2018-10-06
Prodi minaccia ma è rimasto senza alleati
Il Professore dice al «Corriere» che l'Italia sta diventando «illiberale», evoca lo spread, fa scaricabarile su Autostrade e lancia una grande ammucchiata anti populista alle elezioni europee. Peccato che perfino pezzi di establishment stiano cambiando rotta. Il consenso popolare nei confronti dei gialloblù è molto vasto, e consistenti pezzi del vecchio potere italiano non sembrano disposti ad arruolarsi su una linea che non è solo di avversione a una maggioranza.Negli anni in cui Margaret Thatcher prevedeva lucidamente che l'euro sarebbe risultato «fatale per i Paesi più poveri», lui, Romano Prodi, sosteneva invece che con la nuova moneta avremmo «lavorato un giorno di meno guadagnando come se si stesse lavorando un giorno di più».Forte di questa previsione storica - diciamo così - non esattamente azzeccata, ieri Prodi è tornato a parlare, interrogato dal Corriere della Sera come un oracolo. E l'oracolo bolognese si è pronunciato, con cinque messaggi da esaminare con attenzione.Il primo, prevedibile, è una specie di anatema, di maledizione contro il governo gialloblù. La prima parola pronunciata dall'ex premier nell'intervista - neanche a dirlo - è «spread» («E lo spread? A che quota è lo spread in questo momento?»), tanto per creare subito un'atmosfera ansiogena. Ma Prodi va oltre, e, cosa più unica che rara in tutto il mondo per un ex primo ministro che parli del suo Paese, evoca esplicitamente il baratro, delinea scenari apocalittici («Tra i decessi esiste anche una certa percentuale di suicidi»). Insomma, una chiamata alle armi contro l'esecutivo.Il secondo messaggio offre, per così dire, una cornice ideologica alla crociata, che non a caso dà il titolo all'intervista: «L'Italia rischia di diventare una democrazia illiberale». Tesi due volte curiosa. Intanto, perché lascia pensare che, prima del governo Conte, l'Italia fosse un fulgido modello di democrazia liberale, e poi perché trascura un «dettaglio», e cioè le libere scelte degli elettori il 4 marzo scorso. Ma si sa che quando i cittadini votano diversamente dai desideri di certo establishment, diventano «pericolosi».Il terzo messaggio è la ricetta prodiana in vista delle Europee: serve un'alleanza «da Alexis Tsipras a Emmanuel Macron per battere i populisti», spiega il Professore. Una specie di ammucchiata, tutti convocati (socialisti, popolari, verdi, macronisti) contro i «cattivi» (Matteo Salvini, Polonia, Ungheria). Si tratta forse della parte più stupefacente e perfino più disperata dell'intervista: non una visione comune, ma solo una specie di armata brancaleone costruita esclusivamente in funzione di argine contro i «nemici».Il quarto messaggio è uno scaricabarile su Autostrade: «Io decisi un controllo strettissimo sul gestore. Sono stati i governi successivi che l'hanno fatto saltare». Elementare, Watson: la colpa è sempre degli altri.Il quinto e ultimo messaggio è a uso interno (italiano e della sinistra) ed è clamoroso: Prodi scarica il Pd («Non m'interessa questo dibattito»), insiste sulla necessità di una coalizione più larga, e comunque fa capire che dove c'è Matteo Renzi il terreno è impraticabile. Ed è significativo che Prodi non corregga il giornalista che lo colloca «fuori» dal partito, «in una tenda vicina». Insomma, è facile constatare che la ferita dei 101 voti fatti mancare dal Pd renziano per l'elezione al Quirinale di Prodi sia ancora aperta. Ma a ben vedere c'è più di una vendetta postuma da consumare verso chi lo accoltellò: Prodi sembra rendersi conto che la stessa vicenda della corsa alla segreteria Pd sta diventando tragicomica (solo ieri si registravano le possibili candidature di Graziano Delrio, Nicola Zingaretti, Matteo Richetti, Elisabetta Gualmini, Debora Serracchiani, Francesco Boccia: praticamente un circo), e di fatto accredita la tesi dell'inutilizzabilità del Pd, ridotto a strumento da rottamare.Ricapitolando: maledizioni contro il governo, e un appello a pezzi di potere (italiano e internazionale) per costruire un'alternativa anti populista, non destinata a passare attraverso il Pd.Ma - La Verità lo faceva notare già ieri - non è affatto detto che il vecchio establishment italiano sia disponibile a una crociata del genere. Anche molti ambienti che non furono certo ostili a Ulivo, Unione e Pd oggi lanciano segnali distensivi verso i gialloblù. Si pensi al caso di Intesa Sanpaolo che, attraverso il suo numero uno Carlo Messina, ha per un verso rassicurato sull'impegno del principale gruppo bancario sul fronte del debito pubblico italiano, e per l'altro si è spinta fino a ipotizzare borse di studio per chi parteciperà a progetti di formazione nei centri per l'impiego (parte essenziale della strategia del reddito di cittadinanza). Merito della questione a parte, è evidente che, quando un banchiere fa dichiarazioni di questo tipo, vuole inviare al governo un segnale complessivo di dialogo e apertura, non certo di ostilità.La partita è dunque tutta da giocare: il consenso popolare nei confronti dei gialloblù è molto vasto, e consistenti pezzi del vecchio potere italiano non sembrano disposti ad arruolarsi su una linea che non è solo di avversione a una maggioranza, ma sembra mettere nel conto una sequenza di attacchi contro il Paese, dal prossimo giudizio della Commissione Ue sulla manovra, dopo metà ottobre, fino alle valutazioni di fine mese della agenzie di rating. Se Prodi e altri puntano sulle macerie dell'Italia, non è detto che si ritrovino in vasta compagnia, nemmeno tra gli amici di un tempo.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.