2025-04-13
Prodi, Colle e metà Chiesa guardano alla Cina
Pietro Parolin (Imagoeconomica)
Il Prof, in linea con Sergio Mattarella, spinge per un asse con Pechino. Strategia finora condivisa dal Vaticano, dove però i giochi adesso possono cambiare. Pietro Parolin, infatti, in vista del prossimo Conclave (quando saranno vitali i voti americani) tira le orecchie al Dragone.A costo di sembrare noi noiosi e ripetitivi, corre l’obbligo di leggere con attenzione gli editoriali di Romano Prodi. Come al solito - vale anche per quello di ieri sulle colonne del Messaggero - l’ex premier chiede unità nel gestire il ciclone Trump e invita la politica italiana ed europea a non schierarsi contro la Cina. Pechino ci serve, è il messaggio. Pechino ha la tecnologia del futuro e può essere utile all’Ue. Se andassimo dietro allo schema della Casa Bianca, prosegue Prodi, finiremmo per doverci schierare contro la Cina e finiremmo per essere isolati dal resto del mondo. La tecnologia del Dragone su cui l’ex premier punta è quella dell’intelligenza artificiale. Praticamente il business del futuro. Connesso al quantum computing e allo Spazio. Il luogo in cui si combatteranno le guerre commerciali e militari del futuro. Prodi sta riproponendo un riavvio del nastro per tornare (su piattaforme diverse) agli inizi del Duemila. D’altronde, il primo accordo bilaterale sullo scambio tecnologico tra Italia e Repubblica popolare cinese è stato firmato nel 2006 (Massimo D’Alema ministro degli Esteri) ed era frutto di visite e incontri maturati nel 1998. Guarda caso quando il premier era lo stesso Prodi.Così quando ora accusa Meloni di ubbidire alla politica estera americana e, indirettamente, di scambiare un interlocutore privato per un interlocutore politico (il riferimento è al dialogo instaurato con Starlink per un possibile accordo con il ministero della Difesa), si lascia scappare il senso di timore. Il suo. La paura che, dopo circa 25 anni, qualcuno possa annullare cinque lustri di politica europea frutto ed eredità degli anni in cui il professore di Bologna è stato a Bruxelles a fare il Commissario. Nei primi anni del Duemila, da quando Pechino è entrata nel Wto per volontà dei socialisti e dell’ex capo dell’Ulivo, il commercio con la Cina è aumentato del 700% e, lungo la Penisola, abbiamo assistito a una grande moria di aziende. E gli effetti dello scambio tecnologico li abbiamo: un enorme depauperamento delle medie industrie italiane. Ma nessuno dalle parti di Prodi ha fatto ammenda ci sembra. Anzi, la strategia non è cambiata. A cambiare sono solo i pacchetti tecnologici. Infatti, recentemente, a spuntare in Cina assieme al fondatore dell’Ulivo vi erano John Elkann e, addirittura, il presidente Sergio Mattarella. L’occasione ha permesso a Stellantis di allargare i propri rapporti con il Dragone, rapporti che culminano nella joint venture con il mega produttore di batterie. La stessa Catl finita ora nella black list degli Usa. È bene tenere presente - lo si comprende anche analizzando gli accordi stretti da Pedro Sánchez e Xi Jinping -che i sostenitori della Cina puntano a tenere aperta la filiera dell’auto elettrica con l’intento di fondere gli interessi dei produttori europei con quelli cinesi. Poco importa se il Vecchio Continente diventerà un mercato di consumatori. Non solo. Il vero progetto è applicare il medesimo schema anche all’industria spaziale. È un tema poco arato soprattutto dalla stampa, perché tocca prospettive di lungo termine. Parliamo del decennio 2030 e 2040. Ma socialisti e cinesi hanno in comune la pazienza. La valutazione delle minacce spaziali del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 2025, pubblicata dalla Defense Intelligence Agency, riconosce le capacità di manutenzione satellitare della Cina su un piano duale (militare e civile), osservando che i bracci robotici sperimentali potrebbero disabilitare i satelliti avversari. Il rapporto sul commercio spaziale del Wto già evidenzia tensioni commerciali, poiché operatori statunitensi come Intelsat potrebbero subire pressioni concorrenziali se esclusi dalle reti di manutenzione cinesi a causa di hardware non compatibili. Al tempo stesso, Paesi come Thailandia e Pakistan stanno adottando standard cinesi. Senza entrare in ulteriori dettagli, c’è da aspettarsi che il programma satellitare europeo a trazione francese, nel caso riuscisse a bloccare i rapporti con gli Usa, si spingerebbe verso la Cina. Esattamente come accaduto con Airbus, che ora è costretta a usare ben 6.000 fornitori del Dragone. Simbolo della postura di Emmanuel Macron che si mette in scia alla Cina, ma senza imitare il modello sfacciato di Angela Merkel. In mezzo a tanta tecnologia spuntano però elementi umanistici e religiosi. Per la precisione andrà monitorata la posizione del Vaticano, che negli ultimi anni ha spinto per un accordo con Xi e favorito nel 2019 la firma del memorandum della Via della Seta. Adesso il blocco pro Cina potrebbe non essere così compatto. Ieri, il segretario di Stato, Pietro Parolin, si è spinto a dire che «i desideri di grandezza del popolo cinese e di tutti gli altri popoli non si ripieghino su sé stessi». È la sintesi della prefazione al libro di Antonio Sergianni, La cavalcata del Vangelo in Cina. Sulle orme di padre Matteo Ricci. Si può leggere una stoccata all’imperialismo e all’espansionismo di Xi Jinping. Probabilmente, Parolin sa che per il prossimo conclave saranno fondamentali i voti dei cardinali americani e la partita è più grossa della battaglia dei dazi. È inoltre interessante notare che il protagonista del libro è Ricci. Il gesuita che ha portato il cattolicesimo in Cina senza piegarsi alla politica locale. Quando, lo scorso novembre, Mattarella è andato in Cina, ha visitato la tomba di un altro gesuita: Prospero Intorcetta. Come Ricci fu un missionario in Asia. A differenza del primo concentrò la sua missione nel portare Confucio in Europa. Esattamente il modello di soft power replicato in questi anni da Xi. Sono sfumature che indicano però il movimento delle placche tettoniche innescato da Trump. Mezza Europa (quella socialista e catto comunista) tenterà il salto definitivo verso la Cina. Ma il Vaticano che fa già i conti col dopo Bergoglio potrebbe stavolta far pendere il piatto della bilancia verso Ovest e l’Atlantico.
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