Protetto dai dem (per Stumpo quella alla giornalista era la «carezza del nonno»). Mortadella vola a Bruxelles per farsi finanziare un’Università del Mediterraneo. Intanto la Procura indaga sulla manifestazione di Roma.A questo punto, i loro colleghi progressisti d’Oltreoceano lo chiamerebbero ageismo, ovvero discriminazione in base all’età. Il fatto è che per salvare Romano Prodi dalle accuse di sessismo, la sinistra non riesce a trovare altre scuse a parte l’anzianità: è un nonnino, dicono, un anziano professore abituato ad altri tempi, va compreso. Poveracci, hanno dovuto in qualche modo correre ai ripari, cercare di salvare la faccia in extremis. Purtroppo il tentativo è miseramente fallito, anche grazie al contributo dello stesso Prodi, il quale non soltanto non sembra intenzionato a fare la figura del vecchio rincitrullito, ma insiste ad attaccare. Quando Lavinia Orefici, inviata di Quarta Repubblica, ha raccontato che il Professore - irritato oltremisura da una domanda sul Manifesto di Ventotene - le aveva messo le mani addosso e le aveva tirato i capelli, politici e commentatori sinistrorsi l’hanno quasi derisa. Alla faccia del femminismo di facciata che amano costantemente esibire, i sinceri democratici hanno preso in gruppo le difese del loro padre - pardon, nonno - presunto nobile. Hanno lanciato gli hashtag «io sto con Romano», hanno inveito contro la giornalista, colpevole di lavorare per una trasmissione sgradita. Hanno persino avuto il fegato di sostenere che la collega mentisse, che non ci fossero state tirate di capelli o altro, soltanto (questa la versione prodiana) una mano sulla spalla. Solo che poi, l’altra sera, Di Martedì ha mandato in onda un filmato fin troppo eloquente. Si vede Prodi che risponde alla Orefici facendole il verso, deridendola. Poi, quasi subito, le mette le mani sui capelli lunghi e li tira in paio di volte, come si faceva in altri tempi con i bambini capricciosi. Solo che una giornalista non è una bambinetta, ma una professionista impegnata nel suo lavoro, ovvero porre domande. E a quelle domande si suppone che i politici debbano rispondere. Nemmeno di fronte all’evidenza, tuttavia, il caro Romano e i suoi difensori di ufficio hanno avuto il buon gusto di chiedere scusa e ammutolirsi. Interpellato dai cronisti ieri a Bruxelles, Prodi ha affettato sdegno: «Non c’è proprio niente da chiarire. Voi sapete bene poi se si vuole creare l’incidente nei confronti di un vecchio professore lo si faccia pure e io gioisco», ha detto. «Si scambia l’affetto con un’aggressione». Peccato che nemmeno fra i primati ci si tirino i capelli in segno di affetto, figuriamoci tra sconosciuti che lavorano. Poi, forse resosi conto di aver ulteriormente peggiorato la situazione, il Professore ha maldestramente tentato di cavarsi dagli impicci accampando scuse. «Il gesto che ho compiuto appartiene ad una mia gestualità familiare», ha detto. «Mi sono reso conto, vedendo le riprese, di aver trasportato quasi meccanicamente quel gesto in un ambito diverso. Ho commesso un errore e di questo mi dispiaccio. Ma è evidente dalle immagini e dall’audio che non ho mai inteso aggredire, né tanto meno intimidire la giornalista. Questa vicenda mi offre l’occasione per una riflessione che forse è utile. Penso sia un diritto di ciascuno, non importa affatto quale ruolo abbia ricoperto nella vita, rivendicare la propria storia e la propria onorabilità e non accettare, come un destino inevitabile, la strumentalizzazione e persino la derisione dilaganti, anche grazie alla potenza della Rete. Come se un’intera vita non contasse, come se il futuro non esistesse». Ne deduciamo che a casa Prodi fossero abituati a tirarsi in capelli, ma saranno affari loro. Il punto è: dove sarebbe la strumentalizzazione? È tanto difficile scusarsi e basta, senza aggiungere grotteschi attacchi a chicchessia?Il combinato disposto di bugie e arroganza di Prodi suggerirebbero una clamorosa presa di distanza da parte dei progressisti tutti. Invece costoro hanno proseguito a dare aria ai denti, avventurandosi in patetiche arrampicate sugli specchi. Il premio alla tristezza va senza dubbio a Massimo Giannini. Non appena la vicenda è venuta alla luce, il noto editorialista si è affrettato a definire l’atroce siparietto «la lezione di Romano Prodi ai poveri sicari del giornalismo di regime». Già: una cronista che pone domande è una sicaria. La vittima è ovviamente l’attempato e potentissimo signore che le ghermisce le ciocche. Giannini si trovava in studio a Di Martedì quando è stato esibito il video che demoliva ogni possibile difesa dell’amico Prodi. L’espressione sul suo volto la diceva lunga: un misto tra rassegnazione e imbarazzo. Nonostante tutto, però, non è riuscito a tornare sui suoi passi, ad ammettere di aver preso una cantonata terrificante. Si è trincerato dietro l’inutile paravento anagrafico: «Un gesto sgradevole, deriva dalla sua età. Non c’è stata violenza in quell’atto, ma non lo devi fare», ha detto. Aggiungendo che Prodi è un professore di 85 che a volte pecca di paternalismo e di pedagogismo. A tale riguardo, sarebbe interessante sapere che cosa pensino i pedagogisti di un professore che tira i capelli alle studentesse: forse sarebbero un filo meno tolleranti di Giannini, abbiamo questo sospetto. Ancora più patetico è il tentativo di cavarsela facendo passare Romano come un vecchio un po’ rimbambito abituato ai metodi dei tempi che furono. Se così fosse davvero, allora dovrebbe smetterla una volta per tutte di fare politica e ritirarsi nella sua bella cucina, quella tanto lodata da Annalisa Cuzzocrea su Repubblica. La carta dell’anzianità se l’è giocata ieri, intervenendo a Calibro 8 su Radio Cusano, anche Nicola Stumpo del Pd. L’esponente dem l’ha presa alla larga: «L’uso improprio da parte della Meloni del manifesto di Ventotene, un documento che non è di queste ore ma è stato scritto da tre internati dal fascismo che ragionano sul futuro del mondo e di un’Europa diversa, aveva infastidito molti», ha dichiarato. «Prodi, sentendosi porre in quel modo la domanda, si è infastidito, e non l’ha tenuto nascosto. Ha anche detto: ma che razza di domanda è? Però le ha fatto una carezza. Mi sembra che si stia montando un caso». Già: Stumpo ha guardato il video, ha visto la tirata di capelli ma la interpreta pure lui come un «gesto d’affetto», come «la carezza di un nonno verso una giovane che forse avrebbe avuto bisogno di rileggere un po’ la storia, questo è quello che ha immaginato Prodi. Non penso che avesse in mente un atto sessista. Se fosse stato un ragazzo gli avrebbe tirato le guance. Anziché risponderle a una domanda in modo volgare, le ha risposto dandole una lezione e un buffetto. Poi se il buffetto è una carezza o aver toccato i capelli non mi sembra sia quello il problema». Oddio, più che un nonnino chi si comporta in quel modo è uno Sugar daddy. E forse, se avesse tirato le guance a un giornalista maschio, nonno Romano si sarebbe visto recapitare un ceffone di risposta. E infatti è molto probabile che non avrebbe mai osato tanto. Di fronte all’inviata, però, si è sentito titolato ad allungare le zampe «in segno di affetto». Ed è curioso che le donne progressiste, di solito molto veloci ad accusare chiunque di maschilismo, compresa Giorgia Meloni, continuino a difendere il loro santone. Debora Serracchiani, ad esempio, ha avuto fretta di minimizzare: «Il gesto sarà stato anche inopportuno e sono convinta che Prodi sia il primo che ne sia stato dispiaciuto ma, onestamente, non si può chiedergli di avere la pazienza di Giobbe. Mi permetto di dire: non esageriamo. Penso semplicemente che abbia mosso il braccio e ha toccato la giornalista. Penso che sia stato inopportuno e che Prodi ne sia dispiaciuto». Che sia dispiaciuto non sembra proprio, ma ci sentiamo quel che dice la Serracchiani. E ci chiediamo: se un uomo in casa si innervosisce perché non ha la pazienza di Giobbe, allora può tirare i capelli e alzare le mani? Forse sarebbe opportuna una bella riunione con la segretaria Elly Schlein, che ha appena denunciato l’esistenza, all’interno del Pd, di un granitico atteggiamento maschilista ai suoi danni. Ieri l’ex ministro Roberta Pinotti le ha dato ragione: «Che ci sia un predominio maschile nei luoghi delle decisioni è ancora una realtà», ha detto alla Stampa. Dunque Elly è vittima di maschilismo ma la cronista di Quarta Repubblica no? Distinzione curiosa. E per fortuna che per anni ci hanno martoriato con il me too e addirittura la «violenza percepita». Ora in un lampo si rimangiano ogni cosa, anche perché Prodi le ha infilate tutte: dalla molestia al mansplaining alla vittimizzazione secondaria. Non soltanto ha raccontato balle sull’accaduto, ma quando è stato scoperto ha reagito con la sicumera del bullo. Sospettiamo che nonno Romano non abbia visto i cartelloni che i suoi compagni della Regione Emilia Romagna hanno seminato in giro per le città con lo slogan «se te lo dice è violenza». Tra le frasi (parole dunque, non strattoni) ce n’era persino una che diceva: «Perché ti stai truccando? A me piaci così». Ebbene, se pronunciare quella frase è violenza, la tirata di capelli di un potente deve essere affetto? A sinistra insistono sempre per portare l’educazione sentimentale nelle scuole, ma forse dovrebbero prima portarla dentro il partito.
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