
L'ex presidente dell'Iri nega a Repubblica ogni responsabilità sulla privatizzazione di Autostrade. Ma scorda tutti i suoi disastri. Come quello sulla Sme, che nel 1985 voleva regalare a Carlo De Benedetti.Povero Romano Prodi. A 79 anni, invece di godersi i nipotini, viene sgradevolmente tirato in ballo tra i responsabili del «grande regalo» ai Benetton, e quindi coinvolto nelle polemiche per il crollo del ponte genovese. Del resto, è ormai Storia che lo smantellamento dell'Iri, a partire dal 1992, sia stato opera del suo presidente di allora: Prodi, per l'appunto. Ed è sempre inconfutabile che l'anno successivo la firma di Prodi compaia sotto la prima privatizzazione di Autostrade per l'Italia, fino a quel momento dello Stato. E il 4 agosto 1997 c'è ancora la sua sigla, stavolta da presidente del Consiglio, sotto la convenzione che garantisce proprio ai Benetton l'automatico adeguamento delle tariffe in base a inflazione, produttività e qualità del servizio.Contro i (pochi) «giornali cattivi» che dopo la tragedia del viadotto hanno osato ricordare questi banali fatti, ieri il povero Prodi è stato costretto a reagire, parlando con Repubblica. E nella più anomala delle interviste, affidata per quattro quinti alle parole di un misterioso «strettissimo collaboratore», il Professore ha ricostruito la sua versione. L'anonimo pupazzo del ventriloquo Prodi ha così deciso di ribaltare la responsabilità delle «cattive privatizzazioni» su Paolo Savona, nel 1993-94 ministro dell'Industria del governo di Carlo Azeglio Ciampi e oggi responsabile dei Rapporti con l'Europa. Nella vulgata prodiana, 25 anni fa sarebbe stato Savona il «privatizzatore hard», che voleva regalare «potere pieno agli acquirenti e ai concessionari», e per questo vedeva «come il fumo negli occhi i paletti pretesi dal Professore», che da presidente dell'Iri puntava invece più sobriamente (così sottolinea Repubblica), «alle public company, una scelta più misurata».Nel 1993-94, in realtà, Savona si batteva in Consiglio dei ministri proprio contro i «regali di Stato» e contro il rischio che certe privatizzazioni alla fine agevolassero, come poi è accaduto, i soli colossi stranieri. Un quarto di secolo fa, del resto, c'erano anche casi recenti di cessioni non proprio clamorosamente riuscite...Forse l'anonimo interlocutore prodiano di Repubblica e il suo intervistatore di ieri non lo sanno, o magari non lo ricordano, ma nel marzo 1985 era stato proprio Prodi a firmare un famoso preliminare per la compravendita del gruppo Sme, il colosso alimentare dello Stato. Era un accordo di sole quattro pagine, firmato dal presidente dell'Iri senza autorizzazioni governative e a un prezzo assai basso: 479 miliardi di lire. L'acquirente, guarda caso, era Carlo De Benedetti, editore di Repubblica: la sua Buitoni avrebbe pagato in 18 mesi, e una serie di agevolazioni fiscali le avrebbero anche consentito di ridurre l'effettivo esborso ai minimi termini.Che per lo Stato non si trattasse di un vero affare era stato subito chiaro, tanto che non appena l'operazione era diventa pubblica era stata immediatamente bloccata dal presidente del Consiglio dell'epoca, Bettino Craxi, che reputava il prezzo assai incongruo. Per fermare la disastrosa cessione, Craxi aveva quindi invitato Silvio Berlusconi a formare una cordata alternativa e nel maggio 1985 la Fininvest, insieme con la Barilla e la Ferrero, avevano fatto un'offerta di oltre 600 miliardi. Poi erano arrivate altre cordate: insomma la cessione della Sme alla Buitoni era stata annullata.Oggi il ventriloquo Prodi può dire quel che vuole a Repubblica, ma che quello della Sme a De Benedetti sia stato un tentativo di svendita è scolpito per sempre in una sentenza. Nel maggio 2012, infatti, la Corte d'appello di Roma ha assolto definitivamente dall'accusa di diffamazione Pietro Armani, negli anni Novanta vicepresidente di Prodi all'Iri e con lui molto critico. Così critico dal dichiarare la sua avversione per l'operazione Sme, parlando in un'intervista di «svendita» e di «trattamento di evidente favore» riservato a De Benedetti. Querelato da Prodi, sei anni fa Armani è stato assolto con formula piena. I giudici hanno riconosciuto il «trattamento di favore» riservato dall'Iri a De Benedetti: la sentenza sottolinea l'anomalia della segretezza dei contatti tra le parti, e che «la trattativa condotta dal presidente dell'Iri aveva avuto come possibile acquirente, senza gara tra imprenditori, un unico interlocutore». Quanto al prezzo di 479 miliardi di lire, che Armani aveva definito «curiosamente basso»: i giudici hanno stabilito che anche quell'accusa fosse corretta, in quanto «successive e ben più cospicue valutazioni del gruppo Sme» hanno indicato valori «oltre i 750 miliardi». Cioè il 55% in più del prezzo fatto da Prodi. Senza considerare che, vendute separatamente, le aziende del gruppo Sme alla fine fruttarono allo Stato circa 2.400 miliardi di lire: tre volte la cifra concordata con De Benedetti.
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