2020-06-09
Al «Corriere» non piace la proprietà privata
La sede di via Solferino (Ansa)
Il settimanale del Corriere un tempo borghese tratta con irritato snobismo le critiche alla sharing economy. Contrapposta al possesso, modello «superato, timido e stupido».Bisognerebbe guardarli con occhi più attenti, i centri storici delle nostre città. Sempre più belli, sempre più ridipinti, sempre meglio frequentati e abitati, con tutte le catene commerciali giuste al posto giusto. E la sera, dalle 19 in poi, tutto quel viavai così cosmopolita di scooter e biciclette e che consegnano cibi di tutto il mondo a italiani che probabilmente, il mondo, lo gireranno molto meno dei propri genitori. Appartamenti da dividere, due e quattro ruote da affittare per poche ore, spazi di lavoro da occupare per un giorno al fianco di sconosciuti. La chiamano sharing economy, o economia circolare. Insomma l'arte di non possedere, ma di fare tutto egualmente, come se fossimo più abbienti. Ma adesso, come sostiene Sette del Corriere della Sera, pare che se ne debba piangere l'aborto prematuro, causa Covid-19 e «distanziamento sociale», ovvero la paura di contagiarsi l'un l'altro solo a sfiorarsi. O a condividere una citycar, un tavolo al ristorante, uno studio con persone delle quali non conosciamo né la temperatura corporea né lo stato delle mucose. E dovremmo preoccuparci. Eppure questa sharing economy è il prodotto evidente della crisi dei mutui subprime del 2008, con milioni di appartenenti al ceto medio espulsi dai centri storici, dal posto di lavoro fisso, dall'accesso al credito, da un futuro pensionistico dignitoso, e che hanno dovuto reinventarsi da zero, attingendo ai risparmi e ai patrimoni familiari, puntando su un'Italia in parte cinesizzata, quanto a condizioni di lavoro, e in parte trasformata in una gigantesca Gardaland con ristorazione affidata a Eataly e ai suoi emuli. E allora, ecco l'alloggetto di nonna che diventa B&b. Ecco l'esubero che tenta di non impazzire a casa da solo e va a lavorare nei coworking. Ecco il trentenne che passa da un lavoro precario all'altro e che la 500 deve affittarsela perché con questi chiari di luna ci metterebbe anni a comprarsela. Ecco l'ex operaio della Fiat che fa l'elettricista ai concerti e alle fiere. Eppure, magìa di internet, con una carta di credito (ricaricabile) e pochi clic, possiamo fare tutto dal divano. Sembriamo più liberi, con la sharing economy, anche mentre ci schediamo a ogni ricerca e a ogni acquisto online. Ma le dinamiche economiche che hanno innescato e pompato la sharing economy sono quasi ignorate nel lungo pezzo che il settimanale del Corriere ha dedicato al tema, sotto il titolo suggestivo «Saremo padroni di biciclette? Il Coronavirus manda in crisi la sharing economy». Il sommario coglie e risemina la nuova ansia sociale: «Fra i giovani si riaffaccia la tentazione della proprietà privata, già archiviata perché superata, volgare, stupida. È la fine di un modello?». Una violenza verbale inusitata, tanto più in quello che pare a tutti gli effetti il fu quotidiano della borghesia. Nel pezzo di Micol Sarfatti, si dà conto con preoccupazione dell'erosione dei profitti per quei noti filantropi di Uber e Airbnb. Ci si dispiace per gli effetti negativi della quarantena sull'economia circolare e si conclude con una parola di speranza affidata a Francesco Longo, «docente di sharing economy e smart cities management all'Università Bocconi», per il quale «al momento alcune situazioni ci spaventano, ma le rivaluteremo. Un appartamento in affitto e una macchina condivisa ci sembreranno presto più sicuri di alberghi o mezzi pubblici affollati». E così, conclude l'articolista, «la proprietà privata, forse, tornerà ad attendere». Proprietà privata «molto borghese e forse un po' fuori moda» che però, ammettiamolo, non è che sia poi così male. Specie quando la villa in affitto sul lago è tua. Del resto la stessa Micol Sarfatti è figlia del grande designer Gino Sarfatti, che le sue meravigliose lampade le vendeva. Perché nell'economia circolare, il punto del cerchio in cui ti collochi può fare la differenza. E quello del proprietario, nonostante le tasse, non è poi così male. Anche se forse non è tanto chic.