisti, «ma ciò nonostante si è scatenata una battaglia politica vergognosa: chi ha strumentalizzato i fatti deve vergognarsi». Già, la vergogna. Un sentimento che in alcuni casi sarebbe opportuno associare al silenzio, cosa che sembra non avvenire durante la festa Pd. Accade così che il segretario piddino di Bibbiano, Stefano Marazzi, scriva un lungo post sulla sua pagina Facebook in cui si augura quanto prima il ritorno di un «volontario speciale». Il riferimento, con tanto di foto a corredo di una maglietta, è a Andrea Carletti, il sindaco di Bibbiano attualmente agli arresti domiciliari. «Forse la voglia di festeggiare non è quella consueta ma abbiamo una gran voglia di stringerci e “tenerci insieme". Grazie di cuore ai tanti volontari che hanno dedicato il loro tempo per la preparazione di questa festa», si legge nel post. «Permettetemi di pubblicare la foto di una maglietta dei nostri volontari, lo faccio perché quest'anno mancherà qualcuno, non un volontario qualunque ma un volontario speciale, quella maglietta nella foto è la sua ed è qui ad aspettarlo come tutta la nostra comunità lo sta aspettando». Sette giorni fa il giudice per le indagini preliminari di Reggio Emilia, Luca Ramponi, ha confermato la misura di custodia cautelare per Carletti, la cui carica è stata sospesa su decisione della Prefettura. Carletti, che si è autosospeso dal Partito democratico, è accusato di abuso d'ufficio e falso ideologico e si trova agli arresti domiciliari dal 27 giugno scorso. Già dopo il lungo interrogatorio di garanzia per il sindaco erano stati confermati i domiciliari. Il suo avvocato difensore, Giovanni Tarquini, nei giorni scorsi aveva presentato una corposa memoria difensiva chiedendone la liberazione, spiegando come per gli incarichi alla Onlus di Torino Hansel e Gretel (al centro delle contestazioni) Carletti si fosse rifatto a leggi regionali e avesse agito sempre nella legalità. Il giudice per le indagini preliminari ha però confermato per lui gli arresti domiciliari. Dal Pd, che nelle parole di Zingaretti viene descritto come il partito che «da sempre mostra grande sensibilità al tema dei minori» non una sola parola sul presunto ruolo di copertura politica attribuito a Carletti. Uniti e schierati, i democratici parlano di campagna politica «per raccogliere voti» e di strumentalizzazione. E così le storie dei bambini strappati ai genitori si riducono ad oggetto di schermaglie politiche salvo poi invocare la vergogna. Già, la vergogna.
Marco Scatarzi in foto piccola (Ansa)
Marco Scatarzi, dal 2017 direttore di Passaggio al bosco, è stanco ma tranquillo, di sicuro soddisfatto nonostante i momenti di tensione. Con La Verità ripercorre i passaggi che hanno portato il suo marchio ad avere uno stand alla fiera romana «Più libri più liberi». «Da anni facevamo domanda di partecipazione con la regolare modulistica e per anni siamo stati sempre avvisati che gli spazi non erano disponibili», spiega. «Anche quest’anno in realtà avevamo ricevuto l’email che appunto ci avvisava della mancanza di spazi disponibili, poi però siamo stati ripescati a settembre e ci è stato concesso uno stand».
Come mai?
«Perché lo scorso anno, in polemica con l’organizzazione, molte case editrici di sinistra avevano disdetto la prenotazione e quindi hanno liberato spazi».
Dunque esiste una polemica interna fra la direzione della fiera e le case editrici?
«Mi sembra di aver colto questa polemica che si protrae da anni, per le più svariate motivazioni che ogni anno cambiano. Quest’anno è stata Passaggio al bosco l’oggetto del contendere, ma una dialettica accesa esiste da tempo».
Che cosa vi è stato richiesto per partecipare?
«C’è un regolamento da sottoscrivere con varie clausole, che per altro molti hanno citato nei giorni scorsi. Si chiede il rispetto della Costituzione, dei diritti umani... E poi ovviamente c’è la quota di pagamento che attesta appunto l’affitto dello spazio».
Fate richiesta da anni. Nessuno vi aveva mai detto nulla?
«No, assolutamente no».
Poi è arrivato l’appello, la richiesta di cacciarvi da parte di un centinaio tra autori e case editrici. Come ne siete venuti a conoscenza?
«Lo abbiamo appreso dai social network dopo che l’onorevole Fiano, con un post, ha chiesto il nostro allontanamento dalla fiera. Quel post ha generato nei giorni seguenti l’appello di Zerocalcare e degli altri intellettuali, se così possiamo definirli, che appunto chiedevano di mandarci via».
Vi hanno accusato di essere fascisti e neonazisti. Cosa rispondete?
«Che abbiamo un catalogo vastissimo, con parecchie di collane, 300 titoli e un pluriverso di autori che spaziano geograficamente in tutto il mondo e in tutte le anime della cosiddetta “destra”. Abbiamo un orientamento identitario e cerchiamo di rappresentare le varie anime del pensiero della destra, dando corpo ad un approfondimento che abbraccia storia, filosofia, società, geopolitica, sport, viaggi e molto altro. Ovviamente, come da prassi, il tutto viene sistematicamente strumentalizzato attraverso i soliti spauracchi caricaturali: ciò che disturba, senza dubbio, è la diffusione di un pensiero non allineato, soprattutto sui temi di stretta attualità. Le voci libere dal coro unanime del progressismo, si sa, sono sempre oggetto di demonizzazione».
Vi hanno rimproverato di aver pubblicato Léon Degrelle.
«Rispondo citando ciò che Roberto Saviano ha detto a Più libri più liberi, quando ha risposto alle polemiche alzate dai firmatari della petizione: tutti i libri hanno il diritto di essere letti e di esistere. Non abbiamo bisogno di badanti ideologiche… Ebbene, noi cerchiamo di offrire uno sguardo diverso, un punto di vista anche radicale, perché riteniamo che sia importante conoscere tutto. E non ci sentiamo di dover prendere lezioni di morale da chi magari nei propri cataloghi - del tutto legittimamente, perché io per primo li leggo - ha libri altrettanto radicali, benché di orientamento opposto a quello che viene rimproverato a noi».
Come è stata la permanenza alla fiera?
«Ci sono state molte contestazioni, diverse aggressioni verbali, cortei improvvisati, cori con “Bella ciao” e tentativi di boicottaggio che hanno cercato di minare la nostra partecipazione. Non ce ne lamentiamo: abbiamo risposto con la forza tranquilla del nostro sorriso, svolgendo il nostro lavoro».
E i vertici della fiera? È venuto qualcuno a parlare con voi?
«Sì, naturalmente. Hanno apprezzato il nostro profilo asciutto e professionale. Qualcuno ha scambiato la fiera per un centro sociale, ma non ci siamo mai fatti intimorire o provocare. Abbiamo evitato in ogni modo possibile di alimentare la polemica e non ci siamo prestati alla ribalta mediatica provocazioni anzi le abbiamo anche accolte col sorriso e non abbiamo neanche cercato la ribalta mediatica: il nostro - appunto - è un lavoro editoriale di approfondimento. Può non piacere, ma ha diritto di esprimersi».
Zerocalcare dice che avete organizzato un’operazione politica, che siete organici al partito di governo.
«Ovviamente non esiste alcuna operazione politica: esiste soltanto una casa editrice che partecipa ad una fiera dedicata ai libri. L’operazione politica - semmai - è quella della sinistra radicale che si organizza per montare una polemica, cercando di censurare chi la pensa diversamente. Hanno montato una polemica politica stucchevole, che molti hanno condannato anche da sinistra. Peraltro, sottolineo ancora una volta che Passaggio al bosco contiene in sé un pluriverso enorme di autori, di esperienze, di persone e di realtà: alcune sono impegnate politicamente, molte altre no. Di certo, non può essere ritenuta organica ad alcunché, se non alla propria attività di divulgazione culturale. Ma poi, con quale coraggio una sinistra radicale che fa sistema da anni, spesso con la logica della “cupola”, si permette di avanzare simili obiezioni?»
Chiederete di partecipare a Più libri più liberi anche l’anno prossimo?
«Certamente. Chiederemo di partecipare - come quest’anno - ad un festival che ospita gli editori. Saremo felici di esserci con i nostri testi, con i nostri autori e con la nostra attività. Sicuramente, anche al di là delle contestazioni, quella appena conclusa è stata un’esperienza importante, in una fiera ben organizzata e molto bella. Avremmo piacere di ripeterla».
Avete venduto bene?
«Abbiamo venduto benissimo, terminando tutti i nostri libri. Per quattro volte siamo dovuti tornare a rifornirci in Toscana e il nostro è stato certamente uno degli stand più visitati della fiera. Il boicottaggio ha sortito l’effetto contrario: ci hanno contattato già centinaia di autori, di distributori, di traduttori, di agenti pubblicitari e di addetti ai lavori. Ogni tipo di figura operante nel campo dell’editoria non solo ci ha mostrato solidarietà, ma è venuta da noi a conoscerci e a proporci nuove collaborazioni. Quindi, se prima eravamo una casa editrice emergente, adesso abbiamo accesso ad un pubblico più ampio e a canali che ci permetteranno di arrivare là dove non eravamo mai arrivati».
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Un’associazione che non ha mai fatto del male a nessuno e che porta avanti un’agenda pro life attraverso tre direttrici fondamentali: fare pressione politica affinché anche questa visione del mondo venga accolta dalle istituzioni internazionali; educare i giovani al rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale; e, infine, promuovere attività culturali, come ad esempio scambi internazionali ed Erasmus, affinché i giovani si sviluppino integralmente attraverso il bello.
In passato, la World youth alliance ha ottenuto, come è giusto che sia, diversi finanziamenti da parte dell’Unione europea (circa 1,2 milioni) senza che nessuno dicesse alcunché. Ora però qualcosa è cambiato. La World youth alliance, infatti, ha partecipato ad alcuni bandi europei ottenendo oltre 400.000 euro di fondi per organizzare le proprie attività. La normalità, insomma. Poi però sono arrivate tre interrogazioni da parte dei partiti di sinistra, che hanno evidenziato come gli ideali portati avanti da questa associazione siano contrari (secondo loro) all’articolo 14 dell’Accordo di sovvenzione, secondo cui «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società in cui prevalgono il pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la parità tra donne e uomini».
Il punto, però, è che la World youth alliance non ha mai contraddetto questi valori, ma ha semplicemente portato avanti una visione pro life, come è lecito che sia, e sostenuto che si può non abortire. Che c’è sempre speranza. Che la vita, di chiunque essa sia, va sempre difesa. Che esistono solamente due sessi. Posizioni che, secondo la sinistra, sarebbero contrarie ai valori dell’Ue.
Come nota giustamente l’eurodeputato Paolo Inselvini (Fdi) da cui è partita la denuncia dopo che la World youth alliance si è rivolta a lui affidandogli i documenti, le interrogazioni presentate fanno riferimento a documenti politici che non esistevano nel momento in cui è stata fatta la richiesta di fondi e che ora vengono utilizzati in modo retroattivo. Come, per esempio, la Strategia europea Lgbtiq 2026-2030, che è stata adottata lo scorso ottobre, e la Roadmap sui diritti delle donne, che è stata comunicata in Commissione nel marzo del 2025. Documenti che ora vengono utilizzati come clave per togliere i fondi.
Secondo Inselvini, che a breve invierà una lettera in cui chiederà chiarimenti alla Commissione europea, «si stanno costruendo “nuovi valori europei” non sulla base dei Trattati, della Carta dei diritti fondamentali o della tradizione giuridica europea, ma sulla base di orientamenti politici tutt’altro che condivisi dai cittadini europei».
Ma non solo. In questo modo, prosegue l’eurodeputato, «i fondi vanno sempre agli stessi. Questa vicenda, infatti, si inserisce in un quadro più ampio: fondi e spazi istituzionali sembrano essere accessibili solo a chi promuove l’agenda progressista. Basta guardare alle priorità politiche ed economiche: 3,6 miliardi trovati senza esitazione per la nuova strategia Lgbtq+, mentre le realtà che non si allineano vengono marginalizzate, ignorate o addirittura sanzionate. L’Europa non può diventare un sistema di fidelizzazione ideologica in cui si accede a risorse pubbliche solo a condizione di adottare un certo vocabolario e una certa visione del mondo».
Perché è proprio questo che è diventata oggi l’Ue: un ente che punisce chiunque osi pensarla diversamente. Un’organizzazione che è diventata il megafono delle minoranze, soprattutto quelle Lgbt, e che non ammette alcuna contraddizione. Chi osa esprimere dubbi, o semplicemente il proprio pensiero, viene punito. Via i fondi alla Fafce e alla World youth alliance, quindi.
Il tutto in nome del rispetto per le opinioni degli altri. «Se oggi si arriva a censire, controllare e punire un’organizzazione non per quello che fa, ma per quello che crede, allora significa che qualcosa si è rotto», conclude Inselvini.
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(Totaleu)
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.