2022-03-30
Primi spiragli di pace dal negoziato. A seminar zizzania ci pensa l’America
L’Ucraina rinuncia alla Nato con garanzie di difesa e tratta su Donbass e Crimea. La Russia frena l’avanzata e apre all’ingresso di Kiev nella Ue. Tony Blinken però boccia i passi avanti fatti a Istanbul: «Assenza di serietà».Si inizia a intravedere qualche passo avanti nei negoziati diplomatici relativi alla crisi ucraina. Ieri, si è tenuta una nuova tornata di trattative a Istanbul che è sembrata avvicinare le parti a un compromesso. Di colloqui «costruttivi» ha parlato il capo negoziatore russo, Vladimir Medinsky, il quale - pur definendo la strada per un accordo ancora lunga - è tornato ad aprire all’ipotesi di un incontro tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. «A seguito della conversazione sostanziale di oggi, abbiamo approvato e offerto una soluzione, secondo cui un incontro tra i capi di Stato è possibile contemporaneamente alla sigla dell’accordo», ha detto. «Il format proposto è questo: prima verrà redatto un accordo, poi sarà approvato dai negoziatori e firmato dai ministri degli Esteri in una riunione, quindi si discuterà la possibilità di un incontro tra i capi di Stato per firmarlo», ha aggiunto. La delegazione ucraina, dal canto suo, ha proposto che Kiev possa adottare uno status neutrale in cambio di precise garanzie di sicurezza. «Proponiamo un trattato sulle garanzie di sicurezza con un dispositivo analogo all’articolo 5 della Nato. Gli Stati garanti (Usa, Gran Bretagna, Turchia, Francia, Germania, eccetera) saranno attivamente coinvolti sul piano legale nel proteggere l’Ucraina da ogni aggressione. L’attuazione avverrà tramite referendum», ha twittato il capo negoziatore ucraino, Mykhailo Podolyak. Questo nuovo patto di sicurezza sostituirebbe l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e dovrebbe comprendere anche l’Italia. Nel dettaglio, secondo il negoziatore ucraino David Arakhmia, in caso di aggressione «le consultazioni dovrebbero tenersi entro tre giorni. Dopo di che, i Paesi garanti hanno l’obbligo giuridico di fornirci assistenza militare, armi e la chiusura del cielo: tutto ciò di cui abbiamo tanto bisogno ora e che non possiamo ottenere». Bisognerà tuttavia capire se, nel caso, i garanti occidentali saranno disposti ad accettare tutti questi impegni: ricordiamo infatti che la Nato è attualmente contraria alla no fly zone. Spazio ieri è stato riservato anche alla spinosa questione della Crimea. «Si registra l’intenzione delle parti di risolvere la questione esclusivamente attraverso negoziati bilaterali tra Ucraina e Russia entro 15 anni. Si propone anche di non risolvere la questione della Crimea con mezzi militari. Solo sforzi politici e diplomatici», ha twittato Podolyak. In tutto ciò, secondo il Financial Times, sembrerebbe che Mosca sia disposta a fare un passo indietro sulla questione della «denazificazione» e sarebbe inoltre disponibile a permettere che Kiev entri nell’Ue. In questo quadro, la Russia - pur chiarendo che non si tratta ancora di un cessate il fuoco - ha annunciato una riduzione delle operazioni militari nei pressi della Capitale ucraina, mentre martedì Zelensky si era detto pronto a un compromesso sul Donbass. E proprio la «liberazione» del Donbass sarebbe, secondo il ministero della Difesa russo, l’obiettivo principale di Mosca oggi: segno dunque che il Cremlino sta seriamente considerando l’ipotesi di puntare a obiettivi più limitati di quelli originariamente concepiti.Insomma, sembra che qualche spiraglio concreto si inizi a vedere. E, in tal senso, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha detto che i colloqui di ieri hanno rappresentato il progresso più significativo registratosi finora. Va riconosciuto che, almeno per adesso, la Turchia si è rivelata probabilmente il mediatore più efficace, anche in virtù degli interessi in ballo: Ankara fa parte della Nato ed è una storica sostenitrice di Kiev, ma intrattiene anche stretti legami con Mosca sul versante energetico e della difesa. Tra l’altro, se si dovesse realmente raggiungere un compromesso, la Turchia ne uscirebbe rafforzata dal punto di vista politico. Pur restando un leader per molti aspetti controverso, Recep Tayyip Erdogan sta assumendo un ruolo sempre più centrale su svariati dossier (dall’Ucraina alla Libia). È forse anche in tal senso che, dopo averlo definito un «dittatore» l’anno scorso, Mario Draghi ha ammorbidito i rapporti con il presidente turco. Il nostro premier sta nel frattempo cercando di ritagliarsi un ruolo da mediatore: dopo aver sentito l’altro ieri Zelensky, dovrebbe avere un colloquio anche con Putin (sebbene non sia al momento ancora chiaro quando ciò dovrebbe avvenire). Chi continua invece imperterrito a sentire costantemente lo zar è Emmanuel Macron: ieri i due hanno tenuto l’ennesima telefonata, in cui il leader del Cremlino ha detto che i «nazionalisti» ucraini devono deporre le armi a Mariupol.Cautela sui negoziati di Istanbul è stata frattanto mostrata dall’Ue. «Trattiamo i negoziati di Istanbul con una certa cautela. La priorità in questo momento è che si arrivi a un cessate il fuoco duraturo sul campo, rispettato dalla Russia», ha detto un funzionario di Bruxelles. Più negativa si è mostrata l’amministrazione Biden, con il segretario di Stato americano, Tony Blinken, che ha lamentato ieri l’assenza di «segni di reale serietà» da parte di Mosca. Sempre ieri, il presidente statunitense ha tenuto una telefonata con Draghi, Macron, Boris Johnson e Olaf Scholz. Secondo Palazzo Chigi, si è discusso di profughi, corridoi umanitari, sostegno ai negoziati e approvvigionamenti energetici. L’altro ieri, Nbc News aveva tuttavia parlato di un’irritazione dei leader europei per le parole pronunciate da Biden sabato a Varsavia, quando aveva di fatto invocato la deposizione di Putin (per poi tuttavia affrettarsi a ritrattare): non si sa se si sia discusso anche di questo. Frattanto vari Paesi europei hanno annunciato l’espulsione di numerosi diplomatici russi.
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Charlie Kirk (Getty Images)