2022-06-29
Vogliono rendere inutili le elezioni
Ignazio Visco (Imagoeconomica)
Il Quirinale ha deciso: l’esecutivo resterà in carica fino a maggio 2023. E potrà piazzare tutti i suoi uomini ai vertici, impedendo ai vincitori delle elezioni di toccare palla, anche grazie al Pnrr. E per liberare le poltrone non in scadenza? Dimissioni anticipate.Se Mario Draghi non vede l’ora di levar le tende e sogna anche la notte che finisca la legislatura per potersi occupare d’altro (magari, come sostengono in molti, della Nato), Sergio Mattarella guarda allo scioglimento del Parlamento come una iattura da ritardare il più possibile. Mai come questa volta il presidente della Repubblica aspetta con fastidio l’appuntamento con le urne e non perché, come accade ogni qualvolta si rinnovano le Camere, il governo è condizionato da mesi di campagna elettorale, soprattutto se è ostaggio di una maggioranza frastagliata come quella attuale. Ma perché il voto potrebbe portare a una svolta che il capo dello Stato e il suo entourage guardano come il diavolo l’acqua santa. In altre parole, al Quirinale non muoiono dalla voglia di dover assegnare il mandato per la formazione del nuovo esecutivo a un rappresentante del centrodestra, soprattutto se questi dovesse arrivare, come pare assai probabile, dalle fila di Fratelli d’Italia o della Lega. Ve lo immaginate Mattarella che, sentiti i presidenti delle Camere, dà l’incarico a Giorgia Meloni o a Matteo Salvini? Minimo si presenterebbe davanti alle telecamere con i capelli ritti e la voce ancor più flebile di quella a cui ci ha abituati. Qualcuno potrebbe pensare che dopo la prova dei giorni scorsi, con la disfatta alle amministrative di Verona, Parma, Piacenza e Catanzaro, l’ipotesi tanto temuta dal Colle non sia contemplata. In realtà, se si dà uno sguardo ai numeri e non alla propaganda, ci si accorge che per quanto il centrodestra abbia fatto di tutto per perdere sfide che sembravano già vinte, resta comunque maggioranza nel Paese. Leggere per credere l’ultimo sondaggio elaborato dal Sole 24 Ore dal professor Roberto D’Alimonte, che attribuisce ai partiti che fanno parte della coalizione una percentuale fra il 51 e il 52 per cento. Fratelli d’Italia sarebbe al 25, la Lega al 15, Forza Italia al 10 e Coraggio Italia intorno all’1 per cento. Certo, al momento si tratta solo di numeri sulla carta, perché l’apertura dei seggi è lontana; tuttavia, a quanto pare c’è chi medita di allontanarla il più possibile, anche per consentire di sistemare una serie di partite importanti che, se decise per tempo, potrebbero sottrarre ai futuri vincitori decisioni chiave che stanno al cuore a Mattarella, come ai poteri che contano, vale a dire all’Europa.Mi spiego: in teoria, la legislatura si conclude il 23 marzo, perché in quella data nel 2018 ci fu la prima seduta del nuovo Parlamento. A volte, per comodità, si anticipa lo scioglimento delle Camere per evitare che le elezioni finiscano a ridosso dell’estate. In questo caso però, se potesse, il presidente della Repubblica rimanderebbe il voto a dopo l’estate e magari pure a dopo Natale. Purtroppo, per lui naturalmente, la Costituzione dice che il rinnovo del Parlamento deve avvenire entro 70 giorni dalla fine della legislatura. Dunque, se si considera il 23 marzo come data di scadenza, il capo dello Stato può prendersela comoda fino a fine maggio per fissare le nuove elezioni. Il che lascia spazio al governo in carica di fare parecchie cose e tanto per cominciare di sistemare i vertici delle più importanti aziende del Paese che, guarda caso, scadono proprio fra aprile e maggio del prossimo anno. Da Leonardo alle Poste, dall’Eni all’Enel, tutti i colossi che dipendono dal ministero dell’Economia avranno i consigli di amministrazione in scadenza e le nomine spetteranno a chi in quel momento siede a Palazzo Chigi e a via XX Settembre. Nell’ipotesi - che poi non è tanto ipotesi ma certezza - in cui fossero ancora Draghi e il suo alter ego, ossia Daniele Franco, toccherebbe a loro decidere e non a chi verrà di lì a un mese o una settimana. Ma oltre alle grandi aziende, poi ci sono una miriade di altre imprese di cui occorre confermare o sostituire la dirigenza e in totale, a fine aprile del 2023, fanno 350 poltrone da assegnare. Che, come nel caso precedente, se in carica resta l’attuale premier sarà ovviamente lui a decidere. Non parliamo poi dei vertici di alcune forze armate, come per esempio la Guardia di finanza, il cui comandante generale è già stato prorogato di un anno e dunque, tra meno di 12 mesi potrebbe essere sostituito. Alle idi di maggio del 2023 sfugge soltanto il governatore della Banca d’Italia, il cui mandato si concluderebbe a novembre del prossimo anno e dunque sarebbe di competenza del governo che verrà. Ma qui potrebbe esserci una sorpresa, perché Ignazio Visco potrebbe giocare d’anticipo, dimettendosi prima della fine del suo incarico. La voce è stata pubblicata dal Foglio e l’ufficio stampa di via Nazionale si è incaricato di smentirla scrivendo che «al momento» l’addio anticipato non è previsto. «Al momento» non è proprio quel che si dice una forte smentita, ma forse solo una notizia rimandata. Non vi sto a ripetere la solita solfa di Giulio Andreotti su coloro che pensano male. Certo, la sequenza di nomine, la scarsa se non nulla propensione di Draghi a restare a Palazzo Chigi e l’altrettanta poca voglia di Mattarella di affidare l’incarico a un esponente di centrodestra fanno pensare al peggio. Infatti, in queste condizioni, chiunque vincesse le elezioni avrebbe le mani legate. Per non parlare poi del Pnrr e del Patto di stabilità. Ma questo è un altro capitolo, che merita un altro articolo per spiegare come chiunque vinca sarà indebitato per sempre.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)